SCRITTI: Appunti sparsi sul colore di Ester Grossi e Sara Bonaventura

Una conversazione, un racconto, una intervista, un saggio, un approfondimento, un parere, una esternazione, una idea da esporre. Questo è SCRITTI la nuova rubrica di HESTETIKA.

Una rubrica dove l’artista è riportato al centro e dove è l’artista a narrare e scrivere. Abbiamo voluto dare voce alle loro idee oltre che alle lore opere.
Questo SCRITTI è una conversazione tra due artiste: ESTER GROSSI e SARA BONAVENTURA.
Buona lettura…

Ester: Da pochi giorni ho terminato di vedere la serie Too Old to Die Young del regista danese Nicolas Winding Refn. L’ho trovata epica, eccezionale rispetto al panorama delle serie televisive contemporanee (escludendo la terza stagione di Twin Peaks del mio amato David Lynch) e chiaramente ho adorato l’uso magistrale che il regista ha fatto del colore in ogni singola inquadratura.
Alcune delle critiche che ho letto su TOTDY riguardano proprio la peculiare estetica del regista, contraddistinta da un uso maniacale e ostentato di neon e contrasti cromatici; un’estetica che a detta di alcuni sarebbe “fine a se stessa” e che io invece trovo molto coerente rispetto ad una narrazione giocata, in modo estremo e netto, sulla universale dicotomia tra bene e male.
Riccardo Falcinelli, nel suo noto libro Cromorama sostiene che “nelle mani di un grande autore il colore non è decorazione, è struttura”. Sono perfettamente d’accordo.
Tu cosa pensi al riguardo?

Sara: Non si può non essere d’accordo con Falcinelli. Il colore è struttura.
Per il cinema lo è stato già prima dei tempi del Technicolor, intendo come processo, non necessariamente pensando a brevetti usciti dal MIT, alla ricerca, ma il colore è sempre stato anche questo, anche la decorazione ha una sua struttura nel colore, non la percepisco come una necessaria dicotomia, mi sembra di tornare alla contrapposizione tra il disegno fiorentino e il colore veneziano (sarà perché sono veneziana? Ops). Lo era anche il pigmento blu, derivato dal lapislazzulo, antichissimo prezioso pigmento organico. Nessuno magari ci pensa ora quando vede la Cappella degli Scrovegni, ma quel cielo costava come l’oro al tempo. Struttura o decorazione?
Ho solo iniziato a vedere la TOTDY, da sempre refrattaria alle serie, ciò che direi si nota subito è un uso organico e organizzato del colore. Quindi strutturale sì, non fine a se stesso, direi un colore espressivo, quasi diegetico. Refn pare sia color blind, pare non colga i mezzi toni; i suoi contrasti forti nascono sicuro da lì, un fattore decisamente organico che si fa espressivo, talvolta quasi diegetico. Sono d’accordo con te sulla coerenza, ma forse perché mi piacciono i forti contrasti, non temo il colore, neppure quando brucia e distrugge.

Ester: Si, diciamo che sia io che te non soffriamo di certo di Cromofobia!
Anzi, siamo ossessionate dal colore. Che poi in effetti, sarà stato proprio l’uso che ne facciamo dei nostri rispettivi lavori a farci incontrare per caso su Instagram. Affinità elettive e cromatiche che ci hanno spinte a collaborare per la realizzazione del videoclip Kun Lyhdyt Illalla Sytytetään, Ne Eivät Sammu Koskaan della musicista svedese Lau Nau.
La storia dietro le riprese del video è una delle più divertenti della mia vita artistica. Non la sveleremo tutta, ma qualche aneddoto sarebbe divertente da raccontare. Due settimane di residenza in una Calabria invernale, una convivenza molto movimentata con un gatto in casa, arrampicamenti su scogliere deserte per riprese suggestive e ricerca dei materiali più strambi nei negozi di Lamezia Terme per trovare dei filtri cromatici da usare con la videocamera. Lo rifarei subito!

