Fondazione Marconi e Gió Marconi presentano “Gianni Colombo. A Space Odyssey”, un’importante retrospettiva dedicata all’artista milanese in occasione del trentesimo anniversario dalla sua
scomparsa.
La mostra, curata da Marco Scotini, intende mettere a fuoco la particolare drammaturgia spaziale che connota il suo lavoro, a partire da un confronto con il colossal fantascientifico di Stanley Kubrick del 1968.
Considerato uno dei maggiori esponenti dell’arte cinetica e ambientale internazionale, Gianni Colombo fa
del vincolo tra spazio e corpo il catalizzatore di tutti i suoi interessi di ordine plastico. Attraverso l’uso di
flash luminosi, di oggetti in movimento, di ambienti immersivi e il ricorso a elementi architettonici isolati,
l’artista realizza dispositivi spaziali perturbanti in grado di disorientare le forme percettive acquisite e di
decostruire i codici dei comportamenti ordinari.
È infatti con il piano levitante di Campo praticabile che Colombo interviene sul pavimento della galleria con
un ambiente realizzato in collaborazione con Vincenzo Agnetti. Sarà quest’ultimo a scriverne: Data una
base; il piano terra, una pedana o altro, identificabili nella soglia di sensibilità, abbiamo comunque un campo
composto da due semisfere: la superiore come campo virtuale positivo tendente alla ridondanza, l’inferiore
come campo negativo imprevedibile previsto.
Nello stesso 1970 una straordinaria foto di Ugo Mulas ritrae uno dei tre corridoi della Topoestesia
presentata alla mostra “Vitalità del Negativo” come uno spazio centrifugo. Tutte e quattro le pareti
perimetrali convergono verso quella di fondo, che è l’effetto visibile di una torsione, non permettendo così
l’identificazione di nessun asse di riferimento. Gianni Colombo è al centro dell’immagine: i piedi poggiano
su una parete laterale e il suo busto sull’altra di fronte, con le mani compresse sulla superficie. Potremmo
ruotare l’immagine di 45 gradi e la parete laterale potrebbe trasformarsi immediatamente nel piano
pavimentale. Quindi, si ha l’impressione che ad essere fotografata sia piuttosto una sorta di navicella
spaziale in cui i corpi degli astronauti orbitano su uno spazio antigravitazionale.
Del resto, l’allunaggio dell’Apollo 11 risale al luglio 1969 e Topoestesia di Colombo è di appena un anno
dopo. Il sensazionale film sci-fi di Stanley Kubrick, 2001. Odissea nello Spazio, è invece del 1968. La mostra
indaga le sfide di Gianni Colombo alla gravità e la sua idea di piano inclinato: aspetto condiviso con molta
danza contemporanea coeva, da Yvonne Rainer a Simone Forti. Dalle sue primissime opere in ceramica
Costellazioni Intermutabili del 1960 si arriva alle strutture metalliche sospese e in movimento, Spazi Curvi,
degli anni ’90, passando per la ricostruzione di alcuni ambienti fondamentali (Bariestesia 1973 e Topoestesia
1977), attraverso cui restituire parte della storia dello Studio Marconi. In sostanza, l’esposizione intende
essere un viaggio all’interno di una strana navicella spaziale, in cui Gianni Colombo è in compagnia di un
equipaggio del tutto eccezionale (da Vincenzo Agnetti a Ugo Mulas, da Joe Colombo a Maria Mulas). Un
viaggio attraverso il “sapere incorporato” (Donna Haraway), in grado di mettere in discussione la sicurezza
delle nostre coordinate cartesiane.
L’analogia tra la spazialità di Colombo e quella messa in scena nel film di Kubrick nasce dalla suggestione
di un testo di Annette Michelson e deriva dall’uso, in entrambi i casi, del disorientamento percettivo per
ristabilire lo stato di equilibrio del nostro corpo come processo aperto. Si risponde al perturbamento
sensoriale con un re-aggiustamento fisico operato dalla stessa esperienza. Un sapere situato, lontano da
ogni astrazione.
