Andrea Crespi mette in scena una bellezza instabile, ibrida, attraversata da cortocircuiti tra memoria classica e intelligenza artificiale, tra gesto umano e calcolo algoritmico.
Negli spazi della Fabbrica del Vapore di Milano, fino al 25 gennaio 2026, la mostra “Artificial Beauty” si presenta come un organismo complesso, stratificato, dove oltre trenta lavori articolano un racconto, curato da Alisia Viola che interroga il nostro tempo senza indulgenze nostalgiche né entusiasmi tecnofili.
Qui il canone non viene celebrato, ma ricodificato: Canova, la Nike di Samotracia, le Veneri diventano dati, superfici scansionate, immagini replicate all’infinito. La bellezza smette di essere misura e armonia per farsi terreno di conflitto, spazio di negoziazione continua tra fisico e digitale, emozione e macchina, identità e simulazione. Crespi lavora sulla soglia, là dove l’immagine perde la sua aura e acquista una nuova, inquietante potenza.
Dalla pittura all’installazione, dal video alla performance, ogni opera sembra porsi la stessa domanda, reiterata e mai risolta: chi decide oggi cosa è autentico? In questa tensione irrisolta prende forma l’intervista che segue: un dialogo necessario per attraversare il pensiero di Andrea Crespi e comprendere come, nell’epoca dell’AI, la bellezza sia diventata un dispositivo politico prima ancora che estetico.
La mia poetica vive nel contrasto. Unisco passato e futuro, visibile e invisibile, artificiale e umano. Mi ispiro alla storia dell’arte, alla cultura pop e alle fratture della società contemporanea per creare opere che siano specchi e glitch della nostra realtà.
L’INTERVISTA
Il titolo evoca una tensione tra naturale e artificiale. Cosa significa oggi “bellezza” per te, in un mondo dove l’estetica è sempre più filtrata dall’algoritmo?
La bellezza è equilibrio, non perfezione. Ed è per questo che mi rifaccio alla classicità. Viviamo in un’epoca in cui la “perfezione” viene venduta come normalità, ma in realtà non esiste. È un’illusione costruita da filtri, dati ed aspettative sociali. La vera bellezza sta nella verità, nell’imperfezione e nell’unicità irripetibile di ciascun individuo.
Credi che la tecnologia stia ridefinendo l’essenza stessa dell’arte o semplicemente i suoi mezzi di espressione?
La tecnologia sta riscrivendo il modo in cui percepiamo e definiamo l’arte. Interazione e immersività stanno sostituendo la contemplazione, l’esperienza sta vincendo sull’oggetto. L’arte diventa sempre più simile alla società che la produce: veloce, iperconnessa, frammentata. Eppure, in questo caos tecnologico, il bisogno di senso è più forte che mai.
Le tue opere attraversano scultura, video, performance e installazione. Come vivi il passaggio tra i diversi linguaggi visivi?
Lo trovo estremamente stimolante. Per me sperimentare è ciò che alimenta la mia curiosità e mi offre linguaggi diversi attraverso cui costruire il mio immaginario poetico.
Quanto conta per te la fisicità della materia in un’epoca in cui l’immagine tende a diventare pura proiezione digitale?
Lavoro costantemente nello spazio di confine tra fisico e digitale, ma la componente materiale è qualcosa che mi affascina e alla quale, al momento, non riesco a rinunciare. Più il mondo spinge verso la dematerializzazione, più cerco, attraverso l’arte, di preservare una dimensione fisica.
Nelle tue sculture convivono riferimenti alla classicità e visioni futuristiche: è un dialogo o un conflitto tra tempi?
È un dialogo, assolutamente. Senza passato non esisterebbe il futuro. È un processo di evoluzione e connessione, non di conflitto. Anche se molti lo percepiscono come un dualismo o uno scontro, per me è solo parte di una naturale metamorfosi della società.
In Artificial Beauty la macchina sembra assumere un ruolo quasi spirituale. È una nuova divinità o un semplice specchio dell’umano?
È più una metamorfosi: è ciò che l’uomo sta creando attraverso un processo di umanizzazione della macchina.
