Lovett/Codagnone, After Roxy 3,1998/2015© Lovett/CodagnoneCourtesy Estate of Lovett/Codagno

Lovett/Codagnone. I ONLY WANT YOU TO LOVE ME al PAC Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano

Il PAC Padiglione d’Arte Contemporanea presenta I Only Want You to Love Me, la prima antologica dedicata a Lovett/Codagnone, duo di artisti formatosi nel 1995 e composto da John Lovett (Allentown, Pennsylvania, 1962) e Alessandro Codagnone (Milano, 1967 – New York, 2019).

Lovett Codagnone, I ONLY WANT YOU TO LOVE ME. PAC Milano_foto Nico Covre 2

La mostra, promossa dal Comune di Milano e prodotta dal PAC e Silvana Editoriale, è curata da Diego Sileo e realizzata in collaborazione con Participant Inc. di New York, ed è aperta al pubblico da oggi, 4 luglio, fino al 14 settembre 2025.

Il duo italo-americano ha spaziato con il proprio lavoro dalla fotografia alla scultura, dal video all’installazione fino alla performance, medium che spesso vede protagonisti gli stessi artisti in un gioco delle parti teso a smascherare i rapporti di forza che si definiscono all’interno delle relazioni interpersonali. Il loro lavoro affronta questioni di identità collettiva, esplora le dinamiche di potere e riflette su quei processi di normalizzazione in atto che soffocano le sub-culture, le pratiche di dissenso e l’affermarsi del soggettivo.

Importanti influenze nella loro produzione derivano dal lavoro di figure radicali appartenenti agli ambiti della letteratura, del cinema, del teatro e della musica punk. La musica, in particolare, è stata un elemento importante nell’esperienza artistica di Lovett/Codagnone che nel 2008 fondano la band Candidate con il musicista Michele Pauli, storico membro dei Casino Royale.
Al PAC saranno esposti alcuni dei primi lavori fotografici e video, insieme a installazioni scultoree più recenti, cartelloni pubblicitari e un’opera neon rimasta inedita, prodotta appositamente per la mostra.

Dedicata alla memoria di Alessandro Codagnone, I Only Want You to Love Me è l’occasione per capire la rilevanza del duo di artisti nel panorama italiano e internazionale, oltre alla loro influenza sulle generazioni successive.

IL PERCORSO ESPOSITIVO

Il percorso espositivo si apre nella prima sala con Love Vigilantes (2007), un’installazione di specchi neri di diverse dimensioni che compone una sorta di skyline a parete su cui figurano delle citazioni discontinue, tratte da The Temporary Autonomous Zone, Ontological Anarchy, Poetic Terrorism di Hakim Bey, che parlano di amore come insurrezione, desiderio che si fa rivolta. Nella stessa sala, l’opera Stripped (2006) è costituita da una bandiera americana completamente nera che, spogliata da stelle e strisce, si trasforma in un drappo funebre. Un atto di silenziosa dissidenza che interroga la promessa democratica mai mantenuta. L’opera si inserisce in una più ampia critica sulla situazione politica degli Stati Uniti.
L’appropriazione e la sovversione dei simboli politici avvengono anche in Make Anarchy and Disorder Your Trademarks (2012), dove la “A” di anarchia è ripresa tono su tono su un grande tessuto nero trapuntato smorzando l’aggressività dell’estetica della rivolta, mentre il titolo risuona come uno slogan pubblicitario che anestetizza il significato sovversivo delle parole utilizzate.

Nella seconda sala il pubblico si trova di fronte a Truth Is Born of the Times, not of Authority: opera concepita nel 2012 come un’installazione site-specific per la personale di Lovett/Codagnone presso il Museo Marino Marini e sviluppata con un doppio registro, visivo e sonoro, richiamando un’atmosfera quasi carceraria. All’installazione si accede attraverso una barriera di rete metallica dal titolo You Must Not Want to See Everything (2012). Al di là di questa frontiera, tre rotoli di filo spinato fungono da casse sonore e diffondono un brano dei Candidate. Su questa base sonora si inserisce il testo di Vita di Galileo di Bertolt Brecht, che richiama la libertà del pensiero critico.

La terza sala è dedicata all’America della fine degli anni Settanta che osserva la conclusione di un’epoca di esplosione di libertà e inclusività segnata dalla morte della disco-music e dall’insorgere del movimento anti-disco. L’opera Death Disko: Last Dance (2015) racconta con malinconia questo passaggio agli anni Ottanta con la ripetizione ossessiva e stanca di Last Dance di Donna Summer. A fare da corollario nostalgico, la serie fotografica After Roxy (1998-2015) che ritrae gruppi di corpi nudi, stretti in diverse forme di abbraccio in cui sono presenti gli stessi artisti, a turno autori dei diversi autoscatti. Le immagini parlano di una famiglia scelta: una forma di intimità non normativa, basata non su legami biologici o imposti, ma su connessioni affettive.

