Carlo Cossignani_Joan Thiele_credits@CiroGalluccio_

“Let’s Make Green Green Again”: architettura rigenerativa, arte e nuovi immaginari sostenibili

Il Prisma, società internazionale di architettura e design, ha chiuso il suo anno di esplorazione dedicato alla rigenerazione con Let’s Make Green Green Again, una One Day Exhibition che non si è limitata a enunciare l’urgenza ecologica ma l’ha tradotto in un dispositivo percettivo, attraversabile, quasi fisiologico.

L’architettura non come gesto risolutivo, ma come organismo in trasformazione: un linguaggio capace di restituire più di quanto consuma, di modellare relazioni e non soltanto superfici.

L’appuntamento – accolto negli spazi de Il Prisma Live di via Adige 11 – ha condensato un anno di ricerca che il gruppo ha condotto interrogandosi su una domanda semplice solo in apparenza: cosa significa progettare in modo realmente rigenerativo? A guidare il dialogo, Giacomo Rozzo, Head of Innovation, e Amit Anafi, Head of ESG & Sustainability, accompagnati da Walter Mariotti, Direttore editoriale di Domus, chiamato a moderare e a distillare le traiettorie critiche emerse.

IL PERCORSO ESPOSITIVO

Il percorso espositivo è stato organizzato come una sequenza di quattro ambienti, ognuno dedicato a una diversa declinazione dell’immaginario “rigenerativo”.

Vicolo cieco, la prima stanza, si presentava come una camera di risonanza informativa: dati verificati sulla rigenerazione convivevano con il caos visivo degli allarmismi mediatici. Una frizione calibrata che ha messo in scena la distorsione narrativa che avvelena il dibattito ambientale, mostrando quanto il rumore comunicativo possa sabotare la comprensione dei fenomeni.

È seguita La selva dei codici, una foresta simbolica formata da fasce sospese che riportavano sigle, trattati, acronimi e normative globali. Il visitatore attraversava un groviglio di linguaggi che restituiva l’estenuante complessità del discorso sulla sostenibilità, troppo spesso ridotto a slogan. I pannelli esplicativi hanno funzionato da appigli, ma è stata la sensazione di spaesamento a raccontare meglio di qualunque definizione lo stato delle cose.

Il cuore del percorso era La bussola rigenerativa, il modello progettuale sviluppato da Il Prisma per valutare l’impatto dei progetti oltre l’ormai logoro concetto di “impatto zero”. Qui è emersa l’ambizione dell’azienda: edifici capaci di produrre benefici concreti per ambiente e comunità, un “+1” che provava a scardinare la neutralità e a immaginare un’architettura restitutiva, piuttosto che mitigante.

Infine, Oltre il progetto, una sezione che ha provato a mappare l’ecosistema di benefici generabili dalla rigenerazione quando questa diventa processo culturale, non solo tecnico.

“Nel momento conclusivo della nostra ricerca – ha osservato Stefano Carone, Managing Partner – abbiamo sperimentato la rigenerazione mentre accadeva: come esperienza sensoriale, come applicazione del nostro framework testato sul reale. Ci interessava mostrare che ciò che appariva distante dal ‘green’ poteva rivelarsi sorprendentemente rigenerativo”. Una dichiarazione che ha segnato lo scarto rispetto al lessico mainstream della sostenibilità, ormai esausto e inflazionato.

Il percorso è culminato nella performance “Sonora: musica per quattro elementi”, concepita da Joan Thiele e dall’artista visivo Carlo Cossignani. Le sculture sospese in carta di Cossignani, ispirate ai pilastri strutturali dell’architettura, erano negate nella loro funzione portante: frammenti, sospensioni, interruzioni. Era il vuoto a reggere l’intero dispositivo, a suggerire una continuità invisibile, quasi un controcanto strutturale.

Quando Thiele le sfiorava, i pilastri diventavano strumenti. Sensori nascosti trasformavano il gesto in vibrazione sonora, e la scultura in un organismo risonante. Matter and anti-matter: la fragilità della carta che coesisteva con forme appuntite, quasi minacciose; l’astrazione che dialogava con silhouette più figurative; la staticità del materiale attraversata dall’energia dinamica del suono.

L’opera ha messo in scena la condizione contemporanea dell’architettura: fragile e tagliente, sospesa e necessaria, incapace di reggersi sui suoi soli dogmi tecnici, costretta a interrogarsi sulle sue zone d’ombra. Proprio lì, nel vuoto fra i frammenti, risiedeva la possibilità rigenerativa evocata dal progetto.

Let’s Make Green Green Again non è stato una celebrazione del “green”, né un compendio di buone pratiche. È stato un dispositivo critico che ha messo in crisi il linguaggio della sostenibilità per restituirgli spessore. L’architettura, suggeriva Il Prisma, deve tornare a essere un atto culturale prima che tecnologico: un esercizio di responsabilità che si misura sulla complessità, non sulle etichette.

Il progetto non ha consegnato soluzioni, ma domande strutturate. E in questo gesto, profondamente anti-didascalico, ha trovato la sua autenticità: la rigenerazione non come promessa, ma come pratica da esercitare, condividere, discutere. Un processo aperto, che ha chiesto alle comunità di diventare co-autrici degli spazi che abitano.

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