Francesca Genovese Potrait1.G.Prencipe

Intervista: FRANCESCA GENOVESE: Il corpo è un luogo dove la delicatezza si fonde con la forza

Ci sono incontri che non si dimenticano. Interviste che, mentre accadono, smettono di essere un semplice dialogo e diventano qualcosa di più: un varco, un momento di verità, un piccolo scarto che ti cambia.

Con Francesca Genovese mi è successo questo — e non capita spesso. Ho avuto la sensazione, ascoltandola, che le sue parole mi attraversassero con la stessa grazia con cui la luce attraversa i corpi dei suoi dipinti e delle sue opere: silenziosa, delicata, ma capace di lasciare un segno profondo.

C’è una qualità rara nel modo in cui Francesca parla di sé, della sua arte, del suo mondo interiore. È come se ogni pensiero arrivasse da un luogo di quiete profonda, dove la pittura non è un mestiere ma una necessità, una forma di conoscenza, una preghiera laica. Le sue figure — sospese, velate, intime — non rappresentano persone ma stati dell’anima, tracce di una presenza che resiste nell’assenza. Davanti alle sue opere, come nelle sue parole, ci si sente invitati a rallentare, a respirare, a guardarsi dentro.

Durante la nostra conversazione ho avuto la sensazione di essere “accolto” — non solo come interlocutore, ma come un amico. Francesca, con la sua sensibilità, è riuscita ad accarezzare l’anima e a riportarmi in una dimensione di ascolto autentico, quella in cui il silenzio non spaventa e la bellezza non ferisce, ma cura. Mi ha ricordato che l’arte può essere un luogo di resistenza e insieme di resa, un modo per stare nel mondo con più consapevolezza, con più verità.

Le sue risposte, così come le sue opere, non vanno lette di corsa. Vanno vissute, percepite, ragionate, lasciate sedimentare. Sono un tempo buono — quello raro, prezioso — in cui ci si può concedere di tornare a vedere e in questo caso anche a sentire.
Ecco il resoconto del nostro appuntamento, della bellezza e dell’attesa!

Nichts Dazwischen , ( Diptych) 2023, 40×30 cm – 40×30 cm, Oil on canvas

L’INTERVISTA

Le tue opere raffigurano figure immerse in momenti meditativi, apparentemente turbate, ma capaci di accogliere lo spettatore. Chi sono i personaggi dei tuoi dipinti?

In realtà non ci sono personaggi nei miei dipinti. Ci sono delle figure che incarnano atmosfere interiori e intime.
La carne che si fa veicolo, diventa anche soggetto. La pelle, che come una pellicola fotografica viene esposta alla luce, appare nello spazio buio. Si potrebbe parlare, piuttosto, di soggetti, che abitano la scena del quadro. E possono essere anche solo parti del corpo. Frammenti. Dove poter cercare l’essenza (l’assenza?) delle cose.
Che, come sappiamo, è invisibile agli occhi. E qui il paradosso dell’arte.

L’intimità, da te è intesa come forza resiliente e non come fragilità, sembra evocare un’idea quasi fenomenologica del corpo. Si riconosce in un approccio che considera la carne non solo materia, ma luogo di apparizione del senso?

Si, esattamente. Il corpo è un luogo. È dove si manifesta una nevrosi. Dove la delicatezza può fondersi con la forza. Dove l’energia vitale si manifesta insieme all’esperienza, al senso e al significato.
La materia asserve alla fenomenologia.
Però non parliamo di resilienza relativamente alle persone. È una prerogativa dei metalli…e di mia madre. Lei ha il gene dei temprati. Ma ha un cuore di panna.
L’uomo non torna mai come prima, é soggetto al cambiamento.

La dimensione del silenzio e della quiete è centrale nella sua opera. Che ruolo rappresenta nel tuo processo creativo?

