Annunciate le cinque finaliste della nona edizione del Max Mara Art Prize for Women 2022-2024

Annunciare le cinque artiste finaliste della nona edizione del Max Mara Art Prize for Women. Le finaliste sono: Rebecca Bellantoni, Bhajan Hunjan, Onyeka Igwe, Zinzi Minott e Dominique White.

Questo fine settimana le artiste si sono recate presso la Collezione Maramotti di Reggio Emilia, in Italia, per presenziare all’annuncio ufficiale e all’inaugurazione del grande progetto The Age/L’Età realizzato dall’ottava vincitrice del premio, Emma Talbot.

Per l’edizione 2022-24 del premio, le artiste sono state selezionate da una giuria composta dalla gallerista Rozsa Farkas, dall’artista Claudette Johnson, dalla scrittrice Derica Shields e dalla collezionista Maria Sukkar. Solitamente presieduta dalla Direttrice di Whitechapel Gallery, la giuria dell’edizione 2022-24 è stata invece guidata dalla curatrice ospite Bina von Stauffenberg.

La vincitrice sarà nominata nella primavera del 2023.
Il Max Mara Art Prize for Women, in collaborazione con Whitechapel Gallery è un premio biennale fondato nel 2005. Si tratta di un premio unico nel suo genere, la cui finalità è quella di promuovere e supportare artiste emergenti che si identificano come donne di base nel Regno Unito, e che consente loro di sviluppare il proprio potenziale offrendo all’artista premiata il tempo e lo spazio necessari.
Alla vincitrice è offerto un periodo di residenza in Italia della durata di sei mesi, organizzata su misura in base all’artista e alla proposta presentata per il Premio.

Nel corso della residenza, organizzata dalla Collezione Maramotti, l’artista ha l’opportunità di realizzare un nuovo ambizioso progetto, che viene successivamente esposto nell’ambito di due importanti mostre personali alla Whitechapel Gallery di Londra e alla Collezione Maramotti di Reggio Emilia, che in ultima istanza acquisisce l’opera.

Bina von Stauffenberg, presidente della giuria del Max Mara Art Prize for Women, ha dichiarato a nome di tutte le giurate:

Oggi, in un’epoca in cui i diritti delle donne continuano a essere messi in discussione, assicurarsi che le artiste vengano sostenute e ascoltate in tutto il mondo non potrebbe rivelarsi più urgente e importante. Per oltre un decennio, questo premio unico nel suo genere ha permesso ad artiste che si identificano come donne, in momenti diversi della loro carriera, di sviluppare il proprio potenziale in modi straordinari.
Grazie a una residenza in Italia di sei mesi e alle risorse per produrre un’importante nuova
commissione, questo premio offre loro il tempo, lo spazio e il supporto necessari”.

LE FINALISTE

Rebecca Bellantoni è un’artista che vive e lavora a Londra, il cui lavoro attinge dal quotidiano
per trasformarlo in rappresentazioni astratte. Esplorando discipline quali la metafisica, la teologia comparativa, la filosofia, la religione, la spiritualità e la loro estetica attraverso la lente stratificata di scritti (sia di narrativa che non) di autrici nere, l’artista cerca di separare e discernere prudentemente i concetti di accettazione/aspettativa del “reale” ed esperienza del “reale”; così facendo, Bellantoni esamina come questi confini – generalmente soppressi – possano offrire esperienze meditative e fungere da portali per accedere al proprio sé, oltre che plasmare riflessioni collettive e pensieri e azioni curativi.
L’attuale progetto di Bellantoni, C.R.Y: Concrete Regenerative Yearnings, riflette sulla città, i suoi molteplici mondi, i suoi materiali (industriali e naturali) in relazione alla psiche, all’anima e al corpo del cittadino. La sua ricerca si ispira all’idea di geografia delle donne nere di Katherine McKittrick, idea che nasce dalla negoziazione dei concetti di spazio, luogo ed esperienza vissuta, e dagli scritti di Édouard Glissant sul ruolo del paesaggio e
dell’ambiente costruito sulla psiche e sulla produzione culturale di un popolo colonizzato.
La sua pratica si articola attraverso molti media diversi e si serve di immagini in movimento, installazioni, performance, fotografie, tessuti, stampe, sculture, testi sonori e ceramiche. Recentemente ha partecipato ai seguenti progetti espositivi: Brent Biennial, In the house of my love (Londra, Regno Unito, 2022); Frieze live (Londra, Regno Unito, 2021); Aggregates, Ausstellungsraum Klingental (Basilea, Svizzera, 2021); Coalition of Care, PUBLICs (Helsinki, Finlandia, 2019); La Manutention, Palais de Tokyo (Parigi, Francia, 2019; in
collaborazione con Rowdy SS).

