Intervista – KATJA LOHER: Con l’arte possiamo creare il modo per immergersi in altre realtà

Katja Loher è un’artista multimediale svizzera che vive tra New York e Minorca.

Dall’inizio del suo percorso artistico si è interessata alle immagini in movimento e alle arti performative, fino a creare bellissime “video-sculture” dette anche “organic sculptural forms”.

L’abbiamo incontrata di passaggio a Milano prima di tornare in America per la inaugurazione della mostra “About Invisible Limits” presso la Crossing Art Gallery di Manhattan dal 9 maggio al 3 luglio 2024.

Puoi dirci qualcosa su di te?

Ho frequentato la École Supérieure des Beaux-Arts di Ginevra e mi sono diplomata alla Hochschule für Gestaltung und Kunst di Basilea. Poi mi sono spostata a NYC e la città è diventata subito il centro della mia produzione artistica per i seguenti 15 anni, oltre che uno splendido maestro per capire come vivere l’arte. Il mio interesse è sempre stato verso le arti performative (la danza principalmente) e le immagini in movimento. Ricordo che appena presi in mano una videocamera in accademia compresi che non mi interessava più fare foto perché avevo scoperto il movimento il quale mi avrebbe permesso di trasformare le mie idee in messaggi.
Quindi dall’inizio ho cercato un modo per unire il video con gli oggetti e con l’architettura e aprire portali verso quello che chiamo “architettura di sogni”.

  • Cosa possiamo vedere nella mostra “About Invisible Limits”?

La mostra consiste in quattro spazi contigui che ridanno l’idea delle intersezioni tra i quattro elementi, dato il mio interesse per i confini e gli stati di transizione tra gli elementi. Il percorso inizia con un videoportale che ha proprio la funzione di portale magico (e infatti uso cristalli che creano arcobaleni) per poi addentrarsi verso i vari lavori. Ovviamente c’è uno spazio dedicato al Plankton che è il progetto più importante al momento, e che presenterò questa estate anche a Minorca e a Barcellona. Oltre questo sono evidenziate altre transizioni come per esempio dalla terra al cielo, in cui si mostra la domanda “cosa ha chiesto l’albero alla terra per essere capace di parlare al cielo?”. Ci sono anche alcuni lavori in vetro soffiato della nostra ultima collezione. Per crearli mi avvalgo del mio prezioso storico collaboratore Michiko Sakano, straordinario soffiatore di vetro di base a NYC. Le forme della nostra ultima serie di bolle sono ispirate dai disegni dello scienziato ed artista dell’800 Ernst Haeckel.

  • Come sei arrivata a fare le video-sculture?

Le video-sculture sono opere che ho concepito proprio a New York. In Svizzera avevo molto lavorato come performer, facendo performances dal vivo con il gruppo Video Orchestra. A New York ho iniziato a studiare il lavoro delle gallerie e ho iniziato a pensare di creare qualcosa che fosse “autonomo” e contenesse le arti performative e il video. Pensavo ad un oggetto perché volevo che il pubblico non solo vedesse un mio video ma potesse “vivere” con un mio video. Infatti appena un oggetto artistico entra nelle nostre case siamo più inclini a spendere del tempo con esso. Credo che questo rapporto ci aiuti nel creare uno spazio meditativo. Oggi penso le mie video-sculture siano messaggeri che girano il mondo aumentando la consapevolezza di chi le fruisce e trasformando gli spazi in cui vengono fruite. Sono oggetti vivi e liberi perché li ho liberati. Alla fine il tipo di medium usato è comunque secondario, mentre l’arte è un linguaggio, per questo penso di aver liberato il video dal veicolo, dallo strumento, dalla forma rettangolare della scatola TV.

  • Perché è importante il vetro nella tua arte?