Kun lyhdyt illalla sytytetään, ne eivät sammu koskaan from Sara Bonaventura on Vimeo.

Sara: Forse soffriamo di cromofilia!
L’avventura in Calabria: memorabile. L’apparizione del vulcano Stromboli all’orizzonte nella nostra location, Zambrone, nella costa degli dei, nei pressi della più nota Tropea. Ho sempre pensato che quando ci sono degli dei di mezzo le cose debbano per forza diventare più ostiche, più difficili. C’è l’umana bellezza pittoresca e la divina bellezza conturbante. Credo ci attragga di più la seconda. La luce mediterranea, e di conseguenza il colore, parla sempre di desiderio. Chi ama il cinema parla spesso della luce di Los Angeles, che gode di questa bellissima luce naturale, che ha contribuito a farla capitale mondiale del cinema. A LA io ho pensato al nostro Mediterraneo, alla luce e ai colori saturi del nostro Mediterraneo, dove purtroppo non si girano più molti film, e le serie non competono certo con quelle hollywoodiane. Continuiamo a desiderare LA ma intanto pensiamo che in quanto a location non ci manca nulla. Manca il resto, ma il desiderio è mosso dalla mancanza…

Ester: Interessante questa tua osservazioni sui colori saturi e mediterranei di LA. Da cinefila quale sono, mi ha riportato subito alla mente un film che adoro, Les Mepris di Godard, che narra le riprese di una nuova versione dell’Odissea nello scenario paradisiaco e mediterraneo di Capri.
Penso precisamente alla scena nella quale Godard mostra dettagli di antiche statue greche colorate in maniera pop, con cromie sature e stranianti, che in realtà richiamano i veri colori originali. Perché ciò che ci è pervenuto bianco e asettico, in realtà è stato colorato; anche l’archeologia aveva i suoi colori. L’ho scoperto negli anni, perché essendo figlia di un archeologo, da bambina ho visitato soltanto templi bianchissimi e visto cocci incolore o comunque dai colori neutri.

Sara: Ah beh che film Les Mepris! Io ricordo bene l’incipit, la scena intima fra BB e Michel Piccoli con quel susseguirsi di rosso, giallo oro e blu, un giallo oro che è già linea spettrale fra i due corpi. Per Godard il colore è decisamente forma costruttiva. Aldilà della storia, un livello di metacinema. Nella sua paletta in genere blu rosso e bianco non mancavano mai, proprio colori classici. Godard è stato una grande rivelazione per me negli anni dell’adolescenza sai? Guardavo molti suoi film senza capirli ma rapita, credo proprio da quel sostrato inafferabile di metacinema. E dal colore. Ricordo anche quando alle medie il prof. di arte ci spiegò il grande errore di Winckelmann e del neo classicismo, anzi di tutti i classicismi, che esistono solo a posteriori. Rimasi colpita dall’errore, protratto per secoli dal Rinascimento. E rimane difficile immaginarseli colorati, è difficile immaginarsi l’Acropoli di Atene vivacemente colorata, nonostante i rendering sempre più comuni oggi. Però credo sia uno scarto di coscienza fondamentale, la nostalgia – definitiva. Abbracciare il colore con disinvoltura per me significa scegliere di accogliere la possibilità, vivere il presente nonostante la nostalgia. Colorare quel bianco puro, spesso pedante e iperrazionale. Policromia e politeismo. Gli Dei erano tanti e a colori. Che pensiero magnifico…

Ester: Ad di là di questo errore perpetrato dalla critica neoclassicista, il passato in effetti è legato all’idea di un tempo meno colorato, non a caso si dice che un ricordo sbiadisce con il passare del tempo, perde d’intensità, come se la vividezza del colore fosse prerogativa del presente. Che strano, io invece tendo a ricordare gli eventi anche perché li associo ai colori. Questo episodio forse ti farà sorridere. Da bambina i miei genitori mi hanno portata al funerale di uno zio. Io ero molto imbarazzata perché indossavo un cappotto completamente giallo tra un mare di parenti vestiti di nero, come di consuetudine quando si “porta il lutto”. Di fatto quel funerale lo ricordo grazie al giallo, che tra l’altro è il mio colore preferito.

