A Milano nasce ADEC ARTE, una vetrina permanente sull’arte contemporanea.
ADEC, centro medico polispecialistico attivo a Milano dal 1986, inaugura il suo nuovo spazio in Via Edmondo De Amicis, 28 con l’intento, come afferma il suo direttore e fondatore Luciano Passaler, “di offrire alla città di Milano un segno di concreta gratitudine per l’apprezzamento di cui si è sentita circondata fin dalla sua costituzione”, mettendo a disposizione le tre ampie e luminose vetrine sulla strada, da utilizzare non per pubblicizzare se stessa e la propria attività, ma per donare alla città un luogo diverso per promuovere l’arte e la bellezza a vantaggio di tutti. Il proposito di ADEC è che l’arte non resti confinata solo in spazi eletti a tale scopo, ma venga portata sulla strada, come un museo a cielo aperto, visibile a chi passa, affinché un numero sempre maggiore di persone possa fruirne.”
Jean Clair, nel suo libro, “L’inverno della cultura”, (SKIRA, 2011), ha scritto che i musei allontanano le persone comuni dall’arte e la cultura, spingendoli poi ad entrarvi e visitarli per sentirsi parte di qualche cosa di importante, senza però dare loro gli strumenti per la comprensione, facendoli uscire senza avere compreso nulla, più soli ed emarginati di quando sono entrati. Il progetto di ADEC, invece, vuole porre resistenza a questo isolamento culturale, mettendo a disposizione le proprie energie per far sì che questo non accada. La vetrina diventa così non solo uno spazio fisico ma soprattutto culturale, un teatro a disposizione di chi vuole vedere, dove gli artisti si costruiscono una nicchia esistenziale che diviene condizione fondamentale del loro lavoro, che si estende a costruire una casa comune con lo spettatore nella strada.
Il progetto si sviluppa in un percorso temporale che vedrà alternarsi artisti storici ed altri contemporanei, impegnati in una nuova esperienza espositiva, senza la metaforica protezione, sia fisica che culturale, del perimetro di uno spazio delimitato da muri. La trasparenza del vetro, l’evidenza della realtà messa a nudo, senza veli e compromessi, sottolineerà l’attitudine interdisciplinare della loro ricerca che consentirà loro di muoversi al di là dei limiti dello spazio, ponendosi al crocevia tra arte visiva, fotografia e installazione. L’ambiente delle vetrine, da costruire e plasmare, diviene quindi il luogo dove le opere si confrontano con il mondo esterno in un incrocio di relazioni finalmente più accessibile e fruibile in qualsiasi momento della giornata.
IL CICLO DI MOSTRE
Le mostre che prenderanno l’avvio il prossimo 24 maggio con il fotografo isrealiano, Michael Ackerman, (Tel Aviv, 1967), vedranno avvicendarsi, nel corso dell’anno solare, due importanti artisti storici, Yoko Ono, (Tokyo, 1933) e Wolf Vostell, (Leverkusen, 1932 – Berlino, 1998) e l’artista/fotografa albanese Nerina Toci, (Tirana, 1988).
Si tratta di un ciclo di mostre mosse da fenomeni di attrazione e repulsione, partendo dall’affermazione di Roland Barthes: “senza dubbio l’immagine non è il reale; ma ne è quantomeno l’analogo perfetto”.
L’arte non può limitarsi a riprodurre la realtà così come viene percepita ma deve necessariamente operare un passaggio, trasformare qualcosa in qualcos’altro.
Questo hanno fatto gli artisti protagonisti, cogliendo la profonda disarmonia della vita, con opere che hanno forme e significati assoluti e che nascono dalla necessità di non creare nuovi simulacri passeggeri dando forma ad una nuova rinascita nell’irrealtà che ci circonda. L’intento curatoriale è riportare, attraverso i sensi dell’osservatore, ad un alto livello percettivo che non comprenda solo il guardare, ma il vedere e il sentire. L’idea espositiva si pone dunque come momento di riflessione corale, in cui lo stimolo alla meditazione non è riservato solo al pubblico ma rappresenta una fonte d’ispirazione e di ricerca per gli stessi artisti, attenti a leggere nelle pieghe del loro tempo, come ogni artista deve poter fare.
LA PRIMA MOSTRA
La prima mostra è con il fotografo israeliano Michael Ackerman, “Sagome fluttuanti”, a cura di Davide Di Maggio, in collaborazione con Claudio Composti / mc2gallery.
Nel lavoro di Michael Ackerman, documentario e autobiografia concorrono alla finzione, e tutto si dissolve in allucinazione. La sua fotografia è sempre stata attraversata da tematiche ordinarie e straordinarie: tempo e atemporalità, storia personale e storia dei luoghi restituite tramite immagini deteriorate e danneggiate, non come scelta stilistica ma come rimando analogico all’esperienza, che non è mai incontaminata. I suoi particolari viaggi abbracciano New York, L’Avana, Berlino, Napoli, Parigi, Varsavia e Cracovia, ma i luoghi non sono necessariamente riconoscibili.
Già da tempo, nelle sue fotografie, Ackerman muove verso la cancellazione delle distinzioni geografiche e di altra natura con la volontà di allontanarsi dalle restrizioni del metodo documentario tradizionale. Se il lavoro di Ackerman appare duro a prima vista, i paesaggi ci riportano a una delicatezza equilibrata, a una fiducia nella bellezza. L’artista ha un interesse profondo per gli arcaici treni coperti di neve che attraversano l’Europa e che l’hanno attraversata, soprattutto l’Europa Orientale. Su questi treni, oggi, si percorrono centinaia di chilometri, ma durante il viaggio non si è in nessun luogo e, d’inverno, si fluttua in mezzo al biancore, che inevitabilmente contrasta e ci rimanda con la memoria ai terribili treni merci delle deportazioni naziste, con i vagoni piombati, che durante la seconda guerra mondiale percorrevano incessantemente le stesse rotte. Lo stesso candore ma ben diversa percezione.
INFO
Michael Ackerman. Sagome fluttuanti
a cura di Davide Di Maggio
ADEC ARTE
Via Edmondo De Amicis, 28 Milano
25 maggio – 30 agosto 2022