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Iran do Espírito Santo un dialogo sull’ombra, la misura e la luce da Mazzoleni Torino

C’è un silenzio matematico, poetico e immaginifico nelle opere di Iran do Espírito Santo. Un silenzio che misura lo spazio, la distanza tra le cose, la densità della luce.

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Nella mostra “Tracciare il pensiero. 2002-2025” — inaugurata alla Galleria Mazzoleni di Torino — l’artista brasiliano compone un percorso che attraversa oltre vent’anni di lavoro, dal 2002 al 2025, intrecciando sculture, disegni e installazioni murali in un equilibrio di rigore e leggerezza. È una retrospettiva ma anche una riflessione ampia e meditativa sulla scala e sulla luce, sull’impermanenza e sulla misura delle idee.

L’esposizione nasce dal dialogo diretto con lo spazio architettonico del piano nobile della galleria. L’asse prospettico delle stanze, la sequenza dei corridoi, diventano per Espírito Santo un sistema di relazioni, un dispositivo visivo che orienta il pensiero tanto quanto lo sguardo. Ne emerge un linguaggio che si muove tra la tensione del geometrico e la fragilità del poetico: come se la precisione del calcolo potesse coincidere, per un istante, con la vibrazione della memoria.

Nel percorso ritroviamo alcune opere storiche — come Untitled (Key Hole) (2002) o la serie Globe (2011) — accanto a nuove realizzazioni site-specific: Switch (2025), pittura murale composta da cinquantasei sfumature di grigio, e le sculture monumentali Metro e Compasso, dove l’oggetto tecnico diventa misura dell’umano.

L’artista, le cui opere fanno parte di collezioni internazionali tra cui il MoMA e il Guggenheim di New York, ha accolto il team Mazzoleni nella sua casa-studio a San Paolo durante la progettazione della mostra, un luogo che riflette la stessa compostezza e la stessa disciplina del suo lavoro. Lì, tra le montagne che negli ultimi anni ha contribuito a riforestare, ha condiviso una riflessione sulla natura effimera dell’arte e sul tempo come materia della scultura.

Dall’incontro è nata una conversazione. Ecco la narrazione.

L’INTERVISTA

Iran, la mostra “Tracing Thoughts” si presenta come una retrospettiva intima, che attraversa oltre vent’anni di lavoro. Come è nata l’idea di questo progetto?

La mostra è nata dal desiderio di guardare al mio percorso con una certa distanza. Ho scelto alcune opere che rappresentano momenti chiave del mio lavoro — dal 2002 a oggi — e le ho poste in dialogo con nuove realizzazioni. Ho pensato alla galleria come a un corpo architettonico da interpretare, non come a un contenitore neutro. Ogni stanza diventa una pausa, una variazione di ritmo, un passaggio di luce.

L’architettura e il design sembra avere un ruolo centrale nel tuo processo. In che modo lo spazio influenza la tua pratica?

Per me lo spazio è un punto di partenza. Ogni progetto nasce dal confronto con un luogo specifico. Cerco sempre di far emergere la struttura, il modo in cui la luce attraversa l’ambiente. Nella mostra di Torino, la sequenza delle sale crea una sorta di narrazione visiva, quasi cinematografica, che accompagna il visitatore come un movimento di respiro.

La scala — nel senso di misura, proporzione ma anche gradazione cromatica — è un concetto ricorrente nelle tue opere. Come lo interpreti oggi?

Mi interessa la scala perché è un concetto duplice: è al tempo stesso oggettiva e poetica. Quando realizzo un’opera come Switch, che è un dipinto murale fatto di 56 tonalità di grigio, lavoro sulla percezione: sulla minima variazione che genera uno spostamento nel modo di vedere. La scala è anche un modo di pensare il mondo, una misura della realtà e del suo rapporto con l’immaginazione.

Hai definito le opere murarie come “opere di resistenza”. Cosa intendi?

