Ci sono voci che continuano a parlare anche nel silenzio. E ci sono figure, come quella di Papa Francesco, che riescono a lasciare una traccia non solo nelle coscienze ma anche nei luoghi della bellezza, della cultura e della spiritualità.
Una preghiera in occasione della sua scomparsa ma anche un ricordo del suo pensiero. Un gesto di memoria e gratitudine verso una visione che ha saputo restituire all’arte tutta la sua forza originaria: quella di ferire dolcemente lo spirito, di interrogarlo, di elevarlo.
Papa Francesco ha attraversato il suo pontificato con uno sguardo sensibile alla dimensione artistica come strumento di dialogo, cura, annuncio. Non semplice ornamento liturgico, né privilegio intellettuale, ma linguaggio universale dell’anima. Una visione concreta e profonda, espressa con coerenza attraverso parole, gesti e iniziative culturali che meritano di essere ricordate. Perché, come lui stesso ha detto,
la Chiesa ha bisogno dell’arte, il mondo ha bisogno di bellezza».
Non è mai stato un papa “esteta”, Francesco. Non ha mai cercato nell’arte la sublimazione formale del divino, ma piuttosto la sua ferita nel mondo. La bellezza, nel suo pensiero, non ha nulla di consolatorio. È uno strappo. È un dialogo con l’ombra, uno squarcio di misericordia dentro la complessità del presente. Non è un caso che abbia sempre amato Caravaggio: artista “di strada”, contraddittorio, capace di rendere sacro il dolore e la carne, la tenerezza e la contraddizione. È questo sguardo che ha voluto riportare nella Chiesa: non un’estetica della perfezione, ma un’etica della compassione.
Fin dal principio del suo pontificato, Papa Francesco ha ribadito il ruolo insostituibile dell’arte come via privilegiata verso il mistero, ponte tra la spiritualità e l’umano, tra la memoria e il presente. In un tempo segnato da fratture culturali, dalla dispersione del senso e dalla solitudine esistenziale, la sua voce ha indicato nella bellezza non un rifugio estetico, ma una forma di resistenza e redenzione.
L’arte non è un lusso, ma una necessità dello spirito. Non è fuga, ma responsabilità, invito all’azione, richiamo, grido. Educare alla bellezza significa educare alla speranza
L’arte come strumento di annuncio e risveglio
Nel 2015, in collaborazione con i Musei Vaticani e Mondadori, Papa Francesco pubblica La mia idea di arte, un volume curato da Tiziana Lupi che offre per la prima volta una sintesi organica della sua visione estetica e pastorale. Un’opera divulgativa ma densamente ispirata, in cui l’arte viene descritta come “potente strumento di evangelizzazione”, capace di coniugare verità e bellezza e in cui “l’artista diventa testimone e tramite espressivo dell’invisibile”.
I musei devono accogliere le nuove forme d’arte. Devono spalancare le porte alle persone di tutto il mondo. Essere uno strumento di dialogo tra le culture e le religioni, uno strumento di pace. Essere vivi! Non polverose raccolte del passato solo per gli ‘eletti’ e i ‘sapienti’, ma una realtà vitale che sappia custodire quel passato per raccontarlo agli uomini di oggi…”
Papa Francesco, La mia idea di arte (2015)
Nel libro vengono selezionate undici opere esemplari, tra cui il Torso del Belvedere, la Deposizione di Caravaggio e la Volta della Sala di Costantino, ognuna accompagnata da una riflessione che intreccia iconografia, storia e aneddoti. Il risultato è un percorso visivo e spirituale che restituisce il senso profondo dell’arte come linguaggio universale dell’anima.
Iniziative e fondazioni per la cultura
L’impegno del Papa per l’arte si è tradotto anche in tante azioni concrete.
In numerosi incontri con artisti, Francesco ha ribadito che l’arte non è un lusso per pochi, ma un bisogno primario dell’umanità. Davanti a pittori, scultori, musicisti e scrittori riuniti nella Cappella Sistina, ha affermato:
L’arte non può mai essere un anestetico; dà pace, ma non addormenta le coscienze, le tiene sveglie.”
Discorso agli artisti, 23 giugno 2023
Ancora più esplicito è stato nel 2022:
La Chiesa ha bisogno dell’arte, il mondo ha bisogno di bellezza. L’arte fa bene alla vita, cura, aiuta a camminare avanti.”
Papa Francesco, Udienza ai partecipanti alla Conferenza internazionale su estetica teologica, 17 febbraio 2022
In queste parole si avverte un’eco di quella via pulchritudinis tanto cara alla tradizione cristiana, ma declinata con un accento tutto contemporaneo: la bellezza non come rifugio dal mondo, ma come linguaggio per abitarlo con maggiore consapevolezza e compassione.