Sara: Fantastico questo tuo ricordo! E non ricordavo il giallo fosse il tuo colore preferito, io non so più dire quale sia, da piccola era il blu, con qualche stagione virata al viola, quasi complementare al tuo giallo. Ma del resto non so più chi siano i miei autori preferiti, i registi preferiti, o gli artisti, sai? Dai tempi dell’università non lo so più. A quei tempi ho anche smesso di fare sogni ricorrenti, e quando qualcuno mi ha chiesto se sognassi a colori o in bianco e nero mi sono accorta di non saperlo. Ancora non lo so. Ho il sentore di sognare a colori ma dimentico il colore ancora più in fretta del sogno. La mia memoria si è forse inebriata più che sbiadita però. Credo sia il riflesso della mia vita negli ultimi 15 anni, sicuramente meno attenta ai dettagli, più convulsa e frenetica: meno tempo per osservare e per ricordare. Anche meno tempo tra il verde della natura, un colore che si pensa calmante perché legato ad un nostro ancestrale persistente rapporto con la vegetazione sin dai tempi della preistoria. Mi ha sempre affascinato questa doppia natura, biologica e culturale, irrazionale e razionale, fisica e simbolica della percezione del colore. E del mutare della stessa, anche solo nell’arco di una vita. Da piccola non sopportavo il rosso, lo usavo poco e soprattutto non lo avrei mai indossato. Essendo il colore preferito di mia madre, spesso mi comprava capi rosso acceso che sempre rifiutavo. Con gli anni l’ho rivalutato al punto da indossarlo pure se capita…

Ester: Il rosso e il verde.
Di sicuro preferisco il primo, più frizzante e deciso, senza mezzi termini. Con il verde ho dei problemi, da pittrice lo trovo instabile nella stesura, non lo uso da diverso tempo. Inoltre lo trovo un colore un po’ “ruffiano”.
Sto rileggendo Il piccolo libro dei colori di Michel Pastoureau, nel quale ogni colore è introdotto da un titolo ironico del paragrafo. Il verde è per lui il colore che “nasconde bene il proprio gioco”.
Siamo abituati a vederlo usato un po’ ovunque, loghi politici, numeri verdi, zone ecologiche, ma non avevo idea, prima di leggere Pastourau, che l’associazione con la natura in realtà risalisse all’epoca romantica. Prima la natura era definita dai quattro elementi: fuoco, acqua, aria e terra. Per noi è così immediata l’associazione tra natura e colore verde!

Sara: Non avevo dubbi sulla tua propensione verso il rosso!
Beh sicuramente il verde è un colore molto dibattuto, capisco cosa intendi per ruffiano e se ci pensi è un colore politico presente in molti stemmi di partiti, è il colore dell’Islam ma è anche il verdone del dollaro, della lega ma anche dei verdi tedeschi…non ho letto il libro di Pastoureau però immagino sì che l’associazione del verde con la natura sia tutta romantica, l’idea stessa di natura è invenzione romantica. La storia del verde però è anche una storia interessante, ruffiana sì anche se ruffiano deriva da rufus, dai capelli rossi…mi viene in mente ora come il diavolo medioevale fosse spesso verde per poi divenire rosso in tempi più recenti, il rosso del potere, simbolo del lusso peccaminoso, della chiesa stessa. Ricordo questa lezione di arte medioevale su lucifero verde, verde come il serpente, che compare ai tempi delle crociate, proprio contro quell’islam verde. Me lo ricordo in un bellissimo mosaico della basilica di una delle più antiche isole di Venezia, Torcello, dove è tutto rannicchiato minuto schiacciato da Cristo e poi compare imponente seduto sul Leviatano con un bimbo nel grembo, l’Anticristo. Rimane verdognolo in qualche modo nel Caronte infernale della Cappella Sistina nel Giudizio Universale di Michelangelo. Certo rimane un colore dal significato sospeso, ambiguo più di altri e come al solito mi chiedo se sia un fatto percettivo o culturale. Mi viene da dire entrambe, sicuramente il fatto di essere un colore chimicamente instabile ha influenzato anche il suo simbolismo, che oscilla sempre.