Greetings (1996), nella quarta sala, consiste in un’installazione di grandi cubi fotografici di diverse dimensioni disseminati nello spazio, che ricordano i porta-foto degli anni Settanta, così come la scultura minimalista americana. Gli espositori ospitano immagini fotografiche scattate nel corso degli anni Novanta, in un clima ancora ampiamente omofobo e conservatore, e ritraggono i due artisti in contesti urbani e domestici, del tutto neutrali, mentre indossano abbigliamento leather/BDSM. Questi scatti si pongono come veri e propri atti di esposizione politica. Gli artisti, ritraendosi in luoghi pubblici e non generalmente adibiti all’espressione di queste sottoculture, rivendicano spazi in cui è tradizionalmente esclusa la presenza del corpo queer. Nella stessa sala campeggia l’opera da cui è tratto il titolo della mostra, I Only Want You to Love Me (2004 -2025) che, a sua volta, riproduce fedelmente il carattere tipografico del poster dell’omonimo film di Rainer Werner Fassbinder del 1976. L’utilizzo del neon, mezzo di espressione tipico della pubblicità, permette uno slittamento dal privato al pubblico di questa richiesta di amore incondizionato, trasformando il bisogno di affetto in un gesto politico. Infine, l’opera video Perfect Day (1998) mostra un serpente che lentamente divora un ratto sulle note della celebre canzone di Lou Reed. Durante le riprese il duo apprende che, in realtà, un ratto femmina incinta può uccidere un boa e che quest’ultimo, una volta sazio, può diventare una preda a sua volta. Il dato biologico diventa quindi un simbolo della reversibilità delle relazioni di dominio e sottomissione, invitando a riconsiderare le opposizioni binarie tra forza e debolezza.

Nel corridoio del PAC sono presentate le immagini fotografiche della serie I Didn’t Do It (1995), in cui gli artisti all’interno di ambienti domestici si cimentano in scene erotiche ampiamente artefatte, sovvertendo con ironia i codici linguistici della pornografia. In queste immagini si sovrappongono due livelli di fruizione: da un lato sono state pensate per il contesto istituzionale dell’arte contemporanea che con la sua autorevolezza è autorizzato a guardarle, dall’altro vengono parallelamente pubblicate sulla rivista gay Honcho, rendendo l’operazione altamente destabilizzante nel tentativo di interrogare l’erotismo omossessuale sul suo legame con le dinamiche identitarie.

Nella quinta sala l’opera In Darkness There Is No Sin / Light Only Brings the Fear (2025) pone nuovamente il visitatore di fronte a un cambio di prospettiva, ribaltando i significati simbolici convenzionali. Qui, la luce diventa un segno di paura, sorveglianza e controllo, mentre il buio, al contrario, assume un valore liberatorio che introduce uno spazio di sospensione del giudizio.

Il parterre del PAC propone diverse opere in successione a partire da Ruined in a Day (2007) che consiste in una serie di barricate ribaltate, come se ci si trovasse di fronte al termine di una rivolta. NoLoveLost (2008) è una scatola sonora collegata a delle cuffie che spinge all’ascolto forzatamente isolato di una composizione sonora dal sapore industrial, aprendo a un’ulteriore riflessione sul tema dell’incomunicabilità, tanto caro agli artisti. La poetica dell’inespresso prosegue con XXX (1998-2006). Si tratta di un’opera fotografica che ritrae elettrodomestici su cui è apposta una “X” che potrebbe significare errore o fallimento, ma anche censura. Inseriti in ambienti domestici, questi segni interrogano le dinamiche di codifica sessuale nei luoghi della quotidianità. L’opera Walk in Silence (2007) utilizza invece il potenziale performativo del linguaggio. Originariamente concepita per l’omonima mostra nella galleria SEPTEMBER di Berlino, è composta da una sequenza di poster sui quali appare reiterata la frase: “There are too many ways that you can kill someone like in a love affair when the love is gone”, che suggerisce la crudeltà dei rapporti affettivi, quando la fine di un amore si trasforma in una forma di dominio dell’altro e, nuovamente, trasporta una condizione di intimità nella dimensione pubblica.

La balconata del PAC presenta un’opera concepita nel 2012 come intervento pubblico per i billboards dello spazio urbano di Palermo: Drift (2012). Drift è composta da una serie di fotografie scattate negli Stati Uniti che raffigurano paesaggi stranianti e sospesi accompagnati da citazioni di brani musicali che ne distorcono o amplificano il messaggio. Ricorrendo all’esposizione per mezzo di billboards, l’opera prende in prestito i codici espressivi del marketing per attivare un gesto di resistenza, ponendo così in discussione i meccanismi attraverso i quali il sistema neo-liberale costruisce identità collettive.

