La mostra Antonio Ligabue e l’arte degli Outsider, curata da Simona Bartolena e ospitata al Palazzo delle Paure di Lecco si immerge nelle traiettorie marginali ma densissime di quegli artisti che, segnati dall’esperienza manicomiale, hanno tracciato un sentiero laterale nella storia dell’arte del Novecento.
Il cuore pulsante del progetto è Antonio Ligabue, “Toni al matt”, come lo chiamavano nella Bassa reggiana. A sessant’anni dalla scomparsa, l’esposizione restituisce la forza primitiva e visionaria della sua opera, con 14 dipinti emblematici – belve feroci, paesaggi rurali, autoritratti dolenti – accanto a due inediti provenienti da collezioni private. La definizione di naïf, che per anni ha avvolto la sua figura come una coltre semplificatoria, viene qui disinnescata. Ligabue è artista espressionista, creatore assoluto, interprete tragico e lucidissimo della propria condizione.
A Lecco sono proposti alcuni dei suoi maggiori capolavori che documentano i suoi motivi più ricorrenti, dalle belve feroci (Giaguaro con gazzella e serpente, 1948, coll. priv.; Leonessa con zebra, 1959-1960, Corporate Collection La Galleria BPER Banca; Volpe in fuga, 1957-1958, coll. priv.), ai paesaggi rurali padani (Ritorno dai campi con castello, 1955-1957, Corporate Collection La Galleria BPER Banca) dai lavori nei campi (Contadino con cavallo al traino, 1955-1956, coll. priv.; Aratura coi buoi, 1953-54, Corporate Collection La Galleria BPER Banca) agli autoritratti (Autoritratto con grata, 1957, coll. priv.), oltre a due opere inedite, provenienti da collezione privata: Autoritratto con libellula e Pascolo.
Questa selezione sottolinea il grande valore di Ligabue nell’ambito dell’arte italiana ed europea, al di là della fuorviante definizione di naïf che l’ha troppo a lungo accompagnato e ne ha mortificato la comprensione, e lo collocherà tra gli esponenti più significativi di quel filone “primitivo” ed espressionista.
Intorno a lui ruotano altre sette storie, otto vite eccentriche, otto visioni non allineate, che rendono la mostra un vero racconto corale sull’arte come necessità e cura. Alcuni – come Filippo de Pisis o Mario Puccini – varcarono la soglia del manicomio già artisti affermati, altri, come Carlo Zinelli o Rino Ferrari, scoprirono nell’ospedale psichiatrico il proprio strumento di salvezza. I loro lavori – disegni, pitture, grafie – parlano con un’intensità che non chiede indulgenza, ma ascolto.
GLI ARTISTI
Un’altra personalità di ampio profilo attorno cui si sviluppa il percorso espositivo lecchese è Filippo de Pisis (1896-1956), pittore, ma ancor prima poeta, dotato di spiccata sensibilità. La sua cifra stilistica s’iscrive inizialmente nell’ambito della Metafisica, dopo l’incontro con Giorgio de Chirico e il fratello Alberto Savinio, caratterizzata da una pittura elegante, di tocco, ma in cui traspare una vena struggente, un affanno latente, che trapela dall’apparente leggerezza dell’insieme.
Dopo i periodi felici trascorsi a Parigi e Londra, de Pisis rientra in Italia; qui, un male sottile, strisciante, incalcolabile, s’impossessa del suo corpo e della sua mente. La sua straordinaria sensibilità si trasforma in un profondo mal di vivere, un’inquietudine incontrollabile. Per cercare una cura alla sua malattia, entra a Villa Fiorita a Brugherio, una struttura specializzata nella Brianza monzese. A Lecco, vengono proposte alcune struggenti Nature morte e uno scorcio di Brugherio (da collezione privata) realizzati in questo periodo, veri e propri capolavori del dolore, in cui risulta evidente la traccia del disagio di cui è vittima, composti da pochi tocchi, da pennellate di colore puro, dai contorni neri a linea continua, ombre scure, su una tela lasciata in gran parte scoperta, in cui si respira un disperato senso di vuoto.
La mostra prosegue con le creazioni di altri outsider. Tra questi, spicca il livornese Mario Puccini (1869-1920), vero e proprio caso nella pittura toscana tra i due secoli. Isolato, affetto da difficili patologie comportamentali, autonomo nella ricerca pittorica, fu definito dal critico Emilio Cecchi, suo estimatore, “un Van Gogh involontario”.