Ester: Anche io credo che l’ambiguità del verde dipenda in parte anche dalla sua instabilità chimica originaria. Interessante anche l’associazione con il diavolo e quindi con il peccato. In effetti, pensandoci, nei cartoni animati o comunque nell’immaginario comune, il verde è associato anche al veleno, a sostanze nocive, al serpente. Mondrian lo detestava a tal punto che, se si trovava in una stanza con finestre dalle quali era possibile scorgere un paesaggio naturale verdeggiante, cambiava la posizione della sedia in modo da dargli le spalle. Lo escluse categoricamente dalla sua produzione artistica e della sua vita.
Pensare che anche il rosso è associato al carnale, al peccato, agli inferi, a Lucifero.
Ho rivisto ultimamente per l’ennesima volta, una delle mie pellicole preferite di Hitchcock, Marnie. L’uso che il regista inglese fa del colore è magistrale. La protagonista, interpretata dalla elegantissima e gelida Tippi Hedren, è letteralmente terrorizzata dal colore rosso per via di traumi infantili legati al sesso e alla morte (spoiler!). Il rosso la turba, la sconvolge, la desta dall’austerità e dalla compostezza che la contraddistinguono per tutta la durata del film. Adoro l’eleganza e lo stile delle donne hitchcockiane, sempre irrigidite da classici tailleur e da acconciature scultoree; troppe composte per non nascondere un segreto o un trauma dai toni rossi.

Sara: Marnie fu anche un film che divise la critica, sicuramente elegante e sicuramente espressionista. Mi hai fatto pensare al cinema espressionista tedesco, a proposito di effetti demoniaci e trucchi teatrali, pensa se avessero avuto tra le mani il Technicolor!
L’espressionismo tedesco fu una scoperta incredibile per me alle medie. Nella mia camera natale l’unico poster sopravvissuto da allora è un gigantesco Jawlensky, il ritratto a grandezza naturale del ballerino Sakharoff, che sfoggia un violentissimo rosso, un poster che tra l’altro mi avevano regalato alla Neue Galerie di Monaco. ero in gita scolastica e ricordo che avevano questi poster di una mostra appena conclusasi, sul Der Blaue Reiter ed io ero tristissima perché all’epoca erano i miei pittori preferiti. E fu così che al bookshop mi regalarono il poster, insieme ad un cervo di Franz Marc che però non so dove sia. Non sono più tra i miei preferiti ma a scuola, da insegnante, faccio sempre una unit sull’espressionismo tedesco e il ritratto. In realtà a scuola, faccio una unit anche sul cinema astratto dell’Avanguardia tedesca e devo dire che un Oskar Fischinger, padre della visual music, conquista anche gli adolescenti.

Ester: Vorrei poter seguire anche io il tuo corso su Oscar Fischinger!
Ti capisco, anche io ho amato molto il cinema espressionista durante gli anni di studio presso il Dams di Bologna. Ma ho amato il cinema muto in generale, soprattutto dopo averne scoperto e studiato i metodi di colorazione della pellicola. Pensare che le tecniche di colorazione usate in quel periodo, la colorazione a mano a pochair, l’imbibizione e il viraggio, viste ore, nell’epoca del digitale, sembrano esperimenti sperimentali d’avanguardia! Soprattutto le pellicole colorate con il pennellino fotogramma per fotogramma, nelle quali il colore in movimento deborda dai contorni delle figure, mi sembrano quasi esperimenti cromatici astratti…

