Quando l’arte rompe i confini tra i sensi, nascono esperienze che sfidano le convenzioni e invitano a nuove interpretazioni del rapporto tra materia, corpo e suono.
È il caso di CC19, la live performance nata dall’incontro tra l’artista italiana Clarissa Falco e l’artista ecuadoriano Josè Cobos.
Il loro percorso condiviso ha avuto origine a Jingdezhen, in Cina, durante la Ceramic Autumn Fair, dove hanno presentato per la prima volta una performance che fonde gesto, suono e la fisicità delle maschere ceramiche di Cobos. Un’esperienza multisensoriale che ha saputo catturare il pubblico, portando il duo a esplorare nuovi spazi e atmosfere.
Dopo il successo iniziale, Falco e Cobos hanno rielaborato CC19 nello studio del fotografo cinese Dong Wang, conosciuto come Wanimal. Qui, l’architettura e l’ambiente hanno amplificato l’intensità emotiva della performance, immergendo gli spettatori in una dimensione oscura e primordiale, dove la materia sembra dialogare direttamente con l’intimità del corpo.
Abbiamo intervistato Clarissa Falco sul suo progetto e in generale sulla sua visione artistica.
L’INTERVISTA
La tua opera lavora sul corpo e sul suo status sociale, ponendolo in un costante dialogo con elementi e movimenti meccanici. Cosa rappresenta per te il corpo?
Utilizzo il mio corpo come strumento per esprimere ed esorcizzare alcuni traumi, sia individuali che collettivi. Sappiamo bene di essere immersi in un contesto sociale, politico ed economico in cui ci viene richiesto di essere estremamente performativ* e produttiv*.
In questo senso, la macchina diventa una metafora di questa costrizione.
Durante le mie performance, arriva sempre un momento in cui “impazzisco”: quello è l’attimo in cui riesco a liberarmi dalle sovrastrutture e diventare un corpo libero (e senza organi).
Nella tua attività performativa, il binarismo macchina-corpo si estrinseca attraverso una gestualità automatica della performer, come intrappolata in un loop temporale sempre uguale a sé stesso. Ci spieghi questo meccanismo?
Il loop rappresenta una forma di alienazione: è la ripetizione meccanica che descrive la costrizione del corpo a una produttività incessante. Attraverso questo gesto automatico, racconto la perdita di spontaneità, ma anche la possibilità di rompere il ciclo e riscoprire la libertà del corpo come entità creativa e sensibile.
CC19 è il titolo della tua live performance nata dalla collaborazione con Josè Cobos. Ce la racconti?
Con Josè ci siamo incontrat* per la prima volta a Jingdezhen, in Cina, durante la Ceramic Autumn Fair, dove abbiamo presentato per la prima volta la performance. CC19 racconta dello stretto rapporto che intercorre tra ceramica, corpo e suono, attraverso una gestualità che si accompagna alle melodie prodotte dalle maschere di Josè.
Dopo il successo riscontrato durante la fiera d’autunno, abbiamo deciso di proseguire la collaborazione, riproponendo la performance nello studio del fotografo cinese Dong Wang, aka Wanimal.
L’architettura dello spazio ha permesso alla performance di assumere una dimensione differente rispetto alla versione originale, calandosi in un’atmosfera cupa e suggestiva, dove le pulsioni primarie sono state in grado di riemergere.
Le tue performance sono indagini scultoree. Come nascono i vari progetti?
Fino a qualche anno fa, la performance era un completamento della mia indagine scultorea: spesso mi capitava di performare all’interno di installazioni e ambienti che io stessa creavo. Ora i due linguaggi proseguono parallelamente.
Per quanto riguarda l’ambito scultoreo, la mia ricerca continua a incentrarsi sulla nozione di macchina, attraverso un’estetica che richiama l’immaginario cyberpunk, horror e sci-fi.
Nell’attività performativa, invece, ho modo di spaziare tra differenti narrazioni: dall’utilizzo di intelligenze artificiali alla messa in scena di rituali o esorcizzazioni di traumi. Questa eterogeneità è resa possibile dalle collaborazioni con artisti eccezionali che mi stimolano continuamente nella sperimentazione.
Pensi che un artista si debba schierare e manifestare le proprie idee attraverso la sua opera?
Sì, penso sia importante avere degli ideali e comunicarli attraverso l’arte.
Mi fai una lista dei tuoi cinque artisti preferiti in assoluto?
Come artista visiva Marin Lee, performer Joshua Serafin, registi David Cronenberg e John Waters, musicista SOPHIE.
Ti ricordi quale sia stata la prima mostra che ha illuminato la tua visione artistica? E l’ultima?