Spesso parli di “Neosintesi”. Puoi spiegare cosa rappresenta questo concetto nel tuo percorso artistico?
È la crasi tra le parole “nuovo” e “sintesi”. Rappresenta la capacità di raccontare in modo essenziale e semplice un mondo sempre più complesso, reinterpretando il passato in una chiave contemporanea.
Fino a che punto ritieni che l’intelligenza artificiale possa essere davvero creativa?
L’intelligenza artificiale non è creativa: è un archivio che sogna. Può imitare, combinare, sorprendere, ma solo perché si nutre di ciò che è già stato vissuto, creato, sofferto dagli esseri umani. La vera domanda è: fino a che punto stiamo smettendo di esserlo noi?
Il progetto Digital Labyrinth nasce da un’azione al MoMA. Qual è il limite tra provocazione artistica e gesto politico?
Non lo considero un gesto politico, ma un esperimento sociale. Attraverso questa performance ho voluto rispondere a una domanda semplice e complessa allo stesso tempo: che cos’è l’arte? Ho voluto dimostrare come spesso l’arte sia il risultato di una percezione costruita e legittimata dal sistema dell’arte stesso.
Non ho violato un museo ma ho messo in discussione l’autorità invisibile che decide cosa è arte e cosa non lo è.
In che modo le nuove tecnologie stanno modificando la nostra percezione del reale – e quindi della verità estetica?
La tecnologia ha riscritto il concetto stesso di realtà. Oggi ciò che è visibile sembra più vero di ciò che è reale. L’estetica ha sostituito l’esperienza, l’immagine ha vinto sulla presenza. Stiamo vivendo una grande allucinazione collettiva chiamata progresso.
Quanto conta la dimensione emotiva nel tuo processo creativo, in un’epoca che tende a sostituire l’emozione con il dato?
Nell’arte la componente emotiva è imprescindibile. Senza emozione, ciò che resta è solo un insieme di dati, formule e processi. In un’epoca che tende a quantificare tutto, per me l’arte resta uno degli ultimi spazi in cui l’emozione continua ad avere un valore reale, autentico e non misurabile.
Se dovessi immaginare la “bellezza del futuro”, che volto avrebbe?
Avrà il volto dell’imperfezione. Sarà una bellezza disallineata, ribelle, autentica. Forse tornerà a essere umana, proprio quando crederemo di averla perduta.
Se le tue opere avessero una colonna sonora, quale canzone sceglieresti?
Dipende dall’opera. Mi piace Kanye West, ma non credo che la sua musica possa adattarsi a tutte le mie opere.
I tuoi artisti preferiti?
Mi piacciono gli artisti capaci di rompere gli schemi. I veri artisti. Quelli che non cercano di adattarsi, ma di riscrivere le regole.
Quando è stata l’ultima volta che hai fatto qualcosa per la prima volta? E cosa hai fatto?
Questa mostra, Artificial Beauty, è un’esperienza gigantesca, piena di “prime volte”. La mia prima grande mostra istituzionale.
Se venissi nel tuo studio, cosa troverei?
Tele, bozzetti, libri, piante, tecnologia… e anche alcune moto vintage. Troveresti un luogo in cui convivono il caos e il controllo. Il mio studio è uno spazio che costruisco attorno a ciò che amo e a ciò che sono.
L’ARTISTA

Andrea Crespi è un artista italiano il cui lavoro si concentra sull’indagine della trasformazione sociale e della rivoluzione digitale, tematiche che affronta attraverso un linguaggio visivo innovativo e multidisciplinare. La sua ricerca artistica traduce i cambiamenti culturali del presente in opere capaci di evocare riflessioni profonde. Considerato tra i giovani artisti italiani più influenti a livello nazionale e internazionale, Crespi opera tra Milano e Miami, portando avanti una produzione in costante evoluzione. La sua pratica si distingue per la capacità di fondere media fisici e digitali in un’estetica riconoscibile e contemporanea, che interpreta la realtà con precisione e senso critico. Le sue opere sono state esposte in prestigiosi contesti espositivi, tra cui la Triennale di Milano, il CAFA Art Museum di Pechino, il MAGA di Gallarate, Times Square a New York e Art Dubai.