Direi centralissimo. Non ascolto musica quando dipingo. Se ci sta una mosca mi innervosisco.
Altri rumori sono concessi. Ma è fondamentale che io sia concentrata, in stato di quiete e che ci sia silenzio. Solo così posso seguire il flusso e manomettere il caos interiore. La musica mi contaminerebbe.
Non mi soffermo sul fatto che da 5 anni ho i muratori sopra la testa nella mia casa/studio a Berlino. Costruiscono un piano superiore. Casa mia trema dalle 7 del mattino.
Nell’intuizione, quando raffiguro mentalmente l’opera, silenzio e quiete sono ininfluenti. In quella fase del processo, forse la più importante, posso anche essere in un bar con la musica a palla. Il caos regna.

La tua pittura evoca atmosfere che ricordano la classicità e la storia dell’arte, ma sempre filtrate da un sentire contemporaneo. Qual è il rapporto con la tradizione e con l’antico?

Il mio rapporto con la tradizione e con l’antico lo posso tradurre in un Meme, forse risulta poco professionale.
Ma é ermeticamente esaustivo: Immagina la scena con Johnny Deep e il bambino sulla panchina.
Lui che fa al piccolo la tua domanda. E lui (io) che risponde piangendo: ‘sono di Matera’. Penso di aver detto tutto.
Ma forse molti non capiranno. E soprattutto molti non rideranno.
É tutto nelle mie radici. Quella città mi ha dato tutto e mi ha tolto tutto! Con tutte le sue contraddizioni.
È una delle città più antiche del mondo, con le sue tradizioni ancestrali e i suoi affreschi, le chiese rupestri, con la sua Storia. Le sue pietre! Tutto accompagna, ancora oggi, la mia ricerca pittorica e personale. Le mie radici sono in quella parte del mondo dove manco Cristo è arrivato (Cit.).

Nei tuoi dipinti il corpo è spesso velato, in tensione tra rivelazione e sottrazione. È un dispositivo estetico o un gesto etico, che intende salvaguardare la dignità dell’essere dall’eccesso di visibilità contemporanea?

Posso dire che sicuramente il gesto non è etico, ma che é intrinseco, piuttosto come un’esigenza. Una difesa che, unita al gesto estetico, si rafforza con esso. Si alimentano a vicenda. Il velo rappresenta da tempo il mio Leitmotiv.
Un invito figurato a chi osserva a togliere il velo di Maya dai propri occhi.
Così come viene istintivo toglierlo di dosso a un corpo nudo (qui l’urgenza).
L’ostentazione la lasciamo a chi ci prova gusto. A me non interessa.
Instagram è, per esempio, lo specchio di tutto ciò che aborro e mi inorridisce.
È indecente. Non mi lascio violentare dall’immagine che si impone con prepotenza.
Ma ci sta sempre il buono anche lì. E intanto io capisco sempre più dove non voglio stare.
Per quello che mi riguarda, quella dignità, nel mio lavoro viene raffigurata dal corpo velato anche nel suo erotismo, (una parola di cui oggi pochi ne ricordano il vero significato), nella sua condizione umana che segue anche le leggi del ‘vediamo cosa c’è dietro, sono curioso’.
Quella tensione è sempre un invito alla condivisione. MAI una provocazione.

Quale è il ruolo del nudo nella tua pittura: esprime libertà, intimità e poesia. Cosa cerchi di trasmettere attraverso i corpi nudi?

Il corpo nudo è un mezzo di cui mi servo per dire tutto. Cosa più del corpo è così perfetto e funzionante, erotico, forte e delicato allo stesso tempo?
Racchiude tutte le contraddizioni della materia e della trascendenza. Me ne servo come un contenitore di atmosfere interiori. Penso molto a quanto mi ispira l’iconografia cristiana con tutti quei corpi nudi! Quanta forza erotica nella Pietà di Michelangelo!
Una mia amica mi ha detto che ha pianto quando ha visto per la prima volta i bronzi di Riace. Io vorrei utilizzare il corpo per arrivare a toccare quelle corde, ma rimandando anche ad altro dal corpo.
E qui Simon Weil é magistrale nel dire: ‘La bellezza seduce la carne per ottenere il permesso di passare fino all’anima’ e ancora ‘Il Bello è un richiamo carnale…’ Difficile ambire a metterci anche solo l’1% del demone erotico michelangiolesco. Mi basta provarci. Dovrò pure avere delle ambizioni!
Siamo o no fatti della stessa sostanza delle stelle?

