Giuditta Branconi costruisce mondi, universi paralleli in cui la realtà si scompone e si riassembla.
I suoi quadri sono affollati da figure che emergono e si dissolvono, tra giochi di trasparenze, pennellate audaci e dettagli minuziosi. La sua è una pittura che oscilla tra il caos e la precisione, tra il virtuosismo e l’istinto, restituendo immagini che sembrano muoversi, vorticare, confondersi con lo sguardo di chi le osserva.
L’abbiamo incontrata durante la sua ultima mostra intitolata “BRAVA” presso la galleria L.U.P.O. Lorenzelli Projects di Milano
Nella personale l’artista approfondisce il concetto di virtuosismo non solo come abilità tecnica, ma come una forma di espressione che trascende le convenzioni e sfida le categorie tradizionali dell’arte visiva.
Ecco la nostra conversazione.
L’INTERVISTA
Cosa ti ha ispirato a creare la mostra “BRAVA”? Qual è il messaggio principale che desideri trasmettere ai visitatori?
Non c’è un messaggio preciso, la mostra “BRAVA” è qualcosa che ho fatto per me, per tirare le somme di questi anni di lavoro. Le opere servono per dimostrare/dimostrarmi quello che so fare e che ho imparato in questi anni.
In che modo il concetto di virtuosismo si manifesta nelle tue opere? Come lo definisci nel contesto dell’arte visiva?
Letteralmente la parola virtuosismo significa “Padronanza assoluta dei mezzi tecnici connessi con l’esercizio di un’arte”; per estensione invece “Ricorso, per lo più brillante o esibizionistico, a doti di particolare finezza o di consumata abilità”. Nelle mie opere penso che questo si manifesti attraverso le dimensioni monumentali, alcuni stratagemmi tecnici, i formati particolari, attraverso la cura dei dettagli e la ricerca quasi isterica delle immagini. Nel contesto dell’arte visiva non saprei come definirlo, penso che ogni artista a modo suo abbia un suo modo di essere virtuoso.
Hai menzionato l’influenza del romanzo Il Soccombente di Thomas Bernhard. In che modo questa narrazione ha plasmato il tuo approccio artistico?
Mi piace come l’arte venga percepita e vissuta come faticosa, tediosa ed ingiusta.
Le tue opere indagano ed esplorano il dialogo tra il visibile e l’invisibile. Puoi parlarci di questi percorsi che plasmi all’interno delle tue opere?
Per me ovviamente è tutto visibile, quando dipingo vorrei inserire ogni pensiero, ogni emozione. Ovviamente è un processo fallimentare.
Chi sono i personaggi che vivono nei tuoi quadri e nei tuoi mondi?
I miei personaggi sono vari, da incisioni di Eva a spogliarelliste, animali, prede e predatori. C’è un po’ di tutto.
Nei tuoi quadri riportano frasi collocate sul retro della tela, creando un enigma da decifrare. Come scegli queste frasi?
La maggior parte vengono da libri e sono frasi che in quel momento per me sono perfette per indicare quello che voglio rappresentare. Altre sono messaggi che ho inviato ad amici o amanti, altre vengono da canzoni. Il mio processo creativo può sembrare casuale, magari lo è, ma il mio intento è rappresentare la contemporaneità fra bene e male, amore e odio, alto e basso.
I titoli dei tuoi quadri sono una parte importante della tua creatività. Come nascono? Prima o dopo dei tuoi lavori?
Nascono quasi tutti dopo il lavoro e sono di solito citazioni da libri.
Cos’è per te l’estetica?
Qualcosa di intimo e personale.
Se dovessi scegliere tre parole chiave per definire la tua arte quali sarebbero?
Difficile, leggera, pesante.
Come vedi il ruolo dell’artista nella società contemporanea? Quali responsabilità senti di avere nei confronti del tuo pubblico?
Non sento nessuna responsabilità, visto che il pubblico (soprattutto in Italia) non è un pubblico eterogeneo ma costituito prevalentemente da personaggi che gravitano in modi diversi nell’ambiente artistico.