La fluidità e la versatilità del vetro fuso consentono la creazione di motivi intricati, colori vivaci e forme dinamiche. Il vetro mostra un accattivante gioco di trame e trasparenza. Grazie alla natura del vetro soffiato a mano, ogni pezzo è unico. Inizialmente utilizzavo oggetti quotidiani come tazze o tavoli e inserivo i video in questi oggetti. Poi ho capito che non mi piaceva usare oggetti creati da altri… In qualche modo, avevo bisogno di partecipare alla creazione dell’oggetto. Così sono andata in uno studio di vetro a Brooklyn per cercare ispirazione e mentre cercavo di spiegarmi sono rimasta colpita nel vedere delle bellissime bolle di vetro. Il processo di soffiatura e creazione di bolle di vetro ha dato vita a un’idea. Una bolla soffiata è come un momento congelato, un momento molto fragile. Da questa immagine ho iniziato a sviluppare l’idea di incorporare i video all’interno di quelle bolle di vetro. È interessante l’accostamento tra vetro e video perché è come se il video bidimensionale acquisisse tridimensionalità. Tutto è avvenuto ospitando e preservando l’immagine al suo interno.

  • Nei video usi le coreografie. Come le hai create?

La coreografia è la chiave dei video. Soprattutto mostrata attraverso il bird’s eye view. La prima volta che io e il mio team l’abbiamo fatta fu nel 2006. All’inizio fu improvvisata da me che filmavo dall’alto di un tetto tentando di posizionare i ballerini come fossero lettere. Abbastanza presto cambiammo il modo di lavorare adottando il green screen e lavorando con una camera montata sul soffitto ed un pavimento adibito a “green screen floor”. Questo cambio di prospettiva fu importante perché iniziai a vedere le cose in modo diverso, come da fuori del mio corpo, come un astronauta che vede la terra dallo spazio. Questa prospettiva esterna fa capire che la comunicazione avviene grazie alla azione collettiva e non singola. Nelle mie coreografie una persona è solo un punto ma sei persone formano una lettera e questo porta a creare parole e frasi.

  • L’oggetto scultura è importante tanto quanto il video inserito?

Possiamo dire che nascono insieme, l’oggetto è la combinazione della parte fisica con la parte audiovisiva. Oltretutto essa nasce e si sviluppa con le musiche create apposta per essa, fino a creare una esperienza immersiva nello spazio espositivo, perché io sto attenta anche al controllo degli odori e dei profumi.

  • Pensi che le video-sculture siano la forma d’arte del futuro?

Al contrario onestamente sono sorpresa che non si veda molta videoarte alle fiere d’arte contemporanea, sapendo che tali fiere danno comunque una indicazione generale del momento. È strano perché ormai sono più 60 anni che Nam June Paik ha inventato questa forma d’arte e stiamo in un’era ipertecnologica e iperveloce in cui le possibilità sono infinite.

Perché il mercato al momento fatica a vendere la videoarte?

Per me è bello vedere che la pittura non sia morta, tuttavia penso che l’arte sia una piattaforma che deve evolversi per ispirare. Forse la gente ha paura della impermanenza della videoarte, o forse sarebbe importante rendere l’elettronica in essa intercambiabile e consegnare il pezzo acquistato con una garanzia. È anche vero che il momento attuale è positivo per chi lavora con nuove forme artistiche più tecnologiche. Ci sono molte occasioni interessanti come mostre, festival e conferenze dove artisti, scienziati, ingegneri, inventori e simili si riescono a connettere per aumentare la consapevolezza e sperabilmente trasformare questa consapevolezza in azione. Mi viene in mente lo “UN Ocean Decade 2024” recentemente svoltosi a Barcellona. Certo il mercato per la videoarte al momento fatica…

  • Al momento lavori con il plankton, perché questo interesse?

Ho iniziato a lavorare su questo progetto dopo aver lavorato al “Bee Manifesto” sulla scomparsa delle api. Mi sono relazionata a scienziati che lavorano proprio sulla ricerca riguardo il Plankton e grazie a loro ho scoperto moltissimi dettagli. Uso queste piccole creature come metafora. Con il plankton entriamo nel tema dell’acqua, un tema cruciale al momento, e un elemento con cui avevo già lavorato. Creare manifesti come il “Plankton Manifesto” mi serve per aumentare l’impegno, per unire l’arte con l’esperienza e con la scienza, ed essere multidisciplinare. La collaborazione con gli scienziati dell’università di Zurigo garantisce che le informazioni siano corrette. Oggi ci si sta riconnettendo con la natura e anche il mio “Plankton Manifesto” desta interesse. Poi in generale il Plankton è interessante anche perché vive andando sempre alla deriva, dato che non ha altra scelta. Non può decidere la propria direzione. Questo si lega all’idea di seguire l’intuizione per poi arrivare dove si deve veramente arrivare.