Psychedelic Quietness, 2025, 24×30 cm, Oil on canvas

Il filosofo Hume sosteneva che la bellezza non è una qualità intrinseca alle cose, ma esiste solo nella mente di chi le contempla. Pensi che anche l’arte sia una percezione soggettiva?

Provo a rendere chiaro quello che può sembrare un pensiero complesso. Quello che sostiene Hume è esattamente quello che l’Arte è chiamata a fare. Rendere visivamente la bellezza non visibile, non banale. Lascia accedere al bello dalla porta sul retro o dal portone principale. Ma a quella bellezza ti ci conduce l’artista – chi guarda percepisce oppure no. Chi osserva ha carta bianca. Contempla e viene trafitto, citando Thomas Mann e anche Simone Weil. Da qui due mie opere: “Durchquert” (un verbo tedesco, participio passato-‘attraversato’ – da qui l’immagine, dove un San Sebastiano può assurgere alla personificazione della bellezza come qualcosa che trafigge..e quindi essere ‘attraversati’) e Omnia Munda Mundis, che si spiega da sola.
Non volevo farla complicata, credimi.
L’arte si basa sulla soggettività, ma si serve o attinge anche all’universalità.
Lo posso riassumere in un sillogismo: Tutto ciò che dipende dalla percezione è soggettivo. L’arte (e quindi la bellezza) dipende dalla percezione.
L’arte è quindi, si, soggettiva…ma non posso non inserire anche la Qualità.
Così però ci si scontra con l’oggettivismo.
Penso quindi che una ‘pancia’ allenata a percepire, non può non accogliere anche la Qualità intrinseca dell’arte.

Cosa è per te l’estetica?

È ciò che mi ha permesso di capire chiaramente perché volevo diventare una pittrice. Un’artista.
Studiarla mi ha dato accesso all’esperienza del sensibile, una cosa alla quale dovremmo essere educati sin da piccoli.
Sorvolo su quello che diventa poi il bivio tra etica ed estetica. Non ce ne si esce vivi. Ma ci tengo a dire che per me l’arte non ha morale.

Un artista deve prendere posizione ed esprimere le proprie idee attraverso il suo lavoro?

Considero gli artisti delle entità Super partes, non credo infatti che sia facile identificare in un’opera l’ideologia di una persona. La poetica si. A meno che non si tratti di illustrazione, vedo l’arte LIBERA da questi collegamenti.
L’artista esprime se stesso, certo! Offre il suo modo di vedere, che sarà unico e condivisibile. Ma prendere una posizione, che sia politica, sociale, etica, non credo sia qualcosa che si possa includere nel ruolo di un artista. E tantomeno non é un dovere! L’arte non credo serva a questo.
Ma ci si può servire del proprio lavoro anche per esprimere idee in senso più ampio. Intendo semplicemente che l’Arte e il lavoro di un artista sono due cose distinte e separate.
Anche perché è difficile a oggi definire un Artista.
A conti fatti, a oggi, se ne contano pochi. Di artisti invece, quanti ne vuoi. Io forse, in tutta umiltà, mi trovo nel mezzo. Mi concedo tempo per capirci di più.
Mi piace pensare che quello che esprimo nel mio lavoro, lo esprimo sottomettendomi completamente alle leggi della Libertà di espressione e della bellezza. L’Arte è l’unico spazio libero che abbiamo.
Vorrei che nessuno lo contaminasse con prese di posizione. Per quello ci sono i comizi.

Se dovessi scegliere tre parole chiave per definire la tua arte, quali sarebbero?

Assenza-Tensione-Sospensione.

Se le tue opere avessero una colonna sonora, quale canzone sceglieresti?

