Inaugura alla Fondazione Prada di Milano la mostra “Recycling Beauty”, una mostra a cura di Salvatore Settis e Anna Anguissola con Denise La Monica.
“Recycling Beauty”, il cui progetto allestitivo è ideato da Rem Koolhaas/OMA, è un’inedita ricognizione interamente dedicata al tema del riuso di antichità greche e romane in contesti post-antichi, dal Medioevo al Barocco.
La mostra si inserisce in un’indagine più estesa che Fondazione Prada ha intrapreso dal 2015 quando presentò contemporaneamente negli spazi di Milano e Venezia “Serial Classic” e “Portable Classic”, due esposizioni curate da Salvatore Settis (con Anna Anguissola a Milano e con Davide Gasparotto a Venezia) e progettate da Rem Koolhaas/OMA.
La premessa di questa ricerca è la necessità di considerare il classico non solo come un’eredità del passato, ma come un elemento vitale in grado di incidere sul nostro presente e futuro.
LE TEMATICHE
Temi come la serialità, il riuso e il riciclo nell’arte sono strettamente legati alla nostra concezione di modernità, ma testimoniano anche la straordinaria persistenza di alcuni valori, categorie e modelli classici. Attraverso un innovativo approccio interpretativo e modalità espositive sperimentali, il patrimonio antico, e in particolare quello greco-romano, diventa, per usare le parole di Settis, “una chiave di accesso alla molteplicità delle culture del mondo contemporaneo”.
Nonostante la sua rilevanza culturale e la sua ampia diffusione, il reimpiego di materiali antichi è stato al centro degli studi archeologici solo di recente. Solo negli ultimi anni è stato approfondito il dato essenziale di questo fenomeno, ovvero la relazione visuale e concettuale fra gli elementi antichi riusati e il contesto post-antico, lontano da quello di origine, in cui sono stati inclusi. “Recycling Beauty”, al contrario, intende focalizzare l’attenzione sul momento in cui il pezzo antico abbandona la propria condizione iniziale o di rovina e viene
riattivato, acquistando nuovo senso e valore grazie al gesto del riuso.
Ogni elemento di reimpiego non solo modifica il contesto in cui è inserito, ma ne viene a sua volta modificato
in un meccanismo di reciproca legittimazione e attribuzione di senso. Esplorare la natura fluida e molteplice degli oggetti d’arte che nel tempo cambiano per utilizzo, ricezione e interpretazione equivale a riflettere sulla natura instabile e trasformativa dei processi artistici.
Come spiega Salvatore Settis: “Il reimpiego comporta la convivenza di diverse temporalità, dove distanza storica e simultaneità narrativa ed emotiva s’intrecciano di continuo. I marmi antico-romani appartengono allo stesso orizzonte culturale di chi li riusa, e dunque appropriarsene è sentito come naturale. Ma la dimensione-tempo sfugge alla sequenza calendariale; è instabile, può essere manipolata e piegata […]. Perché prelevare dalle rovine un rilievo, un vaso, un capitello? Perché trasportarlo altrove per inserirlo entro un nuovo contesto? Le risposte esplorate negli ultimi decenni vanno in tre direzioni complementari: il reimpiego può avere valore memorativo (volto al passato), fondativo (diretto al presente), o predittivo (orientato al futuro). In mancanza di documenti è spesso difficile decidere quale di queste intenzioni prevalesse di caso in caso; ed è ben possibile che esse fossero simultaneamente presenti. […] Cuore e stimolo del gesto del reimpiego è spesso, o forse
sempre, ‘inserire il passato nel futuro’, come sostiene Reinhart Koselleck, prevederne o determinarne gli sviluppi. Il nuovo contesto assorbe quel che reimpiega, ma deve (e vuole) lasciarlo riconoscibile anche mentre (anzi, proprio perché) se ne impadronisce.”
IL PROGETTO ESPOSITIVO
Il progetto espositivo, concepito da Rem Koolhaas/OMA con Giulio Margheri, si sviluppa in due edifici della Fondazione, il Podium e la Cisterna, come un percorso di analisi storica, scoperta e immaginazione. L’allestimento del Podium invita i visitatori a confrontarsi con gli oggetti esposti con diverse intensità. Un paesaggio di plinti bassi in acrilico permette di percepire i pezzi esposti come un insieme, mentre le strutture simili a postazioni di lavoro incoraggiano un esame più ravvicinato grazie alla presenza di sedie da ufficio.