Considerato folle, nel 1894 viene rinchiuso nell’Ospedale psichiatrico San Nicolò di Siena, struttura da cui uscì quattro anni dopo. Puccini riprese a dipingere come un uomo nuovo, come se gli anni di reclusione lo avessero convinto della propria vocazione all’arte. Una volta fuori dalle mura dell’Ospedale, egli si interesserà in via esclusiva ai suoi dipinti, caratterizzati da una certa ripetitività nei temi (le marine e le ambientazioni di Livorno) ma animata da una cifra stilistica personale, unica, potentemente emozionale, in cui il colore è il vero protagonista.
Anche quella di Gino Sandri (1892-1959), finissimo intellettuale, scrittore straordinario e disegnatore e pittore dalla mano felicissima, è un’esistenza segnata dalla permanenza in manicomio. Promettente artista, molto apprezzato come illustratore, nel 1924 Sandri viene inquisito e rinchiuso in una casa di cura a Roma con l’accusa di essere un soggetto pericoloso, a seguito di non precisati crimini di “natura politica”. Rilasciato e rientrato a Milano nel febbraio del 1926, riprende la propria attività artistica, ma dopo pochi mesi è di nuovo internato in una clinica a Turro e poi ad Affori, per poi passare, dopo la morte della madre, due anni nell’ospedale psichiatrico di Mombello a Limbiate (MB). Una volta dimesso, si trasferisce a Ceriano Laghetto, ma il suo equilibrio psichico è ormai compromesso e sovente egli rientra in manicomio. Completamente solo, lascia alle tante pagine scritte e ai fogli su cui traccia i volti di chi lo circonda la propria testimonianza di vita.
I suoi disegni degli ospiti del manicomio – molti dei quali si possono ammirare a Palazzo delle Paure – tratteggiano, con il segno sicuro di un artista completo e talentuoso, i caratteri di un’umanità varia, ai margini della società, ma sempre poetica. Di altissima qualità dal punto di vista stilistico, le grafiche di Sandri hanno la capacità di emozionare, narrando persone reali, descritte in tutta la loro complessità.
I ritratti degli internati nel manicomio di Mombello furono anche il soggetto privilegiato di Rino Ferrari, entrato in clinica psichiatrica a seguito dell’esperienza traumatica vissuta durante il massacro di Cefalonia. Incoraggiato dal medico, Ferrari inizia a disegnare. L’artista passava ore con i moribondi, cercando di cogliere, come nelle opere della serie Agonia, il momento di passaggio tra la vita e la morte.
Anche Carlo Zinelli (1916-1974), uno degli autori più noti del panorama della creatività nata tra le mura di un manicomio, trova nell’arte uno straordinario strumento di comunicazione. Grazie alla vicinanza e al conforto dello psichiatra Vittorino Andreoli, Zinelli produrrà opere dalla cifra stilistica inconfondibile, riconosciute oggi come una delle espressioni più interessanti dell’Art Brut.
I suoi lavori raccontano una cultura figurativa destabilizzante, con riferimenti inconsapevoli all’iconografia egizia, ai manufatti aborigeni, alle maschere e agli idoli di alcune popolazioni africane e accenti primitivisti.
La rassegna si completa con due affondi su Pietro Ghizzardi (1906-1986) ed Edoardo Fraquelli (1933-1995).
Il primo, figlio della grande pianura attraversata dal Po, è spesso accostato ad Antonio Ligabue. Ma la sua pittura non racconta la vita nei campi, i paesaggi della Bassa, le ambientazioni esotiche popolate da belve feroci, quanto ritrae le belle donne del paese con uno stile che rivela inaspettati accenti primitivisti e con una tavolozza dalle infinite gamme dei grigi.
Il secondo, nato a Tremezzo sul lago di Como, muove i suoi primi passi nell’ambito dell’Informale, con accenni più vicini al naturalismo morlottiano. Fragilissimo psichicamente, Fraquelli entra in manicomio e abbandona per qualche tempo l’arte. Sarà l’incontro due giovani collezionisti che si innamorano della sua pittura e lo sostengono a spingerlo a riprendere a dipingere. Le sue opere si caratterizzano per una sapienza compositiva e un equilibrio sempre controllatissimi. Fraquelli passa da creazioni cromaticamente vibranti e dal segno carico di tensione a lavori in cui l’ordine e il silenzio sembrano avere la meglio. La sua ora è una pittura di luce, di gialli vibranti e onirici rosa, l’esito quasi inevitabile di una liberazione interiore, di una nuova consapevolezza e di una profonda speranza.
Info
ANTONIO LIGABUE E L’ARTE DEGLI OUTSIDER
Lecco, Palazzo delle Paure (piazza XX Settembre, 22)
13 giugno 2025 – 2 novembre 2025