Il ruolo dell’artista credo sia molto simile a quello dell’atleta, ma non riesco a percepire negli ultimi anni (se non per casi rarissimi) una sua vera importanza sociale.
Potresti elencare i tuoi cinque artisti preferiti di tutti i tempi?
Cimabue
Filippo Lippi
Dürer
Malevič
Bacon
Ricordi la prima mostra che ha illuminato la tua visione artistica? E l’ultima?
Una retrospettiva di Bacon al Centre Pompidou.
Julie Mehretu a Palazzo Grassi.
C’è un desiderio artistico che non hai ancora esaudito?
Tantissimi, ma non voglio portarmi sfiga.
Se dovessi definirti in terza persona, come ti descriveresti?
Una stronza spirituale.
Cosa pensi dell’intelligenza artificiale applicata all’arte? Può la tecnicità superare la creatività?
La definizione di tecnica è “Insieme delle norme su cui è fondata la pratica di un’arte, di una professione o di una qualsiasi attività, non soltanto manuale ma anche strettamente intellettuale, in quanto vengono applicate e seguite”. Nella parola quindi è nascosta comunque una natura creativa. Credo che il bello dell’arte, ma in generale dell’essere umano, sia la capacità di sbagliare ed essere imperfetto. Non credo che l’intelligenza artificiale o in generale un avanzamento tecnologico possa annullare o snaturare l’arte come la conosciamo.
Quando è stata l’ultima volta che hai fatto qualcosa per la prima volta? E soprattutto, cosa hai fatto?
Il 30 gennaio, sotto la Luna Nuova, ho deciso di chiudere un capitolo. Ho bruciato i vestiti di un tipo, un gesto liberatorio, simbolico, per marcare l’inizio di qualcosa di nuovo.
Se mi recassi da te per uno Studio Visit cosa troverei nel tuo studio? Quadri, natura, tecnologia, libri…?
In questo momento nel mio studio c’è parte del trasloco dei miei, quindi c’è veramente di tutto, da un fasciatoio a biciclette. In generale però ho una specie di collezione di piante che ho rubato in giro, molti libri e molti vestiti sporchi.
Come sarebbe la tua vita se potessi viverne un’altra diversa da questa?
Vorrei solo essere più tranquilla e serena, magari con più soldi e più tette.
L’ARTISTA
Nata nel 1998 a Sant’Omero (Italia), Giuditta Branconi vive tra Milano e Teramo.
Le sue opere sono rumorose e roboanti, vivono di una pittura prorompente che sorride a bocca aperta e subitaneamente sussurra. Quella messa in scena dall’artista è una vera e propria mise-en-scène teatrale dove una fauna popolosa circonda personaggi chee ci guardano con occhi senza tempo. La vivace composizione gioca tra scorci rubati e vasti orizzonti dove lo sguardo si perde, ma solo fino a un certo punto prima di essere ricacciato indietro.
Branconi ammassa figure e simboli, strati di colori e riferimenti in quadri caotici e sgargianti, vividi e opachi, torbidi e delicati. Volti di donne, putti paffuti e animali dispettosi fanno capolino dal sottobosco e riaffiorano lentamente, depositandosi l’uno sull’altro e nella mente dello spettatore.
Questi personaggi idilliaci e in qualche modo familiari emergono da una cornice dipinta che a tratti li nasconde e a tratti li protegge. Vagano in una terra di chiaroscuri e di contraddizioni dalle tinte vivaci, dove nulla si ferma e tutto ha il sapore dell’eterno.
Inoltre, sono legati da relazioni strette, chiacchierano senza parole e aprono vie segrete tra evasione e flusso di coscienza.
Un’atmosfera a volte erotica ed edonistica, a volte endogena e trasfigurata, permea i dipinti. In questo senso,
quella di Branconi è ancora una volta una pittura di paesaggio, che apre spazi semi-ricordati e a tratti immaginati.
Allo stesso tempo, l’artista utilizza la tela sia sul fronte che sul retro. In questo modo, stabilisce un grado zero in cui la
prima fase dell’atto pittorico si dipana e si sfalda, per poi permeare dall’altro lato, sfruttando la porosità della materia
per dare all’immagine nuovi orizzonti.