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Reaching for the Stars. Da Maurizio Cattelan a Lynette Yiadom-Boakye a Palazzo Strozzi a Firenze

La Fondazione Palazzo Strozzi presenta Reaching for the Stars. Da Maurizio Cattelan a Lynette Yiadom-Boakye, mostra che propone una celebrazione delle stelle dell’arte di oggi attraverso oltre 70 opere dei più importanti artisti contemporanei italiani e internazionali, tra cui Maurizio Cattelan, Cindy Sherman, Damien
Hirst, Lara Favaretto, William Kentridge, Berlinde De Bruyckere, Sarah Lucas, Lynette Yiadom-Boakye.

Promossa e organizzata dalla Fondazione Palazzo Strozzi e Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Reaching for the Stars esplora le principali ricerche artistiche degli ultimi decenni attraverso una costellazione di opere esposte in tutti gli spazi di Palazzo Strozzi, dal Piano Nobile alla Strozzina, con una speciale nuova installazione per il cortile rinascimentale.

Curata da Arturo Galansino, Direttore Generale della Fondazione Palazzo Strozzi, l’esposizione si pone come
celebrazione dei trent’anni della Collezione Sandretto Re Rebaudengo, una delle più famose e prestigiose
raccolte d’arte contemporanea a livello internazionale, restituendone in modo aperto la varietà, l’evoluzione e il
suo essere costantemente in progress. Il progetto a Palazzo Strozzi nasce infatti nella volontà di creare una
piattaforma di sperimentazione e partecipazione in cui si uniscono l’esposizione di opere della collezione, nuove
produzioni create per la mostra, oltre a un ampio programma di attività e progetti con gli artisti protagonisti di
talk e workshop, e a numerose attività per coinvolgere il pubblico.

Tra pittura, scultura, installazione, fotografia, video e performance, la mostra esalta il dialogo tra Palazzo Strozzi e l’arte contemporanea proponendo ai visitatori un percorso alla scoperta delle grandi stelle dell’arte globale degli ultimi decenni. L’esposizione propone infatti un viaggio attraverso le opere di artisti che hanno segnato
l’evoluzione delle pratiche artistiche tra la fine del XX e l’inizio del XXI secolo, in un percorso che affronta
tematiche diverse come la sperimentazione dei linguaggi artistici, la figurazione e astrazione, l’identità e il corpo
dal punto di vista sociale e politico, il ruolo e l’immagine della donna nella società di oggi, la riflessione sulla storia contemporanea tra collettività e individualità, attraverso riferimenti a eventi storici come l’11 settembre 2001 o le lotte per i diritti civili.

LE OPERE

Nella mostra sono presenti, ad esempio, opere fondamentali come 1000 Names (1983) di Anish Kapoor o Love Is Great (1994) di Damien Hirst, insieme a un’ampia selezione di lavori di Maurizio Cattelan, artista centrale per
un’esplorazione dell’arte italiana tra anni Novanta e Duemila, insieme, tra gli altri, a Paola Pivi o Lara Favaretto. In parallelo si snodano sezioni tematiche come quella dominata dalla celebre serie Untitled Film Still (1978-1980) di Cindy Sherman che propone una riflessione sociale e politica sul tema dell’identità in rapporto a opere di Shirin Neshat, la serigrafia Untitled (Not ugly enough) (1997) di Barbara Kruger o la scultura in materiali organici SelfPortrait (1993) di Pawel Althamer. L’indagine sulla scultura si amplia nei grandi lavori di Andra Ursuţa, Adrián Villar Rojas, Berlinde De Bruyckere, Mark Manders, le cui pratiche investigano il corpo e la figura tra decostruzione e ricomposizione. A questa fa eco la perlustrazione della ricerca pittorica attraverso dipinti di artisti come Lynette Yiadom-Boakye, Sanya Kantarovsky, Michael Armitage, Cecily Brown, Avery Singer, testimoniando la perdurante vitalità di questo medium, tra figurazione e astrazione, soprattutto nelle generazioni più giovani.
Completa il percorso un’ampia sezione dedicata alla Video arte con opere manifesto di artisti quali William
Kentridge, presente con History of Main Complaint (1996), Douglas Gordon e Philippe Parreno, con la celebre
videoinstallazione Zidane. A 21st Century Portrait (2005) e Ragnar Kjartansson con The End – Rocky Mountains (2009).