Un ponte tra culture, un gesto di pace
L’arte, per Papa Francesco, è anche un “ponte tra culture e popoli”, capace di abbattere i muri dell’indifferenza. L’ha ribadito incontrando i Patrons of the Arts dei Musei Vaticani, evidenziando la dimensione sociale e interculturale dell’arte:
L’arte ha il potere di favorire il riconoscimento della nostra comune umanità, di costruire ponti tra culture e popoli.”
Papa Francesco, 2017
Da qui l’insistenza nel rendere i musei luoghi vivi, accoglienti, accessibili. Strutture non più votate al culto del passato, ma piattaforme di scambio e coesistenza.
La presenza alla Biennale 2024
Nel 2024 Papa Francesco ha fatto la sua storica prima visita alla Biennale d’Arte di Venezia (la prima volta per un Pontefice) partecipando al Padiglione della Santa Sede all’interno del carcere femminile della Giudecca.
Intitolato Con i miei occhi, il padiglione presentava opere di otto artisti internazionali focalizzate sui diritti umani e la dignità degli ultimi, temi centrali nel pensiero del Papa.
Durante l’incontro con le detenute, ha sottolineato che il carcere può essere un luogo di rinascita e ha ribadito l’importanza di non togliere mai dignità alle persone. Nella sua riflessione agli artisti, Francesco ha definito l’arte una “città rifugio” capace di opporsi a violenza e discriminazione, promuovendo solidarietà, appartenenza e giustizia, e ha espresso il suo sentirsi “a casa” accanto a chi crea, enfatizzando il ruolo dell’arte nel mettere al centro gli ultimi e costruire dialogo umano.
Nel magistero di Papa Francesco, l’arte non è mai accessoria. È linfa spirituale, è veicolo di giustizia, è parola alternativa in un mondo assordato dal rumore. Con ogni parola spesa davanti a un’opera o a un artista, il Pontefice riafferma un’idea coraggiosa e radicale: che la bellezza, quando è vera, può cambiare il mondo.
Riportiamo per ultimo una sua lettera-discorso fatta durante il 50° anniversario della inaugurazione della Collezione d’Arte Moderna dei Musei Vaticani alla Cappella Sistina il 23 giugno 2023.
Buongiorno, benvenuti! Qui tutto è arte, lì, voi, tutti! Benvenuti!
Vi ringrazio per aver accolto il mio invito. La vostra presenza mi rallegra, perché la Chiesa ha sempre avuto un rapporto con gli artisti che si può definire nello stesso tempo naturale e speciale. Si tratta di un’amicizia naturale, perché l’artista prende sul serio la profondità inesauribile dell’esistenza, della vita e del mondo, anche nelle sue contraddizioni e nei suoi lati tragici. Questa profondità rischia di diventare invisibile allo sguardo di molti saperi specializzati, che rispondono a esigenze immediate, ma stentano a vedere la vita come realtà poliedrica. L’artista ricorda a tutti che la dimensione nella quale ci muoviamo, anche quando non ne siamo consapevoli, è quella dello Spirito. La vostra arte è come una vela che si riempie dello Spirito e fa andare avanti. L’amicizia della Chiesa con l’arte è dunque qualcosa di naturale. Ma è pure un’amicizia speciale, soprattutto se pensiamo a molti tratti di storia percorsi insieme, che appartengono al patrimonio di tutti, credenti o non credenti. Memori di questo aspettiamo nuovi frutti anche nel nostro tempo, in un clima di ascolto, di libertà e di rispetto. La gente ha bisogno di questi frutti, di frutti speciali.
Romano Guardini scriveva che «lo stato in cui si trova l’artista mentre crea è affine a quello del fanciullo e pure del veggente» (L’opera d’arte, Brescia 1998, 25). Mi sembrano due paragoni interessanti. Secondo lui «l’opera d’arte apre uno spazio in cui l’uomo può entrare, in cui può respirare, muoversi e trattare le cose e gli uomini, fattisi aperti» (ivi, p. 35). È vero, quando si opera nell’arte i confini si allentano e i limiti dell’esperienza e della comprensione si dilatano. Tutto appare più aperto e disponibile. Allora si acquista la spontaneità del bambino che immagina e l’acutezza del veggente che coglie la realtà.
