Una complessa e monumentale installazione site-specific dà vita alla mostra di Gianluigi Colin nella galleria Volumnia a Piacenza.
Gianluigi Colin (Pordenone, 1956) da molti anni lavora sul dialogo tra immagini e parole. In particolare, il centro del suo lavoro è il sistema dei media, la dimensione del tempo e il valore della Memoria.
Questa mostra, curata da Achille Bonito Oliva, rappresenta per Gianluigi Colin una nuova
ed impegnativa sfida: lo spazio imponente della cinquecentesca Chiesa di Sant’Agostino, coraggiosamente fatto rinascere da Enrica De Micheli, ha spinto infatti Colin a confrontarsi in un corpo a corpo con gli impegnativi spazi densi di storia e avvolti da una naturale spiritualità.
La mostra è stata possibile anche grazie al coordinamento di Luigi De Ambrogi, il progetto allestitivo dello studio Baldessari e Baldessari e uno speciale progetto delle luci di Davide Groppi. La mostra si inserisce nel programma di XNL APERTO: progetto dedicato alle arti contemporanee nato dalla sinergia tra istituzioni pubbliche e soggetti privati del territorio piacentino.
Colin ha dato vita a una mostra interamente pensata ad hoc per gli spazi della chiesa, presentando due nuovi cicli di lavori molto diversi sul piano della rappresentazione, ma uniti dall’uso degli stessi materiali e dallo stesso linguaggio dell’astrazione.
Complessivamente si tratta di 60 tele, alcune anche di grandi dimensioni, più una monumentale installazione nella navata centrale della Chiesa.
Da una parte, infatti, Gianluigi Colin ha deciso di collocare le sue opere astratte (che ha chiamato “Impronte,” caratterizzate dal fatto di essere materiali di pulizia delle rotative di stampa di quotidiani o di libri) esattamente là dove prima c’erano le cinquecentesche pale d’altare: opere cariche di memorie di parole e di figure, qui dissolte in segni, striature dai colori tenui o accesi che suggeriscano un’idea di meditazione e riflessioni sulla fragilità dell’esistenza.
È lo stesso Colin a sottolineare la natura del suo intervento artistico: “In questi object trouvé ho trovato la simbolica rimozione di infinite storie, metafora della dimenticanza che avvolge il nostro presente. E’ la traccia di un tempo dissolto, testimonianza di tante esistenze celate. Tele prelevate nel cuore del mondo della comunicazione sulle quali sono intervenuto assemblando frammenti discontinui in una ricostruzione arbitraria: Impronte rimosse di tante vite, dissoluzioni di infiniti racconti. Da queste considerazioni é nato il titolo della mostra: “Quel che resta del presente”.
E aggiunge Colin: “Ho sempre pensato che in un luogo carico di memoria come quello che mi ospita, un artista abbia soprattutto un dovere: dialogare con la storia preesistente, senza necessariamente annullare la propria identità
. Per questa ragione ho pensato a un progetto, il più rispettoso possibile, collocando nelle navate laterali 10 grandi opere inserendole esattamente nelle cornici barocche, proprio dove prima erano collocate le antiche pale. Nelle navate laterali ho collocato poi altre 50 opere nelle nicchie, mentre nella navata centrale ho realizzato una installazione in cui grandi drappi si calano dall’alto e avvolgono lo spazio come avviene
tradizionalmente nel corso di speciali eventi liturgici. Se i musei rappresentano le cattedrali laiche
della contemporaneità, qui ho voluto evocare (e in qualche modo celebrare) la dimensione anche
estetica della pratica del culto, con i suoi riti e cerimonie. E al tempo stesso, come sosteneva Hegel,
ricordare che la lettura del quotidiano resta “la preghiera laica del nostro tempo”.
Il lavoro di Gianluigi Colin si impone come una riflessione sulla tradizione del rapporto tra Storia, Arte e Chiesa. A a ogni visitatore apparirà evidente un dettaglio: tutte le statue sono state decapitate.
La chiesa, infatti, è stata oggetto di dissacrazione da parte dell’esercito napoleonico: Gianluigi Colin ha voluto ricordare questo evento storico ricostruendo delle simboliche teste, ma bendate, invitando cosìa riflettere sulla cultura iconoclasta e sulla pratica, oggi molto d’attualità , della “cancel culture”.
Infine conclude Colin: “Non faccio altro che costruire un atlante del caos. Credo in un’arte che
guardi all’insegnamento della Storia, ma che non dia risposte. Piuttosto ponga domande. Per questo
cerco di non dimenticare l’amaro l’insegnamento di Elias Canetti, quando ricorda: “La storia
insegna quello che già si sa”.
INFO
Gianluigi Colin
Quel che resta del presente
a cura di Achille Bonito Oliva
Venerdì 23 Settembre H 17:00 – 22:00
Stradone Farnese 33, Piacenza