In attesa della riapertura della sede del Museo Ginori, una selezione di quarantacinque opere della sua collezione permanente torna temporaneamente visibile all’interno dello stesso edificio che fino agli Anni
Cinquanta ospitava la Manifattura Ginori e il suo museo.
Tra le opere d’arte e gli oggetti d’uso protagonisti di questa piccola ma preziosa esposizione, il busto in porcellana di Carlo Ginori, sculture per l’apparecchiatura della tavola, il “museo delle terre” e le maschere originali per i caratteristici decori “a stampino”.
Curata da Andrea Di Lorenzo, Oliva Rucellai e Rita Balleri, la mostra è organizzata dalla Fondazione Museo Archivio Richard Ginori della Manifattura di Doccia in collaborazione e con il sostegno del Comune di Sesto Fiorentino.
“Quella del Museo Ginori è una storia straordinaria – ha detto il presidente della Regione Toscana Eugenio Giani -. Una storia iniziata quasi trecento anni fa grazie al marchese Carlo Ginori che nei secoli ha raccontato al mondo cosa vuol dire fabbrica della bellezza e al tempo stesso museo d’impresa oltre che museo del lavoro, un unicum che racconta la storia artistica, sociale ed economica della più antica manifattura di porcellana ancora attiva in Italia che ha pochi paragoni al mondo. Sono pertanto orgoglioso e felice di inaugurare una mostra che con le sue quarantacinque opere che fanno parte della meravigliosa collezione permanente, dà un saggio della magnificenza della produzione settecentesca della Manifattura di Doccia, patrimonio culturale e pezzo irrinunciabile dell’identità locale che è giusto e direi doveroso raccontare oltre che estremamente affascinante. Ammirare le opere esposte è come fare un viaggio lungo i sentieri dell’evolversi degli stili artistici, del costume, della scienza, delle tecniche produttive e dell’imprenditoria, che ripercorrono la storia della trasformazione di
un’invenzione scultorea in una porcellana”.
“Accogliamo i primi passi della Fondazione e questa mostra nei luoghi che videro la nascita della Manifattura – commenta il sindaco di Sesto Fiorentino, Lorenzo Falchi -. È un’emozione e motivo di grande soddisfazione per il nostro Comune tornare ad ammirare una parte ancora piccola, ma importante dell’immenso patrimonio artistico del Museo. Questa mostra è solo un assaggio del patrimonio straordinario racchiuso negli spazi di viale Pratese, spazi che presto dovranno tornare ad aprirsi alla nostra città”.
“La mostra, realizzata grazie al fattivo sostegno del Comune di Sesto Fiorentino, è stata resa possibile dalla stretta collaborazione tra la Direzione regionale musei della Toscana, che mantiene la proprietà e la tutela delle collezioni, e la Fondazione Ginori, un proficuo rapporto che ha già reso possibile molte attività di conservazione, restauro e valorizzazione delle splendide opere Ginori” – spiega Stefano Casciu, Direttore regionale musei della Toscana-. L’iniziativa, dal significativo titolo L’oro bianco di Sesto Fiorentino, ritorna alle origini della manifattura e all’importanza del contesto territoriale in cui è nata e si è sviluppata e per questo segna un’altra tappa non solo nella direzione di una costante e regolare attenzione alla conservazione delle opere ma anche nel coinvolgimento di altri soggetti pubblici e privati, in particolare quelli che insistono sul territorio, per giungere tutti insieme alla restituzione al pubblico del Museo e delle sue collezioni”.
IL PERCORSO ESOSITIVO
Carlo Ginori e le origini della Manifattura
Affascinate dalla bellezza delle porcellane giunte dall’Oriente attraverso le Compagnie delle Indie, le corti d’Europa ne celebrarono la magnificenza elevandole a elemento identificativo dello status sociale di chi le possedeva. È sull’onda di questo interesse che nel 1737 il marchese Carlo Ginori diede avvio alla sua pionieristica impresa.
A ricordare il fondatore della manifattura è la traduzione in porcellana del busto scolpito nel 1757 per il
suo monumento funebre, collocato nella Cattedrale di Livorno, città di cui fu governatore dal 1746.
Il Museo delle Terre
I vasi del cosiddetto Museo delle Terre testimoniano le ricerche condotte negli anni Quaranta del Settecento da Carlo Ginori e da alcuni eruditi fiorentini, tra cui il medico e naturalista Giovanni Targioni Tozzetti, per trovare minerali meno costosi del caolino da impiegare nella preparazione dell’impasto della porcellana.
Esperimenti e prove
All’epoca della fondazione della manifattura, i procedimenti tecnici necessari per produrre la porcellana erano sconosciuti in Toscana. Carlo Ginori si era avventurato in un campo nuovo e irto di difficoltà, che richiese anni di ricerche e di prove. Le tazzine, i piccoli vassoi e la placca con il doppio ritratto esposti in mostra testimoniano lo sforzo e le sperimentazioni compiute nel primo periodo per mettere a punto le varie fasi di fabbricazione, dalle ricette per impasti, vernici e colori, alle tecniche di foggiatura, decorazione e cottura.
