Ecco le nuove mostre e focus espositivi a Rovereto
Giuliano Vangi. Colloquio con l’antico
Oltre cinquanta sculture e una ventina di disegni − di cui uno di 36 metri, realizzato appositamente per questa mostra − accolgono i visitatori e le visitatrici del Mart. L’esposizione dedicata a Giuliano Vangi comincia nella piazza del museo e si sviluppa nelle gallerie del secondo piano ripensate per l’occasione da chi vent’anni fa le ha progettate: l’archistar Mario Botta. Grande amico dell’artista, Botta lo ha invitato più volte a confrontarsi con alcune delle sue architetture religiose: la cappella di Azzano di Serravezza, la chiesa di Giovanni XXIII a Seriate e, più di recente, quella di Namyang in Corea del Sud, per la quale Vangi ha realizzato una crocifissione lignea e due grandi vetrate. Oggi, nell’antologica ideata dal Presidente Vittorio Sgarbi, i ruoli si invertono: è Vangi a coinvolgere Botta, a conferma di un sodalizio di lunga data, non solo artistico.
L’allestimento, a cura di Botta Architetti (Mario e Tommaso Botta), si apre con una sorta di esedra, luogo di ritrovo e di incontro con l’arte, come la stessa piazza del museo. Si prosegue in un grande open space suddiviso in tre navate, scandite da alcuni prismi che contegono le nicchie con le opere antiche e gli avori di Vangi.
Oltre che con l’architettura contemporanea, al Mart Vangi dialoga con alcuni artisti gotici o rinascimentali: primi fra tutti Giovanni Pisano, Donatello e Michelangelo Buonarroti, ma anche Jacopo della Quercia, Tino di Camaino, Agostino di Giovanni, Francesco di Valdambrino.
Dodici le opere antiche in mostra, tra cui tre disegni di Michelangelo provenienti da Casa Buonarroti, il Busto di Niccolò da Uzzano di Donatello, appartenente alle raccolte del Bargello, e un Crocifisso di inizio Trecento di Giovanni Pisano, dalla Chiesa di Sant’Andrea di Pistoia.
Il confronto tra la scultura di Vangi e l’arte del passato, da quella etrusca in poi con particolare attenzione alla storia toscana, da anni suggerisce riflessioni ad alcuni tra i più noti critici e storici dell’arte, per esempio Carlo Ludovico Ragghianti, Enzo Carli, Luigi Carluccio. Come illustrato nel catalogo, Vangi reinterpreta e magistralmente rinnova un filone tra i più ricchi della grande storia dell’arte italiana. I curatori della mostra alludono a una “impronta genetica” ereditata da Vangi, una “linea del sangue: Giovanni Pisano, e gli sviluppi della sua lezione, con Agostino di Giovanni e Tino di Camaino; e poi l’eleganza formale, che l’onda lunga del gotico internazionale depone sulla battigia dell’umanesimo, con Francesco di Valdambrino e Jacopo della Quercia, fino alla piena maturità della stagione rinascimentale, con Donatello, Matteo Civitali, Michelangelo, è quella che traccia i principali indirizzi della ricerca di Vangi, così come la si vuole far emergere e celebrare con questa mostra, che ripercorre per intero la storia artistica di uno scultore per il quale l’impronta della tradizione toscana e la maestria di un sapere antico hanno rappresentato uno straordinario bagaglio espressivo, al servizio di una rara sensibilità e di una grande immaginazione”.
Dopo un breve esordio legato all’astrattismo, Vangi torna alle proprie radici, a quella classicità che recupera senza subordinamento ma con audace rinnovamento, con rigorosa sintesi plastica e formale. Ben rappresentata in mostra con opere che vanno dagli anni Sessanta a oggi, la grande arte di Vangi risulta autonoma, universale, ieratica.
L’originalità si manifesta nell’abilità di pittore e nella sublime capacità scultorea. Non c’è materiale che non interessi la visione plastica di Vangi: la pietra e il marmo più forti; diversi tipi di legno, come l’ebano; i metalli e il bronzo; le moderne resine; il raro avorio. In alcuni periodi Vangi realizza sculture polimateriche e policrome, utilizzando i colori – come i più antichi fra gli antichi –, smalti, vernici. Altrove applica protesi, denti di porcellana, occhi di vetro, conferendo alle sue sculture una particolare forza espressiva.