“Reaching for the Stars è un viaggio in quarant’anni di scoperte e ricerca nell’arte contemporanea” afferma
Arturo Galansino, Direttore della Fondazione Palazzo Strozzi e curatore della mostra “Ospitare a Firenze una collezione come questa significa celebrare i valori del mecenatismo e della committenza nella città dove il grande collezionismo è nato. La collaborazione tra Palazzo Strozzi e la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo va oltre la mera esposizione di opere, ma è una sinergia di valori, una piattaforma condivisa in cui stimolare accessibilità, partecipazione e sperimentazione”.

È per me un onore e una grande emozione poter rivedere le ‘stelle’ della collezione esposte nelle splendide sale della Fondazione Palazzo Strozzi. Festeggiare i trent’anni della mia pratica collezionistica all’interno di questo palazzo, capolavoro dell’architettura rinascimentale” dichiara Patrizia Sandretto Re Rebaudengo, Presidente della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo “è un’occasione per ripercorrere i tragitti dell’arte contemporanea degli ultimi decenni, creando un dialogo vivo con l’antico e con il pubblico in visita. Questa mostra, che inizia dallo splendido cortile aperto alla città, rispecchia il valore della condivisione che da sempre impronta la mia collezione e trova piena sintonia con la linea della Fondazione Palazzo Strozzi, guidata con grande professionalità da Arturo Galansino, a favore della partecipazione e dell’accessibilità della cultura”.

IL PERCORSO ESPOSITIVO

PIANO NOBILE SALA 1 – God Save the Queen
All’inizio degli anni Novanta l’arte contemporanea britannica conquista il mondo. Ed è proprio da Londra che
parte il viaggio della Collezione Sandretto Re Rebaudengo, dal fermento di una scena artistica animata da nuove idee, da talenti emergenti e dalla loro capacità di rendere quelle istanze un fenomeno di grande impatto
comunicativo. Nel 1991 il giovane artista britannico di origine indiana Anish Kapoor vince con le sue sculture di
pigmento il Turner Prize, il riconoscimento che, da quel momento in poi, segnala la centralità che l’arte emergente si è conquistata nella società e nei media inglesi, anche quelli più popolari. Nel 1995 il premio va a
Damien Hirst, tra i protagonisti e artefici del clamore intorno al movimento degli Young British Artists, gruppo
formatosi tra gli studenti del Goldsmiths College. Abbandonata la tradizionale distinzione tra medium artistici
(scultura, pittura, fotografia…), questa scuola si fa portatrice di una visione che privilegia la dimensione filosofica, quindi concettuale, della pratica artistica. Ma è soprattutto lo spirito sovversivo e provocatore a
contraddistinguere questi autori, insieme a una vena decisamente dark e spesso macabra. Così nell’opera di Hirst Love Is Great la bellezza della natura e l’anelito all’amore si traducono in una trappola mortale, che ingabbia e condanna ogni pulsione di vita, mentre la sua stanza di vetro e metallo, sorta di ufficio in teca, ritrae la morte psichica che, nella vita moderna, precede e accelera quella fisica. L’amore è evocato, con vena ironica, anche da Sarah Lucas, un’altra figura di spicco del movimento, la cui opera riflette criticamente sulla trasformazione del corpo femminile in oggetto di desiderio.

SALA 2 – Art Matters
È noto e celebrato il potere dell’arte di volgere la materia grezza in un’immagine, una figura, in altro da sé. Per
molti artisti contemporanei è però più interessante valorizzare le potenzialità intrinseche dei materiali, le loro
qualità fisiche, le caratteristiche percettive e il significato simbolico. Come moderni alchimisti, gli artisti
manipolano le materie più eccentriche, meno tradizionali e nobili, per innescare dei processi di trasformazione,
delle dinamiche, degli artifici. La magia accade innanzi a noi nell’opera iconica di David Medalla Cloud Canyons,
nuvole di schiuma mutaforma, sempre in movimento, fluttuanti e poetiche, espressione di forze invisibili e di
una materia che si fa energia. Nell’opera di Charles Ray Viral Research, il movimento del fluido nero attraverso i
tubicini in vetro richiama esperimenti chimici, così come la diffusione impercettibile; eppure, letale di organismi
microscopici. L’idea della sperimentazione ritorna nei dipinti di Isa Genzken Basic Research, realizzati con la
tecnica del frottage, per cui la materia bassa del pavimento dello studio imprime la propria consistenza sulla tela che vi è poggiata, trasformandosi in una texture astratta. Sul valore anche simbolico del materiale riflette il
lavoro di Rosemarie Trockel, che nei suoi storici “knitted paintings” fonde immagine e supporto, artigianalità e
processi di riproduzione meccanica, per mettere in crisi le gerarchie tradizionali. Similmente, Rudolf Stingel si
appropria di pattern decorativi classici e formati propri dell’interior design per testare i limiti della pittura, le sue pretese di autenticità e unicità.

