Cinque elementi: fuoco, terra, acqua, aria e vuoto. Attorno a questa architettura simbolica prende forma il GODAI FEST, esperienza immersiva e multidisciplinare che approda a Milano con l’intento di superare i confini tradizionali tra i linguaggi dell’arte.

Nato dall’incontro di tre visioni – quella del musicista e curatore Rodrigo D’Erasmo, del produttore Daniele Tortora e dell’artista visivo Cristiano Carotti – il festival si propone come un laboratorio aperto, un luogo di attraversamento e di collisione creativa, in cui musica, arti visive, performance e pensiero critico smettono di appartenere a categorie separate per farsi flusso continuo, materia viva e condivisa.
GODAI FEST trova casa negli spazi del Paolo Pini, nella periferia urbana, e si inserisce nel programma “Milano è viva”: non un semplice cartellone di eventi, ma un vero processo culturale che investe la città e la sua geografia sociale. Qui, l’arte non è ornamento ma gesto politico, strumento per interrogare temi urgenti – la sostenibilità, il rapporto con la natura, il superamento dell’antropocentrismo – e per generare comunità attraverso l’incontro.
Abbiamo conversato con Rodrigo D’Erasmo, che di questo progetto è anima e voce, per esplorare il senso più profondo del GODAI FEST: non solo un festival, ma un atto di fiducia nella forza trasformativa della creatività.
L’INTERVISTA
Rodrigo, il GODAI FEST nasce da un’idea visionaria. Mi interessa guardarlo soprattutto dal punto di vista dell’arte: oggi i confini fra musica, arti visive, cinema e letteratura sembrano dissolversi. È così che lo avete pensato?
Sì, direi che è proprio così. Quando abbiamo immaginato il GODAI, ormai tredici anni fa, volevamo sperimentare un’idea che allora sembrava piuttosto radicale: mettere insieme linguaggi che solitamente venivano tenuti separati.
La prima edizione fu al centro sociale Angelo Mai di Roma, un luogo a me molto caro e che considero una sorta di casa, ed era chiaramente un esperimento. All’epoca i recinti fra le discipline erano molto più marcati di oggi: la danza stava da una parte, la musica da un’altra, il teatro aveva i suoi spazi e le arti visive restavano confinate in gallerie o musei.
Con il tempo la percezione è cambiata.
Quello che allora era una provocazione culturale oggi è diventato un’abitudine diffusa. È sempre più frequente vedere spettacoli di danza che sono concerti, o musicisti che collaborano con artisti visivi in progetti installativi o performativi.
Questo mi affascina da sempre: l’idea che le forme espressive possano fluire l’una nell’altra senza confini netti.GODAI nasce proprio per celebrare questa commistione e per creare uno spazio in cui la creatività possa esprimersi senza etichette né compartimenti stagni.
Un approccio che sembra naturale dal punto di vista artistico, ma che incontra difficoltà quando si parla di sostegno economico.
È la contraddizione più grande. GODAI non nasce per inseguire il mainstream, ma per proporre un’esperienza culturale diversa, rischiosa, a volte persino “scomoda”. Questo inevitabilmente ci espone a una fragilità economica.
Oggi il festival si regge soprattutto sul sostegno del Comune di Milano, che ci ha premiati attraverso il bando “Milano è viva”.
Essere riconosciuti come uno degli otto festival che operano nelle periferie urbane per noi è un onore enorme, ed è anche un segnale importante che la città voglia investire in nuove visioni culturali.
Abbiamo provato a coinvolgere sponsor privati: tutti ci hanno fatto grandi complimenti, riconoscendo la qualità e la bellezza del progetto, ma nessuno ha deciso di sostenerlo perché “non in target” o “troppo piccolo nei numeri”.È il paradosso di cui parlavo: spesso la qualità non coincide con la logica del mercato. Noi però ci crediamo, e per questo ci stiamo investendo in prima persona. Questa edizione sarà il nostro “numero zero”: non mi aspetto folle oceaniche, ma una prima tappa fondamentale per avviare un percorso che sogniamo triennale a Milano. È un rischio, certo, ma è parte del nostro ruolo come artisti e curatori: assumersi la responsabilità di portare avanti esperienze che non hanno un ritorno immediato ma che possono avere un valore enorme sul piano culturale.