Viviamo in una società ossessionata dal consumo e dalla conservazione. Le mie pitture murarie, al contrario, esistono solo per un tempo limitato, finché il muro rimane. Poi spariscono. Questa loro fragilità diventa parte della loro condizione, e forse aggiunge uno strato poetico: sono lavori che parlano del tempo, non solo dello spazio.

Le sculture “Metro” e “Compasso” amplificano strumenti di misura fino a farli diventare monumenti. È una riflessione sull’uomo e sul suo rapporto con l’idea di ordine?

Sì, mi interessa l’aura dell’oggetto. Questi strumenti sono pensati per rappresentare la precisione, ma diventano anche simboli della nostra tensione verso l’assoluto. In scala monumentale perdono la loro funzione e assumono una dimensione quasi metafisica. Sono strumenti che misurano, ma che non possono più misurare nulla.

Nel tuo lavoro il disegno ha sempre avuto un ruolo fondamentale. Che rapporto hai con questo gesto?

Disegnare, per me, è un atto necessario. È l’inizio della materialità o forse ciò che la precede. Spesso dico che un’immagine diventa opera come un sogno ricorrente: ritorna, insiste, chiede di essere interpretata. Quando disegno “sul serio”, come dico io, è come costruire qualcosa che ha peso, ma allo stesso tempo è liberato dalla gravità.

La tua opera sembra sospesa tra leggerezza e densità, tra precisione e meditazione. Ti riconosci in questa idea?

Credo di sì. La mia ricerca è sempre in bilico tra controllo e abbandono. L’arte, per me, è una forma di equilibrio instabile: una misura che si rinnova continuamente, come la luce che cambia durante il giorno.

In occasione della mostra sarà pubblicato il catalogo con testo critico di Jacopo Crivelli Visconti, un volume che presenterà le opere della mostra a Torino e della successiva esposizione presso Mazzoleni Milano dal 21 gennaio al 28 marzo 2026.

EXHIBITION VIEW

L’ARTISTA

Iran-do-Espírito-Santo-in-his-studio.-Credits-Flora-del-Debbio.-Courtesy-of-Mazzoleni

Iran do Espírito Santo è nato a Mococa, in Brasile, nel 1963. Lavorando spesso su scala ambiziosa, sovverte la
tradizione minimalista attraverso le sue sculture astratte di oggetti quotidiani familiari resi estranianti dalle
dimensioni disorientanti e dai materiali incongrui, come granito, vetro, acciaio, rame o pietra. Queste opere
scultoree si spogliano di ogni dettaglio estraneo, enfatizzando la linea e la forma essenziale dell’oggetto. Questa
rigorosa semplicità si riflette anche nei suoi impegnativi disegni murali in pittura e sgraffito, che trasformano
l’intero spazio attraverso sottili gradazioni di tono e l’ipnotica ripetizione di motivi, ma che richiedono molte
settimane per essere completati. È stata la combinazione di questi due aspetti della sua pratica a costituire la
prima mostra personale dell’artista nel Regno Unito, alla Ingleby Gallery durante l’Edinburgh Art Festival 2010.
Negli ultimi due decenni, Iran do Espírito Santo ha ricevuto molti consensi a livello internazionale. Le sue opere
sono state esposte in musei e gallerie di tutto il mondo e sono incluse nelle collezioni dei principali musei, tra cui:
il Museum of Modern Art di New York, il Museum of Modern Art di San Francisco, il MAXXI di Roma, l’IMMA di Dublino
e il Museum of Contemporary Art di San Diego. Ha inoltre preso parte alla Biennale di Venezia (1999 e 2007), alla
Biennale di San Paolo (1987) e alla Biennale di Istanbul (2000). Tra le mostre più recenti
ricordiamo Reflexivos presso Oi Futuro, Brasile (2019) e Chosen Memories – Contemporary Latin American Art
from the Patricia Phelps de Cisneros Gift and Beyond, MoMA, USA (2023).

INFO

Iran do Espírito Santo
Tracciare il pensiero. 2002-2025
(Tracing Thought. 2002-2025)
Mazzoleni, Torino
29 ottobre 2025 – 10 gennaio 2026

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