A 13 anni i miei genitori mi hanno portata al MoMA: è stato in quel momento che ho deciso di voler studiare arte contemporanea. Di recente ho apprezzato molto la 59ª Esposizione Internazionale d’Arte, “Il latte dei sogni”.
Cosa è per te l’estetica?
L’estetica è strettamente legata alla percezione e alla capacità di sentire. È qualcosa i cui confini non sono definiti, ma al contrario tendono a spostarsi, estendersi e trasformarsi continuamente.
Il risultato è l’impossibilità di definire l’estetica in modo univoco o sulla base di criteri oggettivi. Personalmente trovo esteticamente belli i film splatter degli anni ’80, ma questo gusto spesso non è condiviso dalla maggioranza delle persone.
Di conseguenza, a volte il mio lavoro non è compreso o apprezzato.
C’è un desiderio artistico che non hai ancora esaudito?
Vorrei realizzare un’installazione percorribile con enormi macchinari rotti e improduttivi.
Quali sono le parole chiave per descrivere la tua opera?
Corpo, macchina, metallo, anime, film, sci-fi, horror.
Come ti definiresti in terza persona?
Ansiosa ma con capacità di adattamento.
Cosa ti fa battere il cuore?
Un bel film.
Cosa ne pensi dell’intelligenza artificiale applicata all’arte?
Sono a favore dell’intelligenza artificiale applicata all’arte. Credo che si completino e si rafforzino vicendevolmente.
Il tecnicismo può superare la creatività?
Non saprei, ma perché no?
Quando è stata l’ultima volta che hai fatto una cosa per la prima volta? E soprattutto, cosa hai fatto?
Con il mio collega Josè e Jiayao Ren, una nostra amica cinese, abbiamo registrato mezz’ora di conversazioni nelle nostre rispettive lingue. Il risultato è stato molto interessante: Jiayao lo ha poi impresso su cassetta e ne ha data una copia a ciascun*.
È stata la prima volta in cui ho sperimentato con la voce, e credo lo farò ancora.
GLI ARTISTI
Clarissa Falco, è un’artista visiva e performer Italiana.
Falco concentra il suo lavoro sul corpo e sul suo status sociale ponendolo in un constante dialogo con elementi e movimenti meccanici.
Le sue sculture partono dall’idea di corpo concepito come macchina, al di là della distinzione tra soggetto e oggetto, che viene privato del suo aspetto per diventare motore e ingranaggio, parte della macchina stessa.
Nell’attività performativa il binarismo macchina-corpo si estrinseca attraverso una gestualità automatica della performer, come intrappolata in un loop temporale sempre uguale a sé stesso.
Falco propone di cercare nuove visioni e figurazioni del corpo, del genere, della performatività del genere e dei suoi attributi simbolici, utilizzando la performance come completante dell’indagine scultorea, e in particolare del meccanismo del motore come metafora formale.
https://www.instagram.com/clarissafalco
José Cobos, è un artista e architetto di Cuenca, Ecuador. Si è laureato in architettura e successivamente ha intrapreso il pecoroso come ceramic sound artist.
Durante le sue prime esplorazioni attraverso vari media artistici, tra cui street art, illustrazione e arte 3D, ha riscoperto una passione infantile: scolpire animali in argilla. Questo lo ha portato ad approfondire il mondo della ceramica fino ad arrivare in Cina a Jingdezhen, dove ha esplorato nuove opportunità e sviluppato il suo lavoro con il suono nell’argilla.
Guardando al futuro, Cobos mira a oltrepassare i confini del suono e del materiale. Sebbene l’argilla rimanga il suo mezzo principale, immagina di creare artefatti sonori innovativi che trascendono i limiti tradizionali, favorendo un dialogo tra il patrimonio antico e la sperimentazione contemporanea.
https://www.instagram.com/josecbs_404
Dong Wang, noto anche come “WANIMAL“, è un fotografo di nudo, principalmente femminile.
Ha studiato pittura, scultura e teatro, specializzandosi in scenografia sia durante gli studi triennali che magistrali.
La pratica dell’arte teatrale gli richiede di collaborare con diversi registi linguistici e di familiarizzare con vari copioni, stili di performance, epoche storiche e culture differnti. Questo ha una profonda influenza nella sua arte e lo spinge a esplorare più possibilità nei servizi fotografici, pur mantenendo i nudi come elemento fondamentale del suo lavoro.
Proprio come il suo nome “Dong” che significa “Animale” in cinese, il corpo umano nudo condivide l’uguaglianza con gli animali. In questo senso la sua ricerca artistica si focalizza sull’esprimere la maggiore purezza della nudità.
https://www.instagram.com/912wanimal912