Uno dei primi decori in uso a Doccia è noto come ‘stampino’. L’espressione indicava l’impiego di una maschera traforata, in carta o in pelle d’agnello, simile uno stencil. Di facile esecuzione, il decoro ‘a stampino’ consentiva di ottenere rapidamente risultati di piacevole effetto, offrendo al contempo una brillante soluzione al problema della carenza di pittori esperti.
Il decoro a paesaggi
L’arte della pittura su porcellana viene introdotta a Doccia da Karl Wendelin Anreiter, pittore originario di Bolzano che Carlo Ginori riesce a sottrarre alla manifattura viennese Du Paquier. Anreiter rimarrà al servizio della fabbrica Ginori dal 1737 al 1746. Tra i suoi compiti c’era anche quello di istruire i lavoranti.
Gli espressivi paesaggi dai forti chiaroscuri e dall’aspetto selvaggio che decorano i vasi esposti in mostra sono eccezionali sia per dimensioni che per qualità esecutiva.
Il gusto antiquario
Fortemente influenzato dai viaggiatori del Grand Tour, fino agli anni Settanta del Settecento il gusto antiquario si orientò verso una riproduzione in scala al vero delle sculture antiche maggiormente apprezzate. Nell’ultimo trentennio del secolo si assiste invece a un crescente interesse verso le riduzioni di queste sculture, riunite anche in serie e destinate all’arredo di studioli, consoles, camini o alla decorazione di apparecchiature di tavole. Questo fenomeno, definito modernamente “industria del Mission, governance, visual identity and a website:
the Ginori Museum tells its story souvenir” influenzò anche la manifattura Ginori, che fin dagli anni Quaranta del Settecento aveva dimostrato particolare attenzione verso l’arte antica, come rivela la realizzazione di copie di statue all’epoca conservate nelle principali collezioni romane e nelle Gallerie degli Uffizi. Tra queste
spicca la Venere de’ Medici, esposta in mostra insieme al relativo modello in gesso per consentire ai
visitatori di cogliere il considerevole ritiro (del 12-14%) a cui è sottoposta la porcellana dopo la cottura
a 1400° C.
Sculture per la tavola
In mostra sono esposte anche graziose e variegate composizioni, databili intorno alla metà del Settecento, che avevano la funzione di apparecchiatura per tavole da dessert. Tra queste, i gruppetti in policromia d’ispirazione arcadico-pastorale raffiguranti scene campestri, maschere di Arlecchino e Arlecchina tratte dalla Commedia dell’Arte con la funzione di rinfrescatoi per bottiglie e un’alzata con il tritone che sorregge sulla testa una conchiglia, evidente allusione alle fontane fiorentine commissionate dai Medici, a cui il marchese Ginori rende omaggio. Particolarmente degna di nota è anche la serie degli ‘orientali’, una delle più riuscite prodotte a Doccia.
Era costituita da ventiquattro personaggi in costumi di diversi popoli dell’Impero Ottomano, modellati
intorno al 1760 a partire da due principali fonti iconografiche: una preziosa serie di tempere del pittore
Jacopo Ligozzi − all’epoca nella biblioteca Gaddi di Firenze e oggi in parte pervenute al Gabinetto dei
Disegni e delle Stampe degli Uffizi − e le incisioni tratte dal fortunatissimo Recueil Ferriol, una copia del
quale è ancora oggi conservata nel fondo antico della biblioteca del Museo Ginori.
La caffettiera: forme e decori
Le caffettiere, declinate in varie forme e ornate di diversi decori, raccontano la ricchezza formale e la perizia tecnica raggiunta dalla Manifattura Ginori già nel Settecento sia nel modellato che nell’ornamento. Tra le caffettiere in mostra, quelle con i “galli rossi”, così definiti nei documenti settecenteschi, sono la rivisitazione, attribuita al pittore della manifattura Ferdinando Campostrini, di un decoro giapponese della tipologia Imari.
Il bassorilievo istoriato
Tra i decori settecenteschi della Manifattura Ginori il ‘bassorilievo istoriato’ è il più prezioso e caratteristico. Composizioni a soggetto mitologico, tratte da incisioni o da placchette metalliche, venivano riprodotte a bassorilievo in porcellana con appositi stampi e poi applicate a crudo alle pareti di tazze, caffettiere o altro vasellame. Erano vendute in bianco oppure finemente dipinte a mano in policromia e oro, come l’esemplare esposto in mostra.
La maiolica in bianco e blu
La produzione di maiolica inizia a Doccia ancora prima di quella di porcellana. La sua fabbricazione richiedeva minori investimenti e le sue vendite portavano entrate sicure che aiutavano a sostenere i costi esorbitanti degli esperimenti sulla porcellana. Le maioliche esposte in mostra esemplificano la produzione più sofisticata della manifattura Ginori. I ricchi ornati in bianco e blu rivelano l’influenza dei manufatti francesi di Rouen e Nevers, che a loro volta si ispiravano alla porcellana cinese.
INFO
“L’oro bianco di Sesto Fiorentino” – Opere del Settecento dal Museo Ginori
Finoi al 16 aprile 2023
Biblioteca Ernesto Ragionieri, Sala Meucci – Piazza della Biblioteca 4, Sesto Fiorentino (FI)