Yves Klein IKB 45, 1960

Focus: Il paradosso dell’immagine nella contemporaneità. Malevič & Klein

L’immagine, dal suo etimo che rimanda al significato simbolico delle sacre icone, fonda il senso della sua simbolicità indipendentemente dal carattere del suo riferimento trascendente.

Il paradigma del “vedere l’invisibile” perdura anche nel momento in cui non solo perde spessore il riferimento dell’icona alla trascendenza divina, ma anche quando la stessa struttura estetica muta i suoi temi nel corso della storia dell’arte, non raffigurando più le vicende sacre e al tempo stesso sottraendosi alla rappresentazione imitativa del reale.

Nella storia del Novecento gli esempi di questo paradigma che supera la concezione dell’arte come mimesi e rinvia ad un orizzonte invisibile oltre il senso figurale sono molti.
Le poetiche di artisti come Malevič e Klein, sebbene non assimilabili tra loro, hanno una prossimità teorica con l’universo delle icone e con il significato simbolico dell’arte figurativa. Esse manifestano un nucleo filosofico essenziale: ossia il fatto che la pittura non è la rappresentazione “di” qualcosa ma la tensione “verso” qualcosa. Non sono i contenuti rappresentati a essere essenziali ma, al contrario, proprio l’indeterminatezza di tali contenuti che fungono da medium verso l’invisibile, senza tuttavia perdere il radicamento alla dimensione estetico-sensibile.

Kazimir Malevič con i suoi monocromi sembra voler esprimere in pittura alcuni aspetti della teologia negativa di Plotino: le forme sono “spogliate” con un intento molto vicino al misticismo. Egli scrive infatti che è arrivato “al di là dello zero della creazione” e, con tono ossimorico, al “suprematismo” che è parimenti “nuovo realismo pittorico” e “creazione non oggettiva”. La non oggettività a cui allude vuole evidenziare il fine anti-mimetico dell’arte, tuttavia mira anche a indicare una nuova strada costruttiva, capace di esplorare il mistero dell’universo, mistero che viene esaltato dal colore unico, nella sua perfezione assoluta. Il monocromo si configura quindi come la “nuova icona”, la porta regale di accesso all’invisibile, come quel non oggetto assoluto attraverso il quale, come è evidente nel Quadrato nero su fondo bianco, Dio è inteso come Uno originario, ossimoro di una luce nera che si manifesta solo nell’oscurità. L’esperienza dell’arte conduce dunque verso una nuova forma di astrattismo, che si allontana dalle cose per spostarsi verso la zona invisibile della loro provenienza. La distruzione dell’immagine rappresentativa non solo non è iconoclasta, ma anzi ne esalta il valore simbolico; paradossalmente l’iconofilia estrema, attraverso la celebrazione assoluta del valore simbolico dell’immagine, sfocia in iconoclastia della raffigurazione, spogliandola da ogni riferimento reale. Se di uccisione si può parlare, si tratta tuttavia di un’uccisione mistica dell’immagine, finalizzata ad esaltarne il senso profondo che è spirituale e sensuale allo stesso tempo.

Il paradosso della monocromia rimanda in un certo qual modo anche al paradosso della contemporaneità: se qui vi è un’immagine che è iconoclasta non rappresentando nulla di riconoscibile, pur non aderendo affatto alla tradizione iconoclasta, nella società contemporanea che è incentrata sul dominio delle immagini e quindi niente di più vicino all’iconofilia estrema, vi è il rischio forse di un appiattimento alla dimensione del visibile, svuotando il significato simbolico e allusivo dell’immagine come struttura di rinvio? L’interrogazione sul rapporto che l’arte detiene con la stratificata varietà del simbolico si lega alla domanda sulla legittimità di quest’ultimo nella società contemporanea, caratterizzata da incertezza, liquidità, frantumazione, dalla fine delle grandi ideologie e dalla desacralizzazione delle cose. Tuttavia l’arte è e sarà sempre il luogo essenziale per comprendere i processi di simbolizzazione: è una funzione diacronica che, nella varietà degli stili, mantiene, nel suo manifestare un’esigenza antropologica, il potere conoscitivo proprio del segno e dell’immagine. E il monocromo incarna pienamente l’esigenza della perenne domanda simbolica dell’arte, quella di essere un’interrogazione continua sul rapporto tra il segno e la realtà: è questo il monocromo originario cui Malevič allude, corporeo e spirituale insieme, storico ed eterno al tempo stesso.