SALA 3 – Made in Italy

Nel 1994, in una galleria di Londra, un giovane artista italiano espone un sacco da trasporto pieno di calcinacci.
Sono le macerie della bomba al PAC di Milano, uno degli attacchi terroristici con cui la mafia, all’inizio degli anni
Novanta, cerca di destabilizzare l’Italia, colpendo anche obiettivi culturali. L’artista è Maurizio Cattelan, che
tramite questa e altre opere in mostra offre al pubblico londinese un ritratto insieme cupo e dissacratorio del bel paese, che resterà uno degli obiettivi privilegiati del suo sguardo caustico. Così gli anni di piombo sono evocati dal simbolo delle BR che si fa stella cometa e insieme insegna da bar, mentre il dibattito pubblico sulla gestione delle ondate migratorie viene sintetizzato in una partita a calciobalilla.
Questo connubio di leggerezza e drammaticità caratterizza il lavoro di molti degli artisti italiani qui riuniti, voci
riconosciute della scena artistica internazionale. Nel lavoro di Lara Favaretto il turbinio giocoso di colorate
spazzole per autolavaggio diviene riflessione sui processi di erosione, sfinimento e scomparsa. Le metamorfosi
sono al centro dell’opera di Roberto Cuoghi, che nella creazione di figure grottesche e fantastiche rispecchia una identità instabile, sempre in divenire, un’inquietudine che caratterizza anche l’essere sinuoso dipinto da Vanessa Beecroft, che in tutta la sua opera esplora la complessità psicologica del rapporto con il corpo. L’orso polare dalle gialle piume di pulcino di Paola Pivi è immediatamente giocoso e seducente, ma questa creatura improbabile, fiabesca, porta con sé un senso di estraneità poco rassicurante. Un’impressione suscitata anche dalla macabra fine del protagonista di Bidibidobidiboo, il celebre scoiattolo suicida di Cattelan, una miniatura epica che sintetizza perfettamente una simile visione tragicomica dell’esistenza.

SALA 4 – Identities
La serie Untitled Film Stills di Cindy Sherman è tra le opere più iconiche dell’arte contemporanea, un lavoro che
sintetizza le urgenze politiche ed espressive di un’intera generazione artistica, quella americana che emerge alla
fine degli anni Settanta. Proponendo molteplici versioni di sé, debitrici di modelli stereotipati della femminilità,
Sherman mette in scena la natura costruita dell’identità, il suo essere frutto di processi sociali, acquisiti e
riprodotti dai mass media. Così la retorica pubblicitaria diviene insieme arma e bersaglio nell’opera di Barbara
Kruger, che si appropria di stilemi e immaginari condivisi per rovesciare la logica e le dinamiche di potere della
propaganda ufficiale. In quanto segno tra i segni, l’arte stessa non si sottrae a questo processo di analisi, che
nell’opera di Sherrie Levine diviene critica ai concetti di unicità, originalità e al mito del genio artistico (maschile).
L’atteggiamento critico si fa potente denuncia politica nei lavori di Shirin Neshat, artista di origine iraniana che,
dagli anni Novanta, indaga il ruolo della donna in una società, quella islamica tradizionale, dominata dalla
repressione delle libertà individuali. Nelle sue immagini si manifesta la tensione tra una forza oppressiva di
cancellazione del corpo e dell’identità femminile e una volontà di emancipazione che risuona oggi nei movimenti di rivolta contro il regime iraniano.