Sì, l’artista è un bambino – non deve suonare come un’offesa –; significa che si muove anzitutto nello spazio dell’invenzione, della novità, della creazione, del mettere al mondo qualcosa che così non si era mai visto. Facendo questo, smentisce l’idea che l’uomo sia un essere per la morte. L’uomo deve fare i conti con la sua mortalità, è vero, ma non è un essere per la morte, bensì per la vita. Una grande pensatrice come Hannah Arendt afferma che il proprio dell’essere umano è quello di vivere per portare nel mondo la novità. Questa è la dimensione di fecondità dell’uomo. Portare la novità. Anche nella fecondità naturale ogni figlio è una novità. Aprire e portare novità. Voi artisti realizzate questo, facendo valere la vostra originalità. Nelle opere mettete sempre voi stessi, come esseri irripetibili quali noi tutti siamo, ma con l’intenzione di creare ancora di più. Quando il talento vi assiste, portate alla luce l’inedito, arricchite il mondo di una realtà nuova. Penso ad alcune parole che leggiamo nel Libro del profeta Isaia, quando Dio dice: «Ecco, faccio una cosa nuova, proprio ora germoglia: non ve ne accorgete?» (43,19). E nell’Apocalisse conferma: «Ecco, io faccio nuove tutte le cose» (21,5). La creatività dell’artista sembra così partecipare della passione generativa di Dio. Quella passione con la quale Dio ha creato. Siete alleati del sogno di Dio! Siete occhi che guardano e che sognano. Non basta soltanto guardare, bisogna anche sognare. Diceva uno scrittore latinoamericano che noi, le persone, abbiamo due occhi: uno per guardare quello che vediamo e un altro per guardare quello che sogniamo. E quando una persona non ha questi due occhi, o soltanto parte di uno o dell’altro, le manca qualcosa. Vedere quello che sogniamo… La creatività dell’artista: non basta soltanto guardare, bisogna sognare. Noi esseri umani aneliamo a un mondo nuovo che non vedremo appieno con i nostri occhi, eppure lo desideriamo, lo cerchiamo, lo sogniamo.
Voi artisti, allora, avete la capacità di sognare nuove versioni del mondo. E questo è importante: nuove versioni del mondo. La capacità d’introdurre novità nella storia. Per questo Guardini dice che assomigliate anche ai veggenti. Siete un po’ come i profeti. Sapete guardare le cose sia in profondità sia in lontananza, come sentinelle che stringono gli occhi per scrutare l’orizzonte e scandagliare la realtà al di là delle apparenze. In ciò siete chiamati a sottrarvi al potere suggestionante di quella presunta bellezza artificiale e superficiale oggi diffusa e spesso complice dei meccanismi economici che generano disuguaglianze. Quella bellezza non attira, perché è una bellezza che nasce morta. Non c’è vita lì, non attira. È una bellezza finta, cosmetica, un maquillage che nasconde invece di rivelare. In italiano si dice “trucco” perché ha qualcosa dell’inganno. Voi vi tenete distanti da questa bellezza, la vostra arte vuole agire come coscienza critica della società, togliendo il velo all’ovvietà. Volete mostrare quello che fa pensare, che rende vigili, che svela la realtà anche nelle sue contraddizioni, nei suoi aspetti che è più comodo o conveniente tenere nascosti. Come i profeti biblici, ci mettete di fronte a cose che a volte danno fastidio, criticando i falsi miti di oggi, i nuovi idoli, i discorsi banali, i tranelli del consumo, le astuzie del potere. È interessante questo nella psicologia, nella personalità degli artisti: la capacità di andare oltre, di andare oltre, in tensione tra la realtà e il sogno.
E spesso lo fate con l’ironia, che è una virtù meravigliosa. Due virtù che noi non coltiviamo tanto: il senso dell’umorismo e l’ironia, dobbiamo coltivarle di più. La Bibbia è ricca di momenti di ironia, in cui si prendono in giro la presunzione di autosufficienza, la prevaricazione, l’ingiustizia, la disumanità quando si rivestono di potere e a volte pure di sacralità. Fate bene a essere anche sentinelle del vero senso religioso, a volte banalizzato o commercializzato. In questo essere veggenti, sentinelle, coscienze critiche, vi sento alleati per tante cose che mi stanno a cuore, come la difesa della vita umana, la giustizia sociale, gli ultimi, la cura della casa comune, il sentirci tutti fratelli. Mi sta a cuore l’umanità dell’umanità, la dimensione umana dell’umanità. Perché è anche la grande passione di Dio. Una delle cose che avvicinano l’arte alla fede è il fatto di disturbare un po’. L’arte e la fede non possono lasciare le cose come stanno: le cambiano, le trasformano, le convertono, le muovono. L’arte non può mai essere un anestetico; dà pace, ma non addormenta le coscienze, le tiene sveglie. Spesso voi artisti provate a sondare anche gli inferi della condizione umana, gli abissi, le parti oscure. Noi non siamo solo luce, e voi ce lo ricordate; ma c’è bisogno di gettare la luce della speranza nelle tenebre dell’umano, dell’individualismo e dell’indifferenza. Aiutateci a intravedere la luce, la bellezza che salva.
