Esiste un’arte che sfida il tempo, sottraendosi alle oscillazioni della moda e alle derive dell’effimero. Un’arte che si fa linguaggio rigoroso, calcolo visionario, costruzione di spazi in cui la geometria si dilata e si contrae in un equilibrio tanto ferreo quanto sorprendente.
È il dominio espressivo di Marcello Morandini, maestro della forma e della purezza strutturale, che da sessant’anni esplora la tensione tra ordine e movimento, tra logica e stupore.
Mazzoleni Torino celebra questa incessante ricerca con una mostra che non è solo una retrospettiva, ma una analisi del pensiero dell’artista: un percorso in cui le forme si torcono, si sovrappongono e si espandono, generando configurazioni che sembrano sfidare la gravità e il razionale.
Per Gillo Dorfles, già nel 1968, l’opera di Morandini incarnava una sorta di “matematica assurda”, un paradosso visivo in cui il rigore si piega alla meraviglia, e l’apparente freddezza del calcolo si tramuta in vibrazione plastica.
Morandini negli anni ha costruito un universo in cui il bianco e il nero non sono limiti, ma campi di forze opposte e complementari. L’architettura diventa scultura, il design si fa costruzione della quotidianità, in una ricerca continua che non conosce compromessi cromatici né deviazioni ornamentali.
A sessant’anni dagli esordi, Morandini continua a dimostrare che la geometria non è mai statica, ma in perenne divenire. La sua Fondazione a Varese, ne custodisce il patrimonio e ne amplifica il messaggio: l’arte non è rappresentazione, ma struttura, sistema, dinamica. Un codice visivo capace di oltrepassare il tempo e le mode, per inscriversi in quell’eternità che solo la forma pura sa raggiungere.

L’INTERVISTA
Qual è l’idea alla base della mostra “Geometrie senza Tempo” alla galleria Mazzoleni di Torino?
L’idea della mostra è raccontare la mia arte dal 1964 a tutt’oggi. È un’occasione per mostrare l’humus costruttivo di 61 anni di dedizione al mondo della geometria e ad ogni forma infinita che la compone.
Un mondo progettuale bianco e nero, razionale e coerente, che ha attraversato e plasmato ogni decennio del mio lavoro. Questo approccio si riflette nel mio lavoro nell’arte, nel design e, in parte, nell’architettura.
Il bianco e nero è una scelta stilistica consapevole?
Assolutamente. Il bianco e nero è fondamentale per esplorare la purezza delle forme geometriche senza interferenze.
Ha iniziato la sua carriera come designer?
Sì, ho lavorato come disegnatore meccanico per un’azienda americana a Milano. Parallelamente, frequentavo la scuola serale di Brera. Per guadagnare qualcosa in più, lavoravo come esecutore per un grafico, un’esperienza che mi ha spinto ad approfondire la grafica e la geometria.
Tutte le mie opere d’arte, nascono sotto il segno dell’architettura e anche il settore del design in gran parte può definirsi un’architettura dell’uso quotidiano.
La sua Fondazione a Varese ha un ruolo importante nella sua ricerca?
Certamente. La Fondazione è un luogo aperto al pubblico con spazi dedicati a mostre, musica e didattica. Al primo piano c’è il mio museo, che ora è ufficialmente riconosciuto. Organizziamo esposizioni internazionali con artisti che condividono l’interesse per la geometria.
Nella mostra torinese troviamo opere storiche e recenti. C’è un filo conduttore?
Sì, il tema della spirale e della rotazione ricorre nel tempo. Alcune opere sono nate come studi su carta, altre si sono evolute in sculture in porcellana. La geometria non cambia, cambia il nostro modo di comprenderla.
C’è un’opera della mostra a cui è particolarmente legato?
Ultimamente mi sto concentrando su geometrie ancora più essenziali. Un’opera come “Toro” esemplifica questa ricerca: un triangolo incastonato in due quadrati che crea un effetto dinamico. Il piacere compositivo sta nella semplicità e nella forza della forma.
Ha mai pensato di introdurre il colore nel suo lavoro?
No, assolutamente no! Il colore sarebbe una distrazione. La mia ricerca è calvinista: la geometria deve parlare da sé, senza sovrastrutture cromatiche. Il grigio, quello chiaro e quello scuro, è l’unico elemento che utilizzo per suggerire tridimensionalità.
Come vede l’intelligenza artificiale applicata all’arte geometrica?
Troppo intelligente! Io lavoro ancora a mano, il mio piacere è scoprire movimenti e forme che prima non esistevano. Un computer eseguirebbe tutto in pochi secondi, ma senza l’anima della ricerca. L’intelligenza artificiale può essere utile, ma non deve sostituire il pensiero creativo dell’artista.
Nel suo lavoro gioca spesso con illusioni ottiche e prospettive. È una scelta intenzionale?
Sì, voglio coinvolgere l’osservatore, portarlo dentro l’opera. Spesso non ci rendiamo conto dello spazio attorno a noi, camminiamo senza osservare. Con il mio lavoro invito a considerare anche ciò che è sopra e sotto di noi, a percepire l’ambiente in modo più consapevole.
Dopo tanti anni di carriera, cosa la spinge ancora a creare?
La geometria è uno stile di vita, una spirale infinita che continua a ispirarmi. Ogni nuovo lavoro è un punto di partenza, una ricerca continua. La geometria cambia con noi, più la conosciamo, più scopriamo nuove possibilità. E per me, questo percorso non ha fine.
L’ARTISTA
Marcello Morandini (n. 1940, Mantova) vive a Varese dal 1946 ed è uno dei maggiori rappresentanti
dell’Arte Concreta in Europa. Esordisce negli anni ’60 con le prime opere tridimensionali e nel 1968 viene
invitato con una sala personale alla Biennale di Venezia. Partecipa a Documenta 6 (1977) e ad altre
importanti rassegne internazionali. Il suo lavoro esplora la geometria attraverso forme rigorose e
strutture metodiche, in sintonia con il Bauhaus, De Stijl e il Manifesto dell’Arte Concreta. A partire dagli
anni ’80 sviluppa progetti architettonici in Germania, Singapore e Malesia. Nel 2016 fonda la Fondazione
Marcello Morandini a Varese, dedicata alla conservazione e promozione della sua opera e dell’Arte
Concreta e Costruttivista Internazionale.
EXHIBITION VIEW
INFO
MARCELLO MORANDINI. GEOMETRIE SENZA TEMPO
Mazzoleni, Torino
6 marzo – 28 giugno 2025
Mazzoleni, Piazza Solferino, 2 – 10121 Torino