Roma, città eterna dal patrimonio artistico inestimabile, si riconferma anche come tappa imprescindibile nel panorama dell’arte contemporanea internazionale.
La capitale italiana, si apre oggi a dialoghi innovativi e sperimentazioni estetiche attraverso le mostre di artisti di fama internazionale come Wangechi Mutu e Adrian Paci.
Questi eventi non solo arricchiscono il tessuto culturale della città, ma la proiettano verso il futuro, portando in scena narrazioni visive capaci di attraversare confini temporali, geografici e culturali.
Fino al 14 settembre del 2025, la Galleria Borghese si apre alle espressioni artistiche dell’artista keniota-americana Wangechi Mutu, ospitando una mostra di vasta portata intitolata “Black Soil Poems” (Poemi della terra nera).
Questa esposizione, sotto la curatela di Cloé Perrone, si delinea come un percorso espositivo di grande complessità, capace di fondere elementi simbolici, culturali e sociali attraverso un linguaggio che rispecchia le molteplici sfumature dell’esperienza umana e artistica dell’artista stessa.

Il titolo scelto, “Poemi della terra nera”, si rivela essere un invito a riflettere sulla profonda simbologia della “terra nera”, una metafora potente e polisemica. Essa richiamando la fertilità, la malleabilità e l’energia primordiale che si manifestano nelle sue opere, si instaura come un elemento centrale, collegamento tra le diverse componenti di una pratica artistica che si intreccia tra poesia e mitologia, ma che al contempo si radica profondamente nei contesti sociali e materiali della contemporaneità. La mostra si sviluppa attraverso due sezioni strettamente complementari, creando un dialogo dinamico e articolato fra differenti modalità di produzione e rappresentazione artistica. All’interno del Museo, l’approccio espositivo si distingue per una rivisitazione radicale dell’orientamento spaziale, che si traduce nella collocazione delle sculture mai completamente nascoste o assorbite dalla collezione Borghese, ma piuttosto arricchito da delicate e impercettibili presenze eteree. Queste strutture si librano nell’aria, attraverso un equilibrio precario che induce a un senso di sospensione: alcune si elevano grazie alla loro leggerezza, come volessero sfuggire alla gravità, mentre altre si appoggiano su superfici orizzontali, creando un contrasto tra peso e levità.
Tra le opere più emblematiche di questa scelta compositiva figurano i lavori intitolati Ndege, Suspended Playtime, First Weeping Head e Second Weeping Head. La loro presenza suggerisce un’idea di dislocazione e movimento, quasi a modificare il senso stesso di spazialità e di narrazione storica, portando a un ripensamento delle gerarchie e delle relative funzioni dei materiali artistici. I materiali impiegati—tra cui il bronzo, il legno, le piume, la terra, la carta, l’acqua e la cera— rivestono un ruolo fondamentale nell’etica e nella gerarchia concettuale che sottende la mostra stessa. In particolare, il bronzo, tradizionalmente associato alla solidità, all’eternità e alla monumentalità, viene deposto del suo significato più convenzionale e avvicinato a un’idea di memoria ancestrale, fungendo da veicolo tangibile di ricordo, riscoperta delle radici prime e molteplicità di interpretazioni. La sua operazione di rimodellamento avviene attraverso l’inserimento di sostanze organiche—che sono per loro natura fluide, mutevoli e instabili—all’interno di un contesto artistico e culturale storicamente dominato da materiali come il marmo, lo stucco e le superfici dorate, simboli di stabilità, perfezione e raffinatezza estetica classica. Tale scelta riafferma la poetica della trasformazione, del divenire continuo e dell’imprevedibilità, riconfigurando così le strutture tradizionali per aprirsi a nuove possibilità di interpretazione e significato, in un processo di perpetua evoluzione estetica e concettuale.
All’esterno, lungo la facciata del museo e nei Giardini Segreti, si dispiegano alcune tra le opere più emblematiche e significative dell’artista, tra cui spiccano le sculture intitolate “The Seated I” e “The Seated IV”. Queste sono due moderne cariatidi, realizzate nel 2019 in occasione della Facade Commission per il Metropolitan Museum di New York.
Accanto a queste sculture si collocano altre opere come “Nyoka”, “Heads in a Basket”,”Musa” e “Water Woman”, che adottano un procedimento di reinterpretazione dei vasi archetipici tradizionali, trasformandoli in spazi di transizione e di metamorfosi. Questi lavori si configurano come celebrazioni di simboli antichi, reinterpretati alla luce di visioni moderne e di un patrimonio culturale che si espande a livello globale. Con “The End of Eating Everything”, Mutu compie un ulteriore passo nel suo sviluppo artistico, espandendo il suo linguaggio attraverso il mezzo del video.
Questa opera introduce una dimensione temporale e immersiva nel suo complesso itinerario di esplorazione di miti e simboli, contribuendo a delineare un’estetica che si addentra nei territori del mito, della memoria e della trasformazione.