L’arte è sempre stata legata all’esperienza della bellezza. Simone Weil scriveva: «La bellezza seduce la carne per ottenere il permesso di passare fino all’anima» (L’ombra e la grazia, Bologna 2021, 193). L’arte tocca i sensi per animare lo spirito e fa questo attraverso la bellezza, che è il riflesso delle cose quando sono buone, giuste, vere. È il segno che qualcosa ha pienezza: è infatti allora che ci viene spontaneo dire: “Che bello!” La bellezza ci fa sentire che la vita è orientata alla pienezza. Nella vera bellezza si comincia così a provare la nostalgia di Dio. Molti sperano che l’arte torni maggiormente a frequentare la bellezza. Certo, come dicevo c’è anche una bellezza futile, una bellezza artificiale e superficiale, persino ingannatrice, quella del trucco.
Ma credo che ci sia un criterio importante per discernere, quello dell’armonia. La bellezza vera, infatti, è riflesso dell’armonia. In teologia – è interessante – i teologi descrivono la paternità di Dio, la filiazione di Gesù Cristo, ma quando si tratta di descrivere lo Spirito Santo: lo Spirito è l’armonia. Ipse harmonia est. Lo Spirito è quello che fa l’armonia. E l’artista ha qualcosa di questo Spirito per fare l’armonia. Questa dimensione umana dello spirituale. La bellezza vera, infatti, è riflesso dell’armonia. Essa, se posso dire così, è la virtù operativa della bellezza. È il suo spirito di fondo, in cui agisce lo Spirito di Dio, il grande armonizzatore del mondo. L’armonia è quando ci sono delle parti, diverse tra loro, che però compongono un’unità, diversa da ognuna delle parti e diversa dalla somma delle parti. È una cosa difficile, che solo lo Spirito può rendere possibile: che le differenze non diventino conflitti, ma diversità che si integrano; e nello stesso tempo che l’unità non sia uniformità, ma ospiti ciò che è molteplice. L’armonia fa questi miracoli, come a Pentecoste. Sempre mi colpisce pensare allo Spirito Santo come quello che permette di fare i disordini più grandi – pensiamo alla mattina di Pentecoste – e poi fa l’armonia. Che non è l’equilibrio, no, per fare l’armonia ci vuole prima lo squilibrio; l’armonia è un’altra cosa rispetto all’equilibrio. Quanto è attuale questo messaggio: siamo in un tempo di colonizzazioni ideologiche mediatiche e di conflitti laceranti; una globalizzazione omologante convive con tanti localismi chiusi. Questo è il pericolo del nostro tempo. Anche la Chiesa può risentirne. Il conflitto può agire sotto una finta pretesa di unità; così le divisioni, le fazioni, i narcisismi. Abbiamo bisogno che il principio dell’armonia abiti di più il nostro mondo e cacci via l’uniformità. Voi artisti potete aiutarci a lasciare spazio allo Spirito. Quando vediamo l’opera dello Spirito, che è creare l’armonia delle differenze, non annientarle, non uniformarle, ma armonizzarle, allora capiamo cosa sia la bellezza. La bellezza è quell’opera dello Spirito che crea armonia. Fratelli e sorelle, il vostro genio percorra questa via!
Cari amici, sono felice di questo incontro con voi. Prima di salutarvi, ho ancora una cosa da dirvi, che mi sta a cuore. Vorrei chiedervi di non dimenticarvi dei poveri, che sono i preferiti di Cristo, in tutti i modi in cui si è poveri oggi. Anche i poveri hanno bisogno dell’arte e della bellezza. Alcuni sperimentano forme durissime di privazione della vita; per questo, ne hanno più bisogno. Di solito non hanno voce per farsi sentire. Voi potete farvi interpreti del loro grido silenzioso.
Vi ringrazio e vi confermo la mia stima. Vi auguro che le vostre opere siano degne delle donne e degli uomini di questa terra, e rendano gloria a Dio, che è Padre di tutti, e che tutti cercano, anche attraverso l’arte. E infine vi chiedo, armonicamente, di pregare per me. Grazie.