La prima sala della galleria è il luogo della rievocazione di una delle performance più riprodotte di Lovett/Codagnone, eseguita per la prima volta nel 2003 a Milano nella Galleria Emi Fontana. In For You in due artisti danzavano su una piattaforma rotante vestiti come ballerini di tango, costretti in una posa dall’equilibrio precario, possibile solo grazie al coltello a doppia lama su cui è incisa la scritta “For You”, tenuto in bocca da entrambi alle due estremità. Un’arma condivisa, ma che funge da punto di equilibrio in una tensione fisica in cui forza e intimità si intrecciano. Nel video presentato al PAC la presenza dei due artisti è sostituita da silhouette riprese in ombra, che emergono dalla luce rossa che avvolge la stanza. La colonna sonora fonde il brano Libertango di Astor Piazzolla con la lettura in spagnolo di un brano tratto dall’Evaristo Carriego (1933) di Jorge Louis Borges. La seconda sala della galleria ospita il documentario Opening (2001), diretto da Antonio Cavallini e dedicato alla produzione dei photo album firmati dagli artisti.

Lovett/Codagnone, The Walk,1996© Lovett/CodagnoneCourtesy Estate of Lovett/Codagnone

GLI ARTISTI

Il duo artistico composto da John Lovett (USA, 1962) e Alessandro Codagnone (Italia, 1967 – USA, 2019) si forma nel 1995 a Milano, da un sodalizio che è al contempo artistico e sentimentale. Al momento del loro incontro, Lovett lavora come fotografo, mentre Codagnone si dedica alla sperimentazione video. Da questa collaborazione nasce Lovett/Codagnone, attivo fino alla scomparsa di Codagnone nel 2019.

Al centro della loro ricerca si colloca una riflessione sulle relazioni di potere che attraversano tanto i rapporti interpersonali quanto le strutture sociali.

Tra le influenze teoriche fondamentali si annoverano l’Antiteatro di Rainer Werner Fassbinder e il Teatro della Crudeltà di Antonin Artaud, riferimenti che si intrecciano con un immaginario erotico-politico radicato nella sottocultura sadomasochista.

Le loro opere e performance sono state presentate in importanti istituzioni internazionali, tra cui il New Museum di New York (2013), il MoMA PS1 di New York (2012), l’ICA di Philadelphia (2010) e l’ICA di Boston (2007).

LA PROJECT ROOM

In dialogo con la mostra I Only Want You to Love Me, la Project Room del PAC ospita Matrimoni imperfetti. Storie e immagini dall’Archivio della Galleria Emi Fontana (1992-2009), mostra che rende omaggio all’attività della storica galleria milanese fondata nel novembre 1992 in viale Bligny 42.

Il titolo riprende quello utilizzato dalla stessa Emi Fontana in occasione della mostra per il decimo anniversario della galleria, esprimendo il legame intimo e complesso tra artista e gallerista: una relazione quasi familiare, a tratti complicata, ma imprescindibile per il processo creativo. Un matrimonio imperfetto che qui diviene anche metafora del suo rapporto con la città di Milano, luogo di vita e lavoro, terreno fertile per la sperimentazione artistica non privo di sfide e ostacoli.

L’esposizione si articola attraverso un’ampia selezione di materiali d’archivio – inviti, manifesti, cataloghi, video e fotografie – che evocano l’atmosfera vivace e il fervore culturale di un luogo divenuto riferimento fondamentale per la scena artistica italiana. Il percorso espositivo racconta la variegata pluralità di linguaggi espressivi che hanno trovato spazio nella programmazione della galleria, con un focus sugli artisti contemporanei italiani e internazionali e su mostre dal forte carattere ambientale.

Emi Fontana ha sempre dimostrato un profondo interesse verso le questioni più urgenti della contemporaneità, con particolare attenzione al femminismo e alla valorizzazione del lavoro di artiste come Monica Bonvicini, Liliana Moro, Alessandra Spranzi e Cosima von Bonin. La galleria ha sempre dato ampio spazio anche alle tematiche ecologiste, realizzando collaborazioni con Mark Dion, Willie Doherty e Olafur Eliasson, oltre a promuovere un’arte sempre più orientata sul fronte sociale, attraverso il sostegno alle ricerche di figure quali Lovett/Codagnone, Renée Green, Mike Kelley e Rirkrit Tiravanija.

Nel corso della sua carriera, Emi Fontana ha instaurato importanti sodalizi con artisti e colleghi protagonisti del panorama culturale degli anni Novanta e Duemila, rivestendo un ruolo cruciale nell’affermazione dell’arte contemporanea italiana a livello globale e consacrando Milano come fulcro della scena artistica contemporanea nazionale.

Nel 2009, dopo la chiusura della galleria, ha intrapreso un nuovo percorso come direttrice artistica del progetto West of Rome, in California, con cui ha realizzato mostre site-specific in spazi sempre diversi.

EXHIBITION VIEW

Info

Lovett/Codagnone
I ONLY WANT YOU TO LOVE ME
A cura di Diego Sileo
4.7 – 14.9.2025
PAC Padiglione d’Arte Contemporanea
via Palestro 14 – Milano
pacmilano.it

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