Pensando al mio tempo di messa in opera dei dipinti dovrei citare almeno tre pezzi.
She was waiting for her mother at the station in Torino and you know I love you Baby but it’s getting too heavy to laugh di SHAWN PHILIPS. Il titolo più lungo del mondo. Racchiude in musica e parole tutto quello che credo mi rappresenti. Il crescendo dalla quiete all’impeto. L’effetto del sottovuoto, soprattutto nel finale. La donna che include in sé l’uomo.
L’universalità.
Il soundtrack di Ghost in the shall, del compositore KENJI KAWAY. Anche qui il crescendo della tensione.
Il silenzio che si tramuta in forza che dirompe. Solenne. Un capolavoro.
A new error dei MODERAT. È come sentire l’impulso tradotto in musica.

Hai avuto dei mentori? Quali sono i tuoi riferimenti artistici?

Guai a non averne! Entrambi intendo.
Come primo mentore in assoluto ci sta mio padre, a lui devo tutto quello che sento. Mi ha instillato la curiosità (anche la mania dell’accumulo!), mi ha insegnato a guardare, a vedere e osservare. La mia sensibilità artistica e la dialettica del pensiero le devo a lui. L’amore per la conoscenza. Mi ha fatto capire come andare in fondo alle cose, come prendere distanza. Ancora oggi abbiamo una forte empatia pur essendo lontani chilometri. Ma dietro un grande uomo ci sta sempre una grande donna, quindi ci sta anche mia madre, a pari merito. A lei devo la corazza del granchio. Dai suoi silenzi ho imparato tutto.
Ma credo che sia stata lei a far scattare la scintilla.
È stata lei la persona che ho visto per la prima volta disegnare, per me. Credo di aver capito cosa fosse la meraviglia e l’ammirazione in quel momento. Ero
davvero molto piccola. Non so perché, ma non gliel’ho mai detto. (In realtà lo so benissimo!).
Poi ci sono tutti i miei amici/colleghi, come Dario Puggioni, Enrico Basta, Cristiano Tassinari, Daniele Sigalot, Alessandro Lupi. Friedrich Andreoni. É una lunga lista. Li stimo molto.
Mi hanno mostrato la strada. Mi hanno insegnato a credere in me stessa. A non cedere. A non mollare. Senza scorciatoie. Ad avere sempre un piano B. Ma loro non lo sanno mica! Sono io che li osservo da 10 anni!
Ne approfitto per esprimere la mia gratitudine ai miei compagni di viaggio.
I riferimenti artistici sono tanti, vari artisti di tutte le epoche storiche; tutti quelli che mi capitano al momento giusto, mentre cerco, mentre studio.
Luca Giordano, Guido Reni, Bouguereau, Caravaggio…
Ma pensando al principio, il mio riferimento è stato Egon Schiele, per poi finire a Samorí e Berlinde De Bruyckere. Guardo molto al loro approccio all’arte, piú che al lavoro di per sé. Anche se con Samorì ogni volta mi ritrovo a fare le autopsie al suo lavoro, vivisezionando i suoi gesti pittorici e non.
Non si finisce mai di imparare da lui. È sorprendente. Gente seria! (direbbe Galimberti).

C’è un desiderio artistico che non hai ancora realizzato?

Vorrei imparare a scolpire e ritornare a modellare. Ho sempre sentito che in me abitano diverse identità artistiche..mi succede di capirlo con il disegno. Credo la scultura mi appartenga.
Mi manca lo spazio.
Ma tempo al tempo.
Ma più di tutto, poter fare una mostra a Matera, la mia città d’origine, per permettere alla mia famiglia e agli amici che mi hanno visto crescere di vedere una mia mostra dal vivo. Succederà.
È sarà una festa. Sarà commovente.
…E imparare a suonare la batteria.
Penso la mia pittura ne gioverebbe.

Se venissi nel tuo studio, cosa troverei? Quadri, libri, piante, tecnologia, dischi…?