Bhajan Hunjan si è trasferita nel Regno Unito per studiare pittura e arti grafiche. Dopo la laurea all’università di Reading e alla Slade School of Art, si è associata alla politica e al lavoro figurativo del movimento emergente della Black British Art. Da allora ha sviluppato un linguaggio visivo molto personale fatto di linee che fluttuano, colori e forme dal carattere simbolico, ripetizioni e motivi calligrafici che attingono sia alla cultura Sikh, dalla quale proviene, che alla tradizione artistica dell’astrazione per incoraggiare gli spettatori a riflettere
su determinati contesti sociali, spirituali ed emotivi.
Hunjan lavora ampiamente a commissioni d’arte pubblica spesso realizzate in cemento, metallo e pietra. Tali opere, se site-specific, vengono sempre concepite consultando le comunità del luogo, e spesso sono prodotte in collaborazione con altri artisti e gruppi femminili locali. Tra i suoi progetti più significativi nello spazio pubblico si annoverano St Paul’s Way (Tower Hamlets, Londra, Regno Unito, 2012); Town Square (Slough, Regno Unito, 2008); Peepul Centre Floorscape (Leicester, Regno Unito, 2005). Fra le sue opere più recenti vi è l’installazione all’interno dell’Exbury Egg (2021), realizzata durante il soggiorno a Thamesmead, quando faceva parte della comunità di artisti di Bow Arts nel medesimo quartiere. Hunjan si dedica con passione anche all’attività di educatrice artistica, lavorando con giovani e famiglie per creare installazioni site-specific sia temporanee che permanenti.
Attualmente Bhajan è artist-in-residence presso il Maria Lucia Cattani Project e il Runnymede Explore/Stories Project con il National Trust.

Onyeka Igwe è un’artista e ricercatrice che lavora tra cinema e installazione; è nata a Londra, Regno Unito, dove vive attualmente. Il lavoro di Igwe è animato dalla domanda “come viviamo insieme?”, dimostrando un interesse particolare per le modalità con cui forme di conoscenza sensoriali, spaziali e non canoniche possono fornire risposte a questo interrogativo. Si serve di strategie di personificazione, di archivi, narrazioni e testi per creare
strutture “a forma di otto”, uno schema che introduce e rivela molteplici narrazioni.
Igwe ha esposto il suo lavoro nel Regno Unito e all’estero nel contesto di festival cinematografici e in gallerie. Tra le sue mostre personali si annoverano: The Miracle on George Green, The High Line (New York, USA, 2022); a so-called archive, LUX (Londra, Regno Unito, 2021); THE REAL STORY IS WHAT’S IN THAT ROOM, Mercer Union (Toronto, Canada, 2021); There Were Two Brothers, Jerwood Arts (Londra, Regno Unito, 2019) e Corrections, con Aliya Pabani, Trinity Square Video (Toronto, Canada, 2018). Recentemente ha partecipato alle seguenti mostre collettive: Echoes, Haus der Kunst (Monaco, Germania, 2022); Reconfigured, Timothy Taylor (New York, USA, 2021); Archives of Resistance, Neue Galerie (Innsbruck, Austria, 2021); New Labor Movements, McEvoy Foundation for the Arts (San Francisco, USA, 2021) e Production Series, KW Institute for
Contemporary Art (Berlino, Germania, 2020).
Attualmente l’artista sta lavorando a future commissioni per The Common Guild e FLAMIN Productions, e sta collaborando con Huw Lemmey per la sua mostra presso Studio Voltaire, Londra. Ha ricevuto il New Cinema Award al Berwick Film and Media Arts Festival nel 2019 (Regno Unito), il 2020 Arts Foundation Fellowship Award for Experimental Film (Regno Unito), il 2021 Foundwork Artist Prize (USA) ed è una delle finaliste del 2022 Jarman Award (Regno Unito).