Nella Cisterna i visitatori incontrano gli oggetti gradualmente, in una sequenza di spazi che facilitano l’osservazione da punti di vista alternativi: dall’altezza di un balcone, alla prospettiva ristretta di una stanza costruita all’interno di uno degli ambienti esistenti. Alcune parti del progetto provengono da materiali di precedenti mostre ospitate alla Fondazione Prada. Le basi in acrilico, ad esempio, sono state utilizzate per la prima volta nel 2015 per “Serial Classic” e aggiungono una dimensione spaziale al tema chiave di “Recycling Beauty”.
L’allestimento intende marcare il grande valore artistico e storico delle opere presentate, ma anche dimostrare come queste siano il prodotto di migrazioni, trasformazioni ed evoluzioni di senso. Evidenziando l’importanza dei frammenti, del riuso e dell’interpretazione, il progetto espositivo contribuisce a considerare il passato come un fenomeno instabile in costante evoluzione. Questo percorso stratificato ospita oltre sessanta opere d’arte altamente rappresentative provenienti da collezioni pubbliche e musei italiani e internazionali come
Musée du Louvre di Parigi, Kunsthistorisches Museum di Vienna, Ny Carlsberg Glyptotek di Copenhagen, Musei Capitolini, Musei Vaticani e Galleria Borghese di Roma, Gallerie degli Uffizi di Firenze e Museo Archeologico Nazionale di Napoli.
LE OPERE
Un gruppo di opere testimonia come, sebbene le immense rovine di Roma dopo la caduta dell’Impero romano d’Occidente si riducessero in frantumi nel giro di poche generazioni, quei residui fossero visti come un vasto repertorio capace di custodire e rinnovare valori e simboli latenti dell’antichità. Alla statua colossale di Costantino (IV sec. d.C.), una delle opere più importanti della scultura romana tardo-antica, sono dedicate due sale della Cisterna. Due monumentali frammenti marmorei, la mano e il piede destro, normalmente
esposti nel cortile del Palazzo dei Conservatori a Roma, sono accostati a una ricostruzione
del Colosso in scala 1:1, mai tentata prima, che evidenzia come l’opera sia il risultato della
rielaborazione di una più antica statua di culto, probabilmente di Giove.
Questo progetto è il risultato di una collaborazione tra i Musei Capitolini, Fondazione Prada e Factum Foundation, la cui supervisione scientifica è stata seguita da Claudio Parisi Presicce, Sovrintendente
Capitolino ai Beni Culturali. Dopo la mostra, il Colosso verrà esposto ai Musei Capitolini.
Un altro nucleo di lavori riflette su come la trasformazione di opere d’arte antica in elementi di decorazione, pur danneggiando la loro integrità e il loro contesto originario, ne abbia paradossalmente assicurato la conservazione.
Ne sono due esempi la mensa marmorea, con rilievo della vita di Achille (IV secolo d.C.) e decorazione cosmatesca (XIII secolo) che dal Duecento al 1743 decorò l’ambone di Santa Maria in Aracoeli a Roma e il cratere dionisiaco in marmo (I secolo a.C.) firmato dallo scultore ateniese Salpion e riutilizzato come fonte battesimale nella Cattedrale di Gaeta.
Alcune opere presenti in mostra indagano le ragioni funzionali, politiche o religiose del reimpiego di antichità, anche se il significato originario degli oggetti riusati non veniva quasi mai inteso. È il caso del gruppo scultoreo di età ellenistica del Leone che azzanna un cavallo (IV secolo a.C.), che nel Medioevo viene collocato sul Campidoglio e diventa allegoria del buon governo cittadino. Ne è un esempio anche il riuso di monumenti sepolcrali antichi decorati con scene mitiche che nessuno sapeva più ‘leggere’, se non come generica
testimonianza della grandezza di un impero scomparso o della sconfitta del paganesimo. Fra questi, sono presenti in mostra un sarcofago dionisiaco di Cortona (II sec. d.C.) reimpiegato nel 1247 come sepolcro del beato Guido, e un’urna etrusca (II secolo a.C.) riciclata nel XII secolo a Pistoia per custodire le reliquie di San Felice, ma senza riconoscerne la raffigurazione, incentrata sul mito fondatore delle Olimpiadi.
L’instabilità semantica dei manufatti antichi reimpiegati, ovvero la loro continua mutazione di significato, è illustrata in mostra da un rilievo funerario (I secolo d.C.) un tempo esposto in facciata della Casa Santacroce a Roma. Le iscrizioni aggiunte nel XV secolo interpretano le figure dei defunti come Honor, Amor e Veritas. Incorporare in un nuovo contesto questo rilievo significava non solo rendere omaggio all’arte romana, ma soprattutto trasformare quell’antica raffigurazione in un moderno modello di condotta morale. È lo stesso principio seguito nel Quattrocento da chi collocò sette antiche teste maschili scolpite nel marmo sulla
facciata di Palazzo Trinci a Foligno, trasformandole in allegoria delle sette età dell’uomo.