L’arte contemporanea, però, ha ancora resistenze a contaminarsi con altre forme espressive.
È vero. L’arte spesso tende a preservare una sua aura esclusiva, quasi sacrale, che però finisce per diventare un recinto. Penso alle grandi manifestazioni come le Biennali o le Triennali: eventi importantissimi, certo, ma che spesso mantengono un approccio verticale e poco aperto alla contaminazione. Con GODAI cerchiamo di ribaltare questa prospettiva, creando un contesto in cui le arti non solo convivono ma si generano a vicenda.
Ricordo un episodio emblematico avvenuto nella seconda edizione del festival ad Ancona. Uno dei curatori era Gemitaiz, che all’epoca avevo appena conosciuto. Oltre a esibirsi, decise di coinvolgere alcuni artisti visivi del suo collettivo romano. Uno di loro, ad esempio, portò un vaso che dipinse dal vivo con i pennarelli per un intero pomeriggio. Quest’opera, semplice e straordinaria, rimase poi donata alla Mole Vanvitelliana, sede del festival. Ma la cosa più potente fu vedere decine di ragazzi, fan di Gemitaiz, che entrarono in quel museo d’arte contemporanea per la prima volta. Gente giovanissima, che non avrebbe mai pensato di visitare una mostra, si è ritrovata a passeggiare tra installazioni, sculture e quadri, e al tempo stesso ad ascoltare concerti e performance.
Quel cortocircuito, quell’incontro inaspettato tra mondi, è esattamente ciò che vogliamo provocare con GODAI.
Quindi GODAI diventa anche uno strumento di educazione alla curiosità.
Assolutamente sì. Il nostro obiettivo non è intercettare una fascia anagrafica precisa, ma stimolare un atteggiamento. La curiosità è una forma di apertura mentale che purtroppo spesso si perde: non solo nei giovanissimi, che pure hanno bisogno di stimoli nuovi, ma anche negli adulti, nei quarantenni come me, che spesso hanno smesso di sorprendersi.
GODAI vuole essere un invito a lasciarsi sorprendere. Chi entra in questo festival dovrebbe farlo con la mente sgombra, senza aspettative rigide, pronto a incontrare cose che non conosce. È la condizione migliore per vivere un’esperienza artistica autentica: entrare in un luogo e accettare di essere spiazzati, meravigliati, persino messi in crisi. Perché è da lì che nasce davvero il dialogo fra arti e pubblici diversi. È questa la sfida che ci interessa portare avanti.
IL FESTIVAL
L’arte, in tutte le sue declinazioni, sarà la protagonista del GODAI FEST in un viaggio attraverso i 4 elementi della cultura umana (FUOCO, TERRA, ACQUA, ARIA) ai quali si aggiunge, secondo la filosofia orientale, il principio del VUOTO. Ad ogni elemento corrisponde un curatore a cui è stato affidato il compito di comporre il suo spazio artistico chiamando a raccolta gli artisti e i performer che più rispondevano al progetto GODAI.
Per le arti performative la curatela dell’elemento ACQUA è stata affidata al cantautore GIOVANNI TRUPPI mentre per la TERRA il curatore sarà il rapper e cantautore RANCORE, il FUOCO è stato affidato all’attrice e regista ISABELLA RAGONESE e l’ARIA alla musicista elettronica e produttrice DANIELA PES.
La curatela dell’ultimo elemento, il VUOTO è stata affidata allo straordinario, autore, regista e performer FILIPPO TIMI.
Per le arti visive invece appare chiara l’impronta fortemente transgenerazionale e multidisciplinare del GODAI FEST, nato con l’obiettivo di scatenare un nuovo ed imprevedibile viaggio tra le visioni elementali dei singoli protagonisti e dei cast artistici che ognuno propone.
Gli elementi tornano anche nella scelta dei protagonisti delle arti visive. Per la TERRA Christopher Domiziani realizzerà e porterà sul palco del Tornio la sua performance Dove è forte la luce l’ombra è più nera. Domiziani vuole regalare al pubblico del Godai l’esperienza intima della tornitura, lasciando le sue terre all’azione di tutti gli elementi. Lo farà portando sul palco il proprio tornio, realizzando un vero e proprio set, che si apre alla collaborazione con gli artisti musicali e performativi del suo stesso elemento come Rancore, Logos, ORCRD.