Sara: Allora Ester, il nostro prossimo progetto dovrebbe essere su pellicola! In Italia lavorare con formati analogici non è semplicissimo, anche se una piccola nicchia lo fa. Ma io direi di puntare alla nostra amata New York, che ha ormai un colore nostalgico, lontano dal sinofuturismo delle metropoli asiatiche. Anni fa stavo per partecipare a dei workshop organizzati da un non-profit a Brooklyn, che si occupa solo di formati analogici, super8, 8mm, 16mm, offrendo vari workshop. Si chiama Mono No Aware (concetto giapponese bellissimo che potrebbe sposarsi molto bene con i nostri discorsi sul colore). Spesso i workshop sono incentrati sulla manipolazione della pellicola, alcuni sono proprio non-camera workshop, quindi solo graffio e colore direttamente sulla pellicola. Se invece preferisci la temperatura colore di LA, andiamo ai workshop su pellicola dell’Echo Park Film Center, dopo aver fatto ricerca al Center for Visual Music, che mi manca, non so sul Lumigraph di Fischinger. Come sai io non ho mai suonato, e ho sempre detto che vedo la musica più che la ascolto. Fischinger ha scritto: “Thus we find that music is not limited to the world of sound; there also exists a music of the visual world”.
In fondo il colore, la luce, esattamente come il suono, è una variazione di lunghezze d’onda. Nel frattempo mi è venuto in mente che potremo iniziare con le scale cromatiche di Luigi Veronesi, altrimenti sembro esterofila invece l’Italia non dovrebbe dimenticare queste ricerche di quasi un secolo fa. Insomma, che suono ha il rosso?

Ester: Vediamo, parlando di sinestesia…il rosso è vitale, è barocco, è esplosivo, potrebbe essere il brano “Traveler in the Wonderland” del musicista giapponese Susumu Yokoda.
Riguardo la tua proposta di viaggio, concordo sull’itinerario da te pensato; direi a questo punto di tornare insieme a New York (quanto mi manca!) e proseguire per LA., alla ricerca della cinematografica luce californiana.
Incomincio a preparare la mia valigia blu!

ABOUT ESTER GROSSI

Ester Grossi, nata ad Avezzano (AQ) nel 1981.
Dopo il diploma in Moda, Design e Arredamento, consegue la laurea specialistica in Cinema, Televisione e Produzione Multimediale presso l’Università di Bologna. Si dedica da anni alla pittura ed ha all’attivo diverse mostre in Italia e all’estero. Ha realizzato inoltre manifesti per festival di cinema, musica e teatro, cover di album di band internazionali; collabora frequentemente con musicisti, video-artisti e designer per la realizzazione di progetti multidisciplinari.

Website: www.estergrossi.com
Instagram: www.instagram.com/estergrossi

ABOUT SARA BONAVENTURA

Sono Sara Bonaventura, artista ed atelierista. Lavoro ibridando codici e linguaggi diversi, arti visive, lens based e new media. I miei lavori video sono stati proiettati in tutto il mondo; all’Anthology Film Archives di New York, all’Ann Arbor Film Festival, al Miami New Media Festival, al MACRO, alla Cinemateca do MAM di Rio per il Dobra Festival, alla Boston Cyber Arts Gallery e altro ancora.

Ho vinto il Veneto Region Award al 10° Lago Film Fest e un premio al Sino per NIIO Illumination Art Prizes 2019, con una mia animazione esposta nello skyline di Hong Kong in uno degli schermi pubblici più grandi al mondo; ho partecipato a diverse residenze, ad esempio selezionata da Joan Jonas alla Fundacion Botin (Santander, Spagna).

Recentemente ho partecipato all’ISEA, I’nternational Symposium for Electronic Arts, a Gwangju, in Corea del Sud. Sto lavorando al mio primo corto di finzione e finalizzando il mio primo documentario, Forest Hymn for Little Girls.

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