Un altro artista che sottolinea gli aspetti paradossali che uniscono nell’arte concettualismo e sensualità è
Yves Klein: in lui la scelta del monocromo deriva da un’idea pura, dove la ripetitività assoluta è legata al sigillo dell’originalità di ogni singola esperienza interiore, che è unica e sempre differente dalle altre. Alla domanda “perché il blu?” egli risponde che il blu è la verità, la saggezza, la pace, la contemplazione, l’unificazione di cielo e mare, il colore dello spazio infinito, che essendo vasto può contenere tutto. Il blu è l’icona per eccellenza, “l’invisibile che diventa visibile”. Questo puro pigmento blu, che Klein brevettò con il nome di IKB (International Klein Blue) innalza l’importanza del colore a un livello assoluto: le grandi tele impregnate di Blue Klein sembrano trasformare la materialità del supporto del dipinto in un elemento incorporeo. L’osservatore può sentirsi libero di percepire di fronte all’opera qualsiasi sensazione, dal momento che l’occhio non è assorbito da nessun punto fisso e nessuna figura o riferimento tradizionale sono impressi nel quadro, in modo tale da indurre chi guarda a perdersi nella sensibilità e nella profonda spiritualità di quel blu ipnotico.

Un’altra istanza recuperata da Klein, senza però abbandonare la monocromia e sottolineando nell’arte la duplicità dei valori mitici e spirituali è la tecnica ionica della doratura, appresa a Londra nel 1949. Questa tecnica ha forti legami con il passato, in particolare con le pale d’altare, in cui l’oro, al di là del suo valore materiale, possiede anche un significato spirituale. Lo scopo dell’artista è proprio quello di restituire all’oro una funzione simbolica, elevandolo da semplice mezzo di scambio per i beni di consumo. In un rituale solenne vendeva “zone di sensibilità pittorica immateriale” e il prezzo doveva essere pagato in oro: nel 1962 i Blankfort, una coppia di americani, pagarono quattordici lingotti d’oro per la cessione della sua sensibilità pittorica; Klein ne gettò sette nella Senna e gli altri li trasformò tempo dopo in lamine d’oro per i suoi monogolds. Utilizzando una tecnica appositamente studiata, le sottili lamine d’oro erano fissate solo parzialmente alle superfici dei suoi lavori in modo tale da vibrare ad ogni alito di vento e creare dei riflessi stupendi. Anche in questo artista quindi le opere d’arte tendono – come lui stesso dichiara – verso qualcosa che non è mai nato e mai morto, verso cioè un valore assoluto. La monocromia allude a una ricerca universale: ricerca di ciò che sta al di fuori degli eventi terreni e quotidiani tentando di raggiungere i confini dell’infinito, l’idea del vuoto, dell’immateriale, in una pluralità semantica che si esalta nel “colore puro” che nulla rappresenta ma esprime “qualcosa in sé”.

Attraverso la monocromia e l’astrazione, concludendo, viene in luce il fatto che il paradigma mimetico della rappresentazione non è la forma simbolica per eccellenza, ma una delle tante forme simboliche, non è “lo stile” ma “uno tra i tanti stili”, dal momento che l’arte, in quanto “rende visibili” i processi genetici di formazione della natura (natura naturans) è già imitazione di essa, non è necessario che imiti anche i suoi prodotti (natura naturata). L’artista, proprio come non è più prigioniero di immagini illusionistiche, non si sente più vincolato a un modello o all’arte naturalistica, ma tende a disvelare l’archetipo delle cose, alla ricerca di quel “grembo della natura” di cui parlava Klee nei suoi diari, “quel fondo segreto” e primigenio della creazione, il luogo dove si trova la matrice di ogni forma simbolica e dell’arte di qualsiasi epoca. L’arte dunque si configura come il luogo originario che, attraversando diacronicamente tutta la storia, è essenziale per comprendere i processi di simbolizzazione da essa stessa creati e, esprimendosi di volta in volta in immagini e simboli differenti, percorre una strada che non si ferma mai, rimandando a nuovi orizzonti di senso e superando anche le aporie e i paradossi della contemporaneità.

PER SAPERNE DI PIU’

Paul Klee, Diari, 1898-1918
Elio Franzini, I simboli e l’invisibile. Figure e forme del pensiero simbolico, 2008
Jean Claude Marcadè, “Pittura e scrittura in dialogo” in Kazimir Malevič, Oltra la figurazione, oltre l’astrazione, 2005
France Farago, L’art, 1998
Wladimir Weidle, “L’icona: immagine e simbolo”, in Vestnik, n.55, 1960

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