La ricerca di Vangi investe la condizione umana tutta: il senso di solitudine, lo smarrimento, le inquietudini del presente. Con rara efficacia nel rappresentare la solidità e la stabilità, così come la precarietà, i corpi rivelano l’eterno tentativo di resistere al disagio esistenziale. In questa indagine sono cruciali le apprensioni sugli urgenti cambiamenti climatici e le catastrofi ambientali che rendono l’angoscia individuale collettiva.
Vangi raffigura gli esseri umani moderni con compassione, con pietas partecipata e senziente. Nella solennità e nell’eternità della sua opera, c’è qualcosa di spirituale, religioso o laico che si preferisca, un portato sacro quanto sacra può essere l’esistenza.
Focus On_Giuliano Vangi
La mostra è l’occasione per presentare in anteprima un docufilm su Giuliano Vangi realizzato negli ultimi mesi con interviste all’artista, all’architetto Botta, a Vittorio Sgarbi, a Nicola Loi, Studio Copernico, e a Koko Okano, direttrice del Museo Vangi di Mishima.
Giuliano Vangi, che ha compiuto novant’anni, si racconta in un documentario. E lo fa a Pietrasanta, ai piedi delle Alpi Apuane, nel grande atelier, dove crea le sue opere e sta preparando la sua grande opera per Seul. Tra le pareti verticali delle cave di marmo, e a Pesaro, la città dove vive. Un racconto e un viaggio tra progetti e opere, ricordi e emozioni, ricerca e passione del grande scultore italiano”.
Arte e Eros
Arte e Eros prende le mosse da un consistente nucleo di disegni – il più ampio mai presentato in Italia – di Pierre Klossowski, fratello del pittore Balthus e intellettuale di spicco del Novecento. Filosofo, scrittore e traduttore, negli anni Cinquanta inizia a illustrare i suoi romanzi. Focalizzati sull’immaginario sessuale, i suoi disegni si confrontano con parte della produzione erotica di Pierre Molinier, Hans Bellmer e Carol Rama.
Nato nel 1905, Pierre Klossowski è una delle figure chiave della Francia del Novecento, tra i protagonisti assoluti della riscoperta e rilettura dell’opera del Marchese De Sade, al centro del suo Sade prossimo mio. Riferimento per importanti filosofi, tra cui Michel Foucault e Gilles Deleuze, Klossowski è stato intellettuale, romanziere e traduttore.
È a partire dagli anni Cinquanta che inizia a illustrare i suoi romanzi e dal 1965 – anno di pubblicazione de Il Bafometto – si dedica esclusivamente al disegno abbandonando l’attività letteraria. Prima a matita e poi a pastelli colorati, le sue illustrazioni oltre a riprendere scene già presenti nelle sue opere letterarie approfondiscono quello che è stato uno dei temi centrali della sua produzione: l’erotismo. E questo accade per un motivo: la raffigurazione sfonda il limite imposto dallo scritto; il disegno supplisce con la sua immediatezza alla parola. L’opera grafica di Klossowski sostiene una “filosofia scellerata” che esplora impulsi sessuali implacabili: i personaggi, discostandosi dalle convenzioni sociali, sono rapiti da una condotta anomala e irriverente nei confronti della ragione.
LA MOSTRA
In mostra il più ampio nucleo di opere di Klossowski mai presentato in Italia, 48 disegni di grande formato, instaura un confronto con la produzione di altri tre artisti – Carol Rama, Hans Bellmer e Pierre Molinier – coevi e profondamente influenzati dall’esperienza surrealista.
Per i Surrealisti l’esplorazione e la pratica del sesso rappresentavano uno dei percorsi per arrivare alla conoscenza, in un clima di libertà, di superamento dei confini collettivi e cognitivi, di sperimentazione degli eccessi, dalle droghe alle orge. Obiettivo: oltrepassare i vincoli morali socialmente imposti.
Figli delle stesse geografie culturali e frequentatori degli stessi ambienti, Klossowski, Rama, Bellmer e Molinier esplorano il rapporto tra arte e eros con esiti del tutto differenti, tra provocazione pura e ricerca estetica. Eredi del Surrealimo, saranno a loro volta ispiratori delle artiste e degli artisti che nei decenni successivi indagheranno il corpo e la sua rappresentazione, la libertà sessuale, la body art.