L’esposizione prosegue presso l’American Academy in Rome, dove è stata presentata la scultura intitolata Shavasana I. Quest’opera in bronzo raffigura una figura di donna sdraiata, coperta da una stuoia di paglia intrecciata, richiamando simbolicamente la posa yoga nota come shavasana, ovvero la posizione del cadavere. La scelta di questa rappresentazione non è casuale, in quanto si ispira a un tragico fatto di cronaca che coinvolge una giovane vittima, il cui corpo è stato ritrovato in circostanze che richiamano direttamente il tema della morte violenta e dell’abbandono. In particolare, l’opera si caratterizza per l’uso di un corpo di donna nera, un’immagine potentemente evocativa e simbolica, che richiama le continue sofferenze e violenze che molte donne, appartenenti a minoranze etniche, subiscono spesso in silenzio e senza giustizia. La rappresentazione di questa figura riafferma un modo di narrare storie di oppressione, di abusi e di esclusione, con una scelta che sottolinea il bisogno di riconoscere e affrontare le brutalità sistemiche e di genere.
Fino al 21 settembre 2025, sarà visitabile la mostra personale dell’artista Adrian Paci, nato a Scutari nel 1969, intitolata “No Man is an Island“. La mostra si inserisce nel contesto del secondo appuntamento di Conciliazione 5, un articolato progetto dedicato all’arte contemporanea, promosso congiuntamente dal Dicastero per la Cultura e l’Educazione del Vaticano. Questa iniziativa, concepita in vista del Giubileo del 2025, ha come obiettivo principale la promozione di un dialogo interculturale attraverso il linguaggio artistico, favorendo l’incontro e la riflessione sulle sfide del mondo contemporaneo. La curatela dell’intero progetto è affidata a Cristiana Perrella, che si occupa della direzione artistica per il primo anno di attività, contribuendo a delineare un percorso espositivo che promette di essere ricco di significati e di spunti di riflessione.
Nello Spazio Conciliazione 5″, Adrian Paci presenta la sua scultura intitolata “Home to Go” (2011). Questa opera raffigura una figura maschile, realizzata tramite un calco del corpo stesso dell’artista, che sorregge sulle spalle un tetto capovolto. La forma di questo tetto richiama, nell’insieme, un paio di ali, simbolizzando così l’idea di un’umanità sospesa tra precarietà e trascendenza. Al centro dell’opera si evidenzia il tema dell’essere umano come viandante, sottolineando il concetto di viaggio come inevitabile e spesso drammatico. Questo viaggio rappresenta anche il percorso di chi è costretto a lasciare la propria terra d’origine, in un’esplorazione di precarietà esistenziale. Agli spunti simbolici si uniscono riferimenti all’iconografia cristiana della Passione, che amplificano la profondità e il significato spirituale dell’opera. In stretta e significativa relazione con il progetto precedente, abbiamo l’opera intitolata The Bell Tolls Upon the Waves (2024), una complessa installazione video realizzata dall’artista e presentata per la prima volta in Italia grazie al sostegno della Fondazione Giorgio Pace, si sviluppa un articolato dialogo tra passato e presente, memoria collettiva e patrimonio storico. L’installazione, ospitata nelle storiche Corsie Sistine del Complesso Monumentale di Santo Spirito in Sassia — un luogo di antica tradizione di cura e accoglienza la cui origine risale al 727 d.C., quando il re sassone Ina fondò la Schola Saxonum per i pellegrini in viaggio verso la Tomba di San Pietro — si configura come un dispositivo sensoriale e narrativo volto a rievocare un episodio storico di grande risonanza.

L’opera si ispira a un evento realmente verificatosi nel 1566 a Termoli, durante un attacco turco, in cui i saccheggiatori tentarono di sottrarre la Campana di Santa Caterina, storicamente utilizzata come avviso ai marinai in caso di imminente pericolo. La campana venne accidentalmente trasportata in mare, finendo per affondare con l’imbarcazione che la trasportava. Rievocando questa vicenda, Paci ha concepito e realizzato un’opera peculiare: una campana destinata ad adornare una piattaforma galleggiante situata sul mare di fronte a Termoli. Questa campana, strutturalmente e simbolicamente, richiama quella storica, come se essa fosse emersa dai profondi abissi marini, restituita in superficie da un contesto temporale e spaziale che ne esalta la forza evocativa. L’artista ha creato un video di grande intensità, nel quale i rintocchi della campana vengono generati dal movimento delle onde marine, le quali oscillano tra dolcezza e violenza, creando un dialogo vibrante tra natura e arte.
L’opera, intitolata “The bell tolls upon the waves”, si configura come un’installazione dal profondo valore simbolico. Essa non solo richiama un senso di perdita, di qualcosa che si dissolve nelle profondità del mare, ma si configura altresì come un potente elemento di presenza evocativa. La risonanza di questa campana, amplificata dal contesto ricco di connotazioni storiche e di memoria collettiva, assume una dimensione che trascende la mera oggettualità fisica, diventando un simbolo di meditazione sulla memoria, sulla permanenza e sul dialogo tra passato e presente, immerso in un sistema di significati che si espandono e si perpetuano grazie alla straordinaria suggestione del luogo e dell’installazione stessa.
Info
Wangechi Mutu
Poemi della terra nera
a cura di Cloé Perrone
10 giugno – 14 settembre 2025
Galleria Borghese – Roma
ADRIAN PACI. NO MAN IS AN ISLAND
a cura di Cristiana Perrella
Complesso Monumentale di Santo Spirito in Sassia – ASL Roma 1
11 giugno – 21 settembre 2025