Per l’ACQUA Jonathan Vivacqua porterà al GODAI Fest la sua opera Ocean, lavoro si incentra sulla rappresentazione di uno spazio delineato da traiettorie di pellicole che si intersecano trasversalmente tra i viali alberati del parco Ex Paolo Pini, creando l’illusione di una copiosa porzione di scura massa vibrante. Il volume che si oppone agli occhi del visitatore suggerisce il movimento e il riverbero dei fluidi colpiti dalla luce ed ondeggianti per effetto della marea.
Protagonista del FUOCO sarà invece Francesca Cornacchini con La casa della Luce, installazione e performance che consiste nell’attivazione di un’architettura in ferro tra- mite l’accensione in sequenza di decine di torce e fumogeni rossi. L’opera è un monumento rituale all’adrenalina del fuoco, alla sua vita fugace ma intensa, la sua forza e la sua giustizia malinconica quando si è al cospetto dei suoi resti.
Lulù Nuti sarà al centro dell’elemento ARIA con Palco di pane, un piccolo palcoscenico composto di pane e materiale organico, concepito come un vero e proprio stage scultoreo pronto ad ospitare una delle performance live più attese di questa edizione del festival: BENTU di Francesca Corrias con Mauro Laconi.
Il VUOTO sarà rappresentato da Fabrizio Cicero e la sua La notte si avvicina. Nella sua ricerca, Cicero indaga la realtà circostante nel suo continuo dialogo tra luce e spazio, affrontando temi esistenziali e rapporti contrastanti, come quelli tra uomo-natura e uomo-società, per proporne un’esperienza fatta di giochi visivi e meccanici. In quella che sembra una balera post apocalittica il pubblico potrà assistere alle esibizioni dell’Orchestrina di Molto Agevole.
A fare da traghettatore tra i numerosi stage del Godai Fest un protagonista d’eccezione a cui è stato riservato un elemento ad hoc, l’OLTRE. Jacopo Natoli a bordo un carro funebre guidato da Enrico Fratini. L’opera che si intitola Morto che parla si articola in articola in cinque improvvisazioni vocali e di senso che intersecano e trascinano i vivi tra un elemento e l’altro del Godai Festival.
Il GODAI FEST avrà una prosecuzione anche oltre il tempo del festival. All’interno dell’Ostello del Parco, in tutte le aree dell’edificio, pubbliche e private, sarà possibile visitare fino al 30 ottobre la mostra di pittura e non solo a cura di Luca Grimaldi e Pietro Moretti che raccoglie opere di Adelisa Selimbasic, Jacopo Natoli, Genuardi Ruta, José Angelino, Lucas Recchione, Kimball Gunnar Holth, Ludovico Andrea D’auria, Flavio Orlando, Yann Leto, Valeria Carrieri, Pamela Pintus, Niccolò Berretta, Sasha Toli, Fabio Giorgi Alberti, Wang Yuxiang, Federico Pestilli.
Il concept della mostra si ispira al tema del VUOTO, elemento che racchiude e collega nel Godai, tutti gli altri elementi.
Tutti gli elementi trovano all’interno del GODAI FEST un loro spazio nella sezione GODAI PRESENTA e che racconta l’essenza del Godai come unione e commistione di tutti gli elementi. Le Artiste e gli artisti selezionati sono: Gianmaria Marcaccini (Figura Apotropaica), Leonardo Zappalà (Il percussore colpisce l’innesto – Fuoco), Francesco D’Aliesio (Antipode), Floating Beauty (Quello che non c’è), Gabriele Silli (Organo del sommerso n.1, 2018), Alberto Montorfano (Sarcofago), Cristiano Carotti (Nido; Amore).
Durante tutta la due giorni il palco GODAI ospiterà nei momenti tra le varie performance una rassegna di videoarte a cura di Angelica Gatto con sonorizzazione live eseguita da Roberto Lobbe Procaccini. Gli artisti selezionati da Angelica Gatto sono: Valeriana Berchicci, Francesca Cornacchini, Federica Di Pietrantonio, Giorgia Errera, Valerio Pacini, Beatrice Pediconi, Pamela Pintus e Paco Sangrado.
INFO
Per informazioni: https://www.instagram.com/godaifest/