Il lavoro di Zinzi Minott si concentra sulla relazione tra danza, corpo e politica. Minott esplora il modo in cui la danza è percepita attraverso i prismi della razza, della cultura queer, del genere e della classe sociale. Nello specifico, il suo interesse è rivolto al posto che il corpo femminile nero occupa nel vocabolario formale.
Come ballerina e filmmaker, cerca di complicare i confini della danza; considera le proprie performance dal vivo, le esplorazioni filmiche, le stampe e gli oggetti come diverse ma connesse manifestazioni della danza, nonché espressioni e modalità di ricerca basate sul corpo.
Minott è interessata a narrazioni spezzate e discendenze non lineari, e a come l’uso dell’anomalia possa aiutarci a valutare certe nozioni di carattere razzista con cui una persona di colore è costretta a relazionarsi nel corso della propria esistenza. È interessata soprattutto raccontare storie relative alla cultura caraibica, mettendo in luce le vicende di coloro che vennero ridotti in schiavitù durante la tratta atlantica dei neri e la storia del conseguente esodo della Windrush Generation.
È un’ex alunna del conservatorio Laban, la prima ballerina a diventare artist-in-residence sia alla Serpentine Gallery (Londra, Regno Unito, 2018) che alla Tate (Londra, Regno Unito, 2017). Ha ottenuto la Continuous Commission 2020-2022 (Regno Unito), il Jerwood Live Work Award nel 2020 (Regno Unito) e l’Adrian Howells Award 2019-2020 (Regno Unito). È stata recentemente nominata per il Live Art Award – Shortlist LIVE 2022 (Finlandia).

Dominique White intreccia le teorie della soggettività nera, dell’afro-pessimismo e dell’idrarchia con le mitologie nautiche della Black Diaspora attraverso il termine di “Shipwreck(ed)” [naufragrar(si)], verbo riflessivo e condizione esistenziale. Le sculture o segnali luminosi di White profetizzano l’emergere del Senza-stato: “un futuro [per la comunità nera] che non si è ancora verificato, ma che deve accadere” (Campt 2017 in Yussof 2018).
White vive tra Marsiglia e l’Essex, e spesso lavora senza disporre di una sede fissa. Tra le sue mostre e progetti personali recenti si annoverano: Statements, ArtBasel (Basilea, Svizzera, 2022); The Cinders of the Wreck, Triangle (Astérides, Marsiglia, Francia, 2022); Hydra Decapita, VEDA (Firenze, Italia, 2021-2022); e Blackness in Democracy’s Graveyard, UKS (Oslo, Norvegia, 2021). Recentemente ha partecipato alle seguenti mostre collettive: Afterimage, MAXXI L’Aquila (Italia, L’Aquila, 2022-2023); Love, Bold Tendencies (Londra,
Regno Unito, 2022); Techno Worlds, Art Quarter Budapest, commissionato dal Goethe-Institut (progetto itinerante, 2021-2025).
White ha ricevuto il Roger Pailhas Prize (Art-O-Rama, Francia) nel 2019 durante la sua personale da VEDA e nel 2020 ha ottenuto premi da Artangel (Regno Unito) e dalla Henry Moore Foundation (Regno Unito). White ha partecipato a residenze presso Sagrada Mercancía (Cile), Triangle France – Astérides (Francia) e La Becque (Svizzera) nel 2020 e 2021.

IL PREMIO

Il Max Mara Art Prize for Women, in collaborazione con Whitechapel Gallery, è un premio biennale istituito nel 2005. È l’unico premio per le arti visive dedicato ad artiste che si identificano come donne, del Regno Unito che ha come finalità la loro promozione e valorizzazione, e consente loro di sviluppare le proprie potenzialità usufruendo di tempo e spazio per i propri progetti. Il premio è aperto ad artiste che si identificano come donne e che vivono e lavorano nel Regno Unito e che non hanno ancora esposto le proprie opere in una mostra antologica personale. Partner del premio sono Max Mara, Whitechapel Gallery e Collezione Maramotti, che collaborano in ogni fase del progetto. Per ogni edizione, una giuria presieduta dalla direttrice della Whitechapel Gallery e comprendente una gallerista, una critica d’arte, un’artista e una collezionista, seleziona una rosa di finaliste prima di assegnare il premio sulla base delle proposte ricevute. Alla vincitrice è offerto un periodo di residenza in Italia della durata di sei mesi, organizzato su misura in base all’artista stessa e alla proposta
presentata per il Premio. Durante la residenza, organizzata dalla Collezione Maramotti, l’artista ha l’opportunità di realizzare un nuovo e ambizioso progetto che viene successivamente esposto nell’ambito di due importanti mostre personali alla Whitechapel Gallery di Londra e alla Collezione Maramotti di Reggio Emilia, che in ultima istanza acquisisce l’opera. Il Max Mara Art Prize for Women ha ricevuto il riconoscimento del British Council Arts & Business International Award nel 2007 e ha permesso alle artiste premiate di
compiere importanti progressi nella loro carriera.

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