  • Andare alla deriva è una forma di libertà?

Io penso di sì perché se ci si mette in ascolto arrivano tutte le risposte. Ma per andare alla deriva bisogna liberarsi dalle sovrastrutture che ce lo impediscono. La gente resta ancorata per tutti i motivi del mondo, motivi che fanno credere che non si possa andare alla deriva. Invece tutti possono, e se lo facessero si arriverebbe ad avere la pace. Andare alla deriva crea la pace dentro di noi e poi noi potremmo creare la pace nel mondo.

  • Quanto sei connessa con l’intuizione?

Anche solo l’idea di questo nuovo lavoro sul Plankton è nata come intuizione. Credo molto nella forza dell’intuizione che è rafforzata sicuramente dalla mia pratica quotidiana. Inizio ogni giorno praticando perché la pratica meditativa mi dà accesso all’intuizione. Mi libera dall’ego, mi libera dal mio sé, mi dà accesso diretto a mondi superiori. Con l’arte possiamo creare il modo per immergersi in altre realtà, altre dimensioni. Connettermi con la natura (fuori e dentro l’acqua) mi aiuta a creare e a trovare il ritmo. Sono Acquario, lavoro con l’acqua, e penso che gli artisti siano messaggeri capaci di entrare in mondi oltre il nostro. Come artisti siamo qui per risvegliare le persone. Siamo in grado di vedere le immagini che arrivano da quei mondi, come se fossimo sciamani. Infatti mi piace pensare che gli artisti siano sciamani e gli sciamani siano artisti. Risvegliare l’intuizione è nostro compito.

  • Pensi che la tecnologia e lo sciamanesimo possano combinarsi?

Sì, perché possiamo creare spazi che generino consapevolezza. Possiamo trasportare la natura nella città. Creare ponti tra la città e la natura è una parte importante delle mie mostre. Ora vivo a Minorca ma a New York il mio studio stava di fianco all’acqua dell’East river e spesso andavo sulla sua riva al tramonto, al momento del cambio di luce. Sedersi su questa piccola spiaggia a guardare lo skyline di Manhattan, le luci che si accendevano, il cielo, i colori che cambiavano, mi aiutava a connettermi con me stessa. Questa pratica mi faceva capire che si può fare esperienza di “natura” anche a NYC. Così quando sto in un posto che reputo “brutto” mi ricordo di guardare il cielo, perché il cielo è sempre bellissimo, ovunque siamo.

L’ARTISTA

L’artista multimediale di origine svizzera Katja Loher presenta le sue opere come forme scultoree organiche, o Videosculture. La fusione quasi perfetta di Loher tra il tecnologico e l’organico riflette il mondo digitale della magia che crea. Ogni pezzo affronta le emergenze ecologiche, come la difficile situazione degli impollinatori, gli abusi della tecnologia e il futuro dell’umanità, attirando allo stesso tempo l’attenzione sulla bellezza intrinseca dei processi di sostegno alla vita che sostengono il nostro pianeta. I suoi pezzi sono il prodotto di uno sforzo di collaborazione tra talenti creativi. Le ballerine assumono la forma di piccole creature in un gioco multicolore di prospettive e proporzioni che nobilita l’esistenza di minuscoli esseri. Gli artisti si intrecciano per formare lettere, parole e domande, mentre ballerini in costume vestiti da animali imitano la comunicazione somatica o sonar inerente alle diverse specie. 

Katja Loher è nata nel 1979 a Zurigo, Svizzera, vive e lavora a New York City. Il lavoro di Loher è apparso a livello internazionale in numerose mostre personali e collettive.

INFO

https://www.katjaloher.com

Ph:  Daniele Poli

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