INSTALLATION VIEW
L’ARTISTA
Gianni Colombo nasce a Milano nel 1937. Dopo gli studi compiuti all’Accademia di Brera sotto la guida di
Achille Funi, nella seconda metà degli anni Cinquanta Gianni Colombo realizza le prime opere di ispirazione
cinetica e programmata.
Inizia a esporre presso la Galleria Azimut e nell’ottobre 1959, con Giovanni Anceschi, Davide Boriani e
Gabriele De Vecchi, fonda il Gruppo T (cui l’anno dopo aderisce Grazia Varisco), che si propone di indagare
la dimensione temporale come fattore essenziale dell’opera d’arte e della sua ricezione, insieme a una
ricerca sulla luce e sui fenomeni percettivi.
Con il Gruppo T espone alla Galleria Pater di Milano nel gennaio 1960, alla rassegna “Nove Tendencije” al
museo di Zagabria nel 1961 e alla mostra “Arte programmata”, organizzata a Milano da Bruno Munari e
Umberto Eco nel 1962.
Nel 1963 partecipa alla IV Biennale di San Marino e l’anno seguente presenta il suo primo ambiente
abitabile, Strutturazione cinevisuale abitabile, alla rassegna “Nouvelle Tendance” al Louvre.
Nel 1965, dopo la partecipazione alla terza mostra del gruppo Zagabria, espone al Museum of Modern Art
di New York nell’ambito di “The Responsive Eye” (un suo scritto teorico Sulle ricerche plastiche cinevisuali è
pubblicato in catalogo).
In Olanda partecipa alla mostra “Nul ‘65” presso lo Stedelijk Museum di Amsterdam, e consolida i rapporti
col Gruppo Zero di Düsseldorf.
Nel ’67, alla rassegna “Trigon” di Graz, presenta l’ambiente Spazio elastico, mentre a Foligno si svolge la
mostra “Lo spazio dell’immagine” in cui progetta, insieme a Gabriele De Vecchi, Ambiente a strutturazione
virtuale.
Con il Gruppo T espone ancora nel 1968 a Grenoble, ma il sodalizio tra i componenti si scioglie poco dopo.
Tuttavia Colombo ha da tempo aggiunto una buona affermazione personale e, proprio in quell’anno, vince il
Primo Premio per la pittura alla XXXIV Biennale di Venezia.
Nel 1970, insieme a Vincenzo Agnetti, realizza l’ambiente Campo praticabile che espone allo Studio
Marconi.
Dalla fine degli anni Sessanta la sua ricerca si rivolge anche al video: nel 1971 presenta Total Furnishing
Unit al Museum of Modern Art di New York nell’ambito della mostra “Italy: The New Domestic Landscape”.
Nel 1975 ha una personale allo Studio Marconi, dove realizza e presenta l’ambiente Bariestesia.
Riceve diverse commissioni pubbliche, tra cui un monumento alla Resistenza per il comune di Como.
Dal 1980 è titolare alla cattedra di “strutturazione dello spazio” alla Nuova Accademia di Milano, che
dirigerà a partire dal 1985. Nel 1983 tiene un’importante mostra personale alla Galleria Civica d’Arte
Contemporanea di Suzzara. L’anno seguente è invitato al Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano e alla
Biennale di Venezia, dove ha una sala personale. Nel 1986 realizza le scenografie per Stephen Climax di M.
Zender all’Opertheater di Francoforte. Nel frattempo lavora alla serie delle Architetture cacogoniometriche –
Archi, lavori ambientali che presenta nel 1992 alla Staatliche Kunsthalle di Baden-Baden.
Gianni Colombo si spegne improvvisamente il 3 febbraio 1993, a Melzo.
Nel 2010 il Castello di Rivoli gli dedica una mostra importante a cura di Carolin Christov-Bakargiev e Marco
Scotini.
Tra le principali e più recenti collettive figurano la mostra Thinking Machines al MoMA di New York (2018);
Vertigo. Op Art and a History of Deception 1520-1970 al Kunstmuseum di Stoccarda e al Mumoc di Vienna
e Le diable au corps. Quand l’Op Art électrise le cinéma, al Mamac di Nizza (2019).
INFO
GIANNI COLOMBO
A Space Odyssey
a cura di Marco Scotini
Fino al 17 luglio 2023
GióMARCONI
Via Tadino, 15 – Milano