SALA 5 – Places
La critica postmoderna allo statuto dell’immagine non si esprime solo attraverso la strategia dell’appropriazione, come nell’opera di alcuni degli artisti riuniti nella sezione precedente, ma vede anche un rilancio delle potenzialità della fotografia nella fusione tra tecnica digitale e una sorta di nuovo pittorialismo. La manipolazione diviene la cifra di una pratica artistica che rigetta le pretese di autenticità dell’immagine fotografica, il suo presunto essere fedele testimonianza della realtà, per esaltarne il potere retorico e spettacolare. I paesaggi e gli spazi ritratti nelle opere di Jeff Wall, Andreas Gursky, Thomas Struth e Thomas Ruff sono la fusione di luoghi reali e immaginari, visioni costruite in senso drammatico, prima dello scatto o in postproduzione, rese epiche dalla scala e dalla qualità cromatica della stampa, che evocano la monumentalità della pittura di storia. Maestro della “staged photography”, Wall concepisce i suoi scatti come tableaux, elaborati set che trovano ispirazione in episodi della storia dell’arte, creando immagini la cui presentazione in light box richiama l’estetica pubblicitaria. I panorami di Gursky coniugano visione macro e micro, prospettive elevate e distanti insieme a un eccesso di dettaglio. In essi la figura umana è infinitesima, quasi assente come in Arena III o elemento minimo di un ingranaggio che caratterizza l’organizzazione socioeconomica della contemporaneità. Similmente, Times Square, New York di Struth espone un luogo iconico della modernità, in una visione che fonde lo spazio fisico urbano e lo spazio virtuale dell’infosfera, la cui logica prescinde ormai dalla volontà o presenza umana. Una prospettiva che si fa sublime tecnologico nelle immagini spaziali di Thomas Ruff, poetici paesaggi di stelle frutto dello sguardo macchinico di potenti telescopi astronomici.

SALA 6 – Bodies
Il ritorno alla figurazione che contraddistingue la produzione artistica più recente attribuisce una rinnovata
centralità al corpo umano, protagonista di dipinti e sculture dal forte potere narrativo. I corpi distorti e sfigurati dI Berlinde De Bruyckere sono le sembianze di esseri fragili, esausti. Le sue sculture in cera policroma evocano la vulnerabilità di pelle e membra per riflettere su temi umani archetipici quali la sofferenza, la morte, ma anche
l’amore e la memoria. La ricerca pittorica di Lynette Yiadom-Boakye ha un rapporto diretto con la finzione: le sue figure seducenti ed enigmatiche sembrano ritratti, ma è un inganno, perché queste non sono persone reali ma personaggi d’invenzione che abitano solo il mondo creato dalla pittura. L’opera scultorea di Mark Manders ha un legame generativo con il linguaggio: tutte le sue opere sono tra loro collegate da un filo narrativo misterioso, che ha al proprio centro la figura dell’artista stesso, protagonista di un autoritratto per frammenti, in continuo divenire. Imponenti eppure fragili, antichissime e insieme incompiute, le sue figure evocano l’idea dell’assenza.
Le opere di Andra Ursuţa prendono spunto dalla realtà e da fatti di cronaca per rielaborare in senso fantastico
immaginari contemporanei. Le eroine cui dedica la statua in marmo in mostra sono le donne rom della sua nativa Romania, colpevoli di un “terrorismo magico” che mette in evidenza il conflitto tra sistemi di credenze irriducibili e modelli socioeconomici problematici. A fatti e miti della sua terra d’origine, il Kenya, si ispirano anche i lavori di Michael Armitage, il cui stile mescola riferimenti della storia dell’arte occidentale e al modernismo africano per riflettere su storie culturali parallele. In Mangroves Dip, sullo sfondo di una natura lussureggiante, la fusione tra corpo nero e corpo bianco avviene attraverso un rovesciamento, di posizioni e prospettive.

SALA 7 – Mythologies
«E se potessimo vedere e pensare noi stessi – l’umanità – da una prospettiva aliena? Distaccata, senza
pregiudizi, persino amorale? E se potessimo vedere e pensare noi stessi dall’estremità del nostro percorso
compiuto?» Con queste parole Adrián Villar Rojas interroga le potenzialità di un immaginario post-umano, una
condizione di confine e di trasformazione che risuona nelle opere degli artisti riuniti in questa sezione. Le sue
sculture d’argilla cruda di esseri umani, animali e cose si disfano di fronte ai nostri occhi, abitano mondi
preistorici o post-apocalittici, sono frammenti di accadimenti provenienti da altre dimensioni spazio-temporali.
La materia temporale è centrale anche nel lavoro scultoreo di Giulia Cenci, i cui esseri ibridi tra organico e
inorganico, frutto di assemblaggi e processi metamorfici, parlano di logoramento, entropia, mutazioni
fantascientifiche. Le metamorfosi dell’umano sono da sempre oggetto della ricerca di Thomas Schütte, le cui
monumentali figure sembrano assurgere a divinità ancestrali: sono esseri mostruosi o fantastici che emergono
dal nostro subconscio.