Altre opere esposte in “Recycling Beauty” descrivono la riscoperta o la rinascita di manufatti antichi che da rovine dimenticate o da trascurati elementi del passato diventano prestigiosi oggetti da collezione, innescando così un duplice processo di dispersione e concentrazione. È ciò che successe due volte alla stele funeraria “del Palestrita” (450-430 a.C.) che rappresenta le figure di un atleta e un efebo. Arrivò nell’antica Roma dalla Grecia come oggetto di collezione, riemerse nella raccolta di un cardinale nel primo Cinquecento, ma nel 1701 venne tagliata in due e obliterata e finalmente ricomposta nel 1957 ai Musei Vaticani.
Un viaggio ancora più tortuoso, intrecciato all’emergere del fenomeno del collezionismo di antichità, è quello dei tredici frammenti scultorei dei Troni di Ravenna. Sono tutto quel che resta di ventiquattro lastre databili alla metà del I secolo d.C. che raffiguravano i troni vuoti di altrettante divinità attese a banchetto: un tema di remote origini mesopotamiche che avrebbe poi raggiunto l’iconografia cristiana e buddista. A partire dal XII secolo, una parte dei rilievi iniziò a circolare in piccole città (Biella, Treviso, Foligno), e solo più tardi in grandi
centri d’arte come Venezia, Firenze, Roma, Milano, Fontainebleau e poi Parigi. Per la prima volta, “Recycling Beauty” mostrerà tutti insieme i rilievi superstiti, in originale o (nei pochi casi di frammenti non trasportabili) in calco.
Un altro nucleo di opere esposte esplora il cortocircuito tra diverse temporalità che si innesca quando oggetti d’arte sono scambiati per antichi, pur essendo di età moderna. Un famoso esempio è la mirabile testa di cavallo realizzata da Donatello a metà Quattrocento per l’arco di Castelnuovo a Napoli, che fino a poco più di vent’anni fa era ritenuta di età greco-romana. Ricerche condotte nel cantiere di “Recycling Beauty” hanno poi mostrato che anche la statua detta “di Paride”, già collocata su una guglia del Duomo di Milano e creduta di età romana, va invece datata nel Cinquecento.
Nel vasto processo di devastazione e di progressivo oblio di gran parte dell’arte grecoromana si sono spesso salvati solo gli oggetti ritenuti particolarmente preziosi. Tra questi, sono presenti in mostra la statua bronzea di un Camillus (I secolo d.C.), donata al Comune di Roma da Sisto IV nel 1471, e una coppia di opere di età barocca, il Moro Borghese e La Zingarella, ricomposte a Roma dal francese Nicolas Cordier mescolando frammenti antichi a parti di sua creazione. Le due statue erano insieme dal primo Seicento nella collezione del
cardinale Scipione Borghese, mentre oggi il Moro è al Musée du Louvre a Parigi e La Zingarella alla Galleria Borghese a Roma.
Altri oggetti in mostra possono essere catalogati come veri e propri tesori sopravvissuti all’opera di distruzione del tempo. È il caso della Tazza Farnese (II-I secolo a.C.), il più grande cammeo in pietra dura dell’antichità arrivato fino a noi. Questo manufatto ellenistico, straordinario per materiale, tecnica e dimensioni, passò di corte in corte, attraversando grandi distanze geografiche, dall’Egitto a Roma e Bisanzio, poi in Persia e di nuovo in Occidente e spostandosi tra alcune delle più importanti collezioni di antichità del Medioevo e dell’età moderna, tra cui quelle di Federico II e Lorenzo il Magnifico.
IL CATALOGO
In occasione della mostra “Recycling Beauty”, Fondazione Prada ha realizzato un ampio volume illustrato. Attraverso un saggio, sedici testi critici, quattro approfondimenti specifici e un’ampia raccolta di schede e apparati scientifici, il tema del riuso in ambito artistico e architettonico viene analizzato da diverse prospettive storiche, artistiche e filosofiche con lo scopo di delinearne una storia e riconoscere la continuità o la consonanza di queste pratiche con pensieri e sperimentazioni del nostro presente.
INFO
RECYCLING BEAUTY
FONDAZIONE PRADA, MILANO
Dal 17 NOV 2022 – 27 FEB 2023
https://www.fondazioneprada.org/