Consigliata ad un pubblico adulto, Arte e Eros contribuisce alla liberazione e alla sdrammatizzazione di un immaginario erotico già molto noto agli studiosi e agli artisti.
Il percorso espositivo inizia con alcuni tableaux vivants di Klossowski, disegni che raggiungono i due metri d’altezza e che mettono in scena le vicende erotiche delle sue opere letterarie, in particolare di Roberte ce soir, cuore della trilogia Le leggi dell’ospitalità.
Personaggio principale di questa serie di romanzi è Roberte, alter ego della moglie di Klossowski e sposa di Octave. Sottoposta alle leggi del marito, la protagonista deve assecondare le perversioni degli ospiti della casa.
I disegni rappresentano il punto di partenza da cui affiorano i temi chiave dell’erotismo di Klossowski: il rito religioso, l’aggressione, il feticismo e la curiosità adolescenziale.
A quest’ultimo centrale soggetto è dedicata un’intera sala della mostra: la pubertà rappresenta la scoperta del sesso in modo curioso, libero, voyeurista.
L’intera produzione di Klossowski, se pur audace e provocatoria, resta controllata, intellettuale, come imbrigliata in una tensione che pare non risolversi mai.
Al contrario, Rama, Molinier e Bellmer esplorano i propri mondi passionali in modo viscerale, psicologico, istintivo, irrazionale, persino deprecabile.
La mostra prosegue con una sezione dedicata a Carol Rama, Leone d’Oro alla carriera nel 2003. Caratterizzati da una forte carica erotica dagli enigmatici risvolti psichici, pittura e disegno diventano strumenti per dare libero sfogo alla sessualità − altrimenti relegata nella sfera dell’intimità − e all’inconscio più segreto. Tra le prime donne a dedicarsi a temi considerati scabrosi, rappresenta con una forza inedita il corpo femminile imperfetto, disfatto, impedito.
Totalmente diversa è la poetica di Pierre Molinier: “fluido” edonista precursore della body art, rifugge attraverso la fotografia quelle che considera le coercizioni della morale.
Al Mart sono esposte circa 50 opere: autoscatti e fotomontaggi nei quali l’autore compare en travesti nella sua casa di Parigi. Qui la trasgressione vira verso il feticismo e il BDSM, tra tacchi a spillo, bambole e sex toys.
Infine Hans Bellmer è predatorio. La sua produzione è più organizzata e scientifica.
Nelle fotografie e nei collage corpo e psiche si compenetrano con violenza, si fondono e mischiano rispondendo a pulsioni più estreme e inquietanti. È lui stesso a costruire una bambola sessuale da ritrarre con gusto surrealista e sguardo perverso, rappresentando il corpo abusato e la possessione.
L’esposizione presenta diversi volti dell’eros, tra perversioni e libertà, capaci di mettere in forma alcune delle tensioni intrinseche dell’immaginario erotico.
Il progetto è completato da preziosi contenuti video tra cui la proiezione di una selezione di scene tratte da Roberte ce soir, lungometraggio del 1979 interpretato dall’artista stesso e dalla moglie Denise Marie Roberte Morin-Sinclaire.
Arte e Eros è il primo capitolo di una trilogia Eretica e Erotica dedicata ad alcuni tra i principali “eretici” del Novecento: artisti che, con la loro vita e con le loro scelte, hanno messo in dubbio, discostandosi, i canoni morali del proprio tempo. A questa prima tappa seguiranno a novembre Eresia e l’anno prossimo una mostra di approfondimento sulla figura di Leonor Fini.
IL CATALOGO
La mostra è accompagnata da un catalogo, pubblicato da Silvana Editoriale, con saggi di Vittorio Sgarbi, Carolina Sprovieri, Marco Vallora, Denis Isaia, testi già noti all’estero e tradotti per la prima volta in italiano di Agnès de La Beaumelle, Alain Fleischer e David Pigeret, testimonianze di Lucien Bilinelli e Massimo Minini.
INFO
GIULIANO VANGI.
COLLOQUIO CON L’ANTICO.
PISANO, DONATELLO, MICHELANGELO
Mart Rovereto, 1 luglio — 9 ottobre 2022
ARTE E EROS
KLOSSOWSKI, MOLINIER, BELLMER, RAMA
Mart Rovereto, 1 luglio — 9 ottobre 2022
In collaborazione con Associazione Belle Arti di Brescia