Premetto che ho una casa/studio, ho dovuto sconfiggere letteralmente il mio lato accumulatore compulsivo. Era bello avere tutto il necessario al bisogno, ma creava un caos che nella pittura mi condizionava. Ho avuto necessità di spazio e aria e sono diventata minimale. Mi concentro di più.
Il materiale da lavoro fa da padrone.
Ho delle piante grasse e fiori secchi, perché ho il pollice nero, ma amo le piante. Giuro!
Troveresti uno scheletrino in plastica appeso allo scaffale dei colori, il mio Memento Mori.
Un divano rosso.
Un crocifisso di ferro senza un braccio appeso alla parete. (Trovato in una chiesa dismessa in Francia, credo sia del 1600).
Le foto dei miei 4 nipoti attaccate ad uno specchio. Tanti libri.
Un dipinto di Enrico Basta, un mio caro amico, acquistato anni fa con i soldi di mio fratello. (Devo ad Enrico il fatto di trovarmi a Berlino. Forse dovrei odiarlo. Scherzo…).
Tantissimi Post-it. Una Polaroid vintage.
Il mio sogno da bimba.

Ti senti più attratta dalla razionalità o dalle emozioni?

Decisamente dalle emozioni, loro mi guidano in tutto. Ma ho imparato a non lasciarmi sopraffare.
La razionalità la considero comunque un alleato, dandole il giusto spazio. La logica ha il suo fascino ‘erotico’ e offre mille mondi agli ossessivi come me.

Quando è stata l’ultima volta che hai fatto qualcosa per la prima volta? E, soprattutto, cosa hai fatto?

È stato a fine settembre, sono andata a caccia di consolazione. Non ho potuto saziarmi.
Non posso aggiungere altro.
Breve storia triste. Rido…piango.Vedi anche

Cosa ti fa battere il cuore?

Gli appuntamenti. L’attesa.
Intesa secondo il pensiero di Antoine de Saint Exupery. Quel momento in cui si ‘scopre il prezzo della felicità’, citando testualmente.
Mi succede sempre e ancora con vecchi amici e con la mia famiglia, che vedo troppo poco vivendo in Germania da 17 anni.
E poi la bellezza…quella che disarma, che ammutolisce, che fa male.
Che trovi anche in un soffione… (il Taràssaco, che è così delicato!).
Quella anche mi fa battere forte il cuore.
Fine

Qui ci sta un estratto del pensiero della Simone Weil che non posso non condividere con te, da cui ho tratto la citazione.

“Il bello è un richiamo carnale che tiene a distanza ed implica una rinuncia. Compresa la rinuncia più intima, quella della immaginazione. Si vuol mangiare tutti gli altri oggetti di desiderio. Il bello è ciò che si desidera senza volerlo mangiare. Desideriamo che sia.
Restare immobile e unirsi a quel che si desidera senza avvicinarsi.
Ci si unisce a Dio così: non potendosene avvicinare.
La distanza è l’anima del bello.
Lo sguardo e l’attesa sono l’attitudine che corrisponde al bello. Fin quando si può concepire, volere, desiderare, il bello non appare. Questa è la ragione per cui, in ogni bellezza, c’è contraddizione, amarezza, assenza irriducibili”.
S.WEIL

LA GALLERY 

ABOUT FRANCESCA GENOVESE

Francesca Genovese Potrait .J.Brabec

Nata a Matera nel 1984, diplomata al Liceo Artistico. Laureata in pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Lecce e dal 2008 vive e lavora a Berlino.

Francesca Genovese osserva l’intimo “spazio” in cui l’uomo si interroga.

L’intimità è posta come un’urgenza: un richiamo ad abbracciare la parte incontaminata dell’essere e a scoprire le fragilità più profonde dell’individuo, che lotta per rivelarsi e identificarsi in una società che guarda con prepotenza alle apparenze.

Solitarie ed elusive, le figure galleggiano sospese in pose statiche, abitando una dimensione atemporale, ancorate in un’azione che non si svolge, ma che si dilata. Entità inconsapevoli, esposte agli sguardi dello spettatore, ma incapaci di ricambiare lo sguardo a loro volta.

Da un punto di vista intimo e personale, Genovese affronta la sensualità e la fisicità ispirandosi alla iconografia della pittura cristiana, per sottolineare quella dicotomia percepita tra corpo e spazio, tra se stesso e l’altro, tra giudizio e colpevolezza.

WEB & SOCIAL

https://www.instagram.com/francesca.genovese_/

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