SALA 8 – Abstractions
L’interesse contemporaneo per l’immagine non figurativa si declina al plurale, nelle molteplici forme di
astrazione perseguite dagli artisti, di cui questa selezione offre uno spaccato recente. L’immagine astratta può
essere l’esito di un procedimento meccanico, che fa collidere tecnologia digitale e sensibilità pittorica, come nel
caso di Wade Guyton, il cui uso deviato delle stampanti a getto d’inchiostro imprime sulla tela i limiti del nostro
futuro tecnologico. Nei quadri di Avery Singer la storia della pittura dialoga con la modellazione 3D, la
figurazione con l’astrazione, l’analogico con il digitale. Le gradazioni di grigio caratteristiche dei suoi dipinti
richiamano sia certa avanguardia del Ventesimo secolo sia la geometria semplificata degli esordi della computer
grafica. Tauba Auerbach dà forma a spazi ottici ambigui, che oscillano tra bi- e tridimensionalità, tra un’immagine astratta, il retino tipografico, e una iperrealista, quella di una tela accartocciata, con le sue
increspature e profondità. Il gesto pittorico di matrice espressionista prevale invece in una serie recente di
Albert Oehlen, artista che, dagli anni Ottanta, è stato capace di reinventare continuamente le potenzialità della
pittura astratta. Nell’opera in mostra il lavorio di sovrapposizione della materia pittorica, un processo che genera continuamente forme destinate a dissolversi, dà forma a un paesaggio di grande intensità cromatica. La tensione tra figurazione e astrazione domina il lavoro di Cecily Brown, che prende ispirazione dalla storia della pittura antica e moderna per composizioni in cui la figura umana è centrale eppure sfuggente, scomposta e liquefatta in una totalità. L’immagine astratta è infine traccia concreta di un contatto nella fotografia di Wolfgang Tillmans, che intrattiene con la realtà un rapporto oggettivo; eppure, è espressione delle potenzialità poetiche del caso e della luce.

STROZZINA -Stories

A partire dagli anni Novanta si afferma una nuova arte del video, che diversamente dalle esperienze delle decadi precedenti, di orientamento concettuale, trova il proprio referente principale nel modello cinematografico. Il cinema offre agli artisti un universo simbolico, strumenti linguistici e narrativi e un apparato scenico, quello della proiezione, che da allora in poi definisce la tipica modalità museale di presentazione delle opere video. Tra i maggiori rappresentanti di questo nuovo corso vi è Douglas Gordon, la cui opera in mostra, Zidane. A 21st Century Portrait, frutto della collaborazione con Philippe Parreno, è un documentario sul celebre calciatore che diviene riflessione sul rapporto tra sguardo filmico, regime dello spettacolo e la produzione di mitologie contemporanee. La moltiplicazione della narrazione in più schermi è caratteristica di una strategia che apre l’interpretazione del montaggio cinematografico al movimento dello spettatore nello spazio. Così nell’opera di Fiona Tan, Saint Sebastian, lo schermo si sdoppia in un giano bifronte, per offrire diverse prospettive non solo spaziali, ma anche temporali, sullo svolgersi di un’antichissima cerimonia rituale. Come dimostra il caso di quest’opera, il video è il mezzo privilegiato per narrare identità culturali, eventi storici, dinamiche sociopolitiche.
Il particolare linguaggio filmico di William Kentridge, l’animazione in stop-motion, è strumentale alla
ricostruzione del passato traumatico del proprio paese, il Sudafrica: nel suo lavoro il farsi e disfarsi del disegno
nel movimento delle immagini evoca il lavorio mai finito della memoria. Per la serie di film Cabaret Crusades,
l’artista egiziano Wael Shawky ha creato sceneggiature e scenari per marionette, la cui azione guidata dall’alto
simboleggia le macchinazioni della storia cui sono sottomessi gli individui. Lo sguardo umano sulla natura,
mediato da cliché culturali e dall’apparato tecnologico dello spettacolo, è al centro delle opere di Ragnar
Kjartansson e Doug Aitken, i cui scenari immersivi sono visioni poetiche che tuttavia espongono il carattere
artificioso delle idee di natura e paesaggio.

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INFO

Reaching for the Stars.
Da Maurizio Cattelan a Lynette Yiadom-Boakye
Firenze, Palazzo Strozzi fino al 18 giugno 2023

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