Visitare “Moby Dick – La Balena” a Palazzo Ducale a Genova significa entrare in una costellazione di immagini e riflessioni che travalicano il tempo e la letteratura.
La mostra – che si inserisce nell’anno “Genova e l’Ottocento” indetto dal Comune di Genova – è a cura di Ilaria Bonacossa e Marina Avia Estrada, con Michela Murialdo, ed è realizzata in collaborazione con TBA21 Thyssen-Bornemisza Art Contemporary) è un percorso trasversale, capace di aprire e diversificare la lettura di un classico fondativo come il romanzo di Herman Melville.
Ma più che un omaggio è una navigazione mentale: un viaggio che si muove tra il desiderio di rappresentare l’oceano e quello di aprirsi a forme di pensiero non umane, dove le opere diventano correnti di un medesimo mare.
La balena come mito e metafora
Da secoli la figura della balena abita l’immaginario umano, oscillando tra paura e meraviglia. Mostro e madre, distruzione e rinascita, abisso e salvezza: la mostra genovese ne esplora l’ambivalenza con uno sguardo che intreccia arte, scienza e mitologia. Il percorso, che attraversa i secoli e le discipline, va dal Medioevo all’arte contemporanea, dalla storia della navigazione all’illustrazione, fino alla biologia marina.
L’epopea del capitano Achab e della sua ossessione per la balena bianca diventa qui un archetipo universale: la tensione dell’uomo verso l’inconoscibile, il confronto tra ragione e mistero, la fragile illusione del dominio sulla Natura.
Un caleidoscopio di linguaggi
La mostra si articola negli spazi dell’Appartamento del Doge come un grande organismo vivente, un “pluriverso” – per dirla con le curatrici – dove opere e discipline si intrecciano in un dialogo ininterrotto. Grandi installazioni video, sculture, fotografie e incisioni costruiscono una drammaturgia visiva che abbraccia la complessità senza volerla semplificare.
Qui, la balena è al tempo stesso corpo e simbolo, voce e silenzio. È un’immagine che si espande, si moltiplica, si rifrange nelle visioni degli artisti contemporanei e nelle antiche rappresentazioni mitiche. Ogni opera diventa una finestra su un frammento di mondo, un seme gettato nel mare della cultura.
L’arte come forma di conoscenza
C’è una domanda che delinea lungo tutto il percorso: quanto servono dei testi per costruire immagini, per fare cultura? La mostra sembra rispondere che la cultura non è mai un atto di possesso, ma di semina. Non bisogna arretrare di fronte alla complessità, anzi: accoglierla è l’unico modo per generare nuovi significati.
Nel “sacrario dell’arte”, la cultura cresce come un organismo marino: fluido, imprevedibile, vivo. E come la balena di Melville, si sottrae a ogni cattura, continuando a emergere e inabissarsi nelle profondità del nostro immaginario collettivo.
Un mito contemporaneo
Moby Dick – La Balena non è solo un tributo al capolavoro letterario di Melville, ma un dispositivo visivo che rilegge l’uomo e la natura come entità interconnesse. È una mostra che non teme la vastità, che accetta l’incertezza come forma di conoscenza.
In un’epoca segnata da crisi ambientali e mutamenti percettivi, l’oceano torna a essere un luogo mentale dove interrogare la relazione tra umano e non umano, tra ciò che vediamo e ciò che resta invisibile.
E forse, come suggerisce la mostra, fare cultura oggi significa proprio questo: imparare ad ascoltare il respiro profondo della balena, e riconoscere in esso il ritmo stesso del mondo.
Il percorso espositivo
L’ingresso del percorso espositivo ospita alcune versioni in diverse lingue del romanzo di Hermann Melville, un’opera che è il pretesto per un lungo viaggio attraverso i temi del mare e del rapporto dell’uomo con la Natura.
Il visitatore può ammirare una copia della prima edizione italiana dell’opera con la celebre traduzione di Cesare Pavese e una copia realizzata da Emilio Isgrò che riproduce, in alcune pagine, immagini di balena grazie a una parte di testo cancellata.
E poi un volume particolare – The Book End of Time dell’artista Tacita Dean – coperto da cristalli di sale che sembra riemerso dagli abissi: una sorta di rappresentazione iconica di un testo talmente “eterno” che non si riesce più a sfogliare. Anche Mario Airò in Elogio del bianco, in ripresa di un capitolo del romanzo di Melville, trasforma il libro in oggetto, metafora della memoria.
La prima parte della mostra comprende Ossi, un’opera di Claudia Losi che riproduce l’impalcatura di una capanna della tradizione Inuit con ossa di balena; e una fotografia di Thomas Ruff di un cielo stellato, a evocare il tema della navigazione attraverso le stelle come guida. Si entra poi nella Cappella Dogale dove un’installazione audio di Alberto Tadiello, composta da otto tracce registrate come un unico flusso continuo in loop, in cui i misteriosi “canti” delle balene si intrecciano a voci di biologi, rumori urbani e canti di popolazioni locali. La Cappella diventa una sorta di sacrario naturale, omaggio al Santuario internazionale dei cetacei del Mar Ligure. A conferire una cornice ancora più suggestiva al percorso, la presenza di parti di scheletri di balene – tra cui i fanoni, le lamine presenti nella bocca di alcune specie al posto dei denti, caratteristiche di centinaia di illustrazioni. Si tratta di materiali provenienti dal Museo di Storia Naturale Giacomo Doria di Genova.
Il percorso espositivo prosegue con una stanza dedicata al tema della passione collezionistica: la sala raccoglie oggetti che hanno a che fare con il tema della balena e dei suoi molteplici significati. Le pareti del Museo sono rivestite da wallpaper che ricostruiscono uno studio d’epoca e tutto l’ambiente ospita stampe, riproduzioni di mappe e di scene di caccia, antiche lampade alimentate con olio di balena, bussole, strumenti per la “lavorazione” delle carcasse e molto altro.
L’arte contemporanea fa il suo ingresso in mostra con Prey, un’opera di Marzia Migliora che riproduce un blocco di salgemma trafitto da un arpione e inserito all’interno di una teca vittoriana: un’esplicita metafora dell’intervento umano che cerca di incasellare e utilizzare la forza della Natura riducendola, a volte, a mero trofeo da esposizione. Nella stessa stanza, si incontra una stampa di Mark Dion, artista e attivista sugli oceani, che rappresenta una tassonomia improbabile: le parti del corpo di una balena sono etichettate con parole che richiamano lo sfruttamento degli oceani.
Lungo il percorso fanno poi la loro apparizione molti altri oggetti e manufatti – piroghe, imbarcazioni a fasciame, ornamenti costituiti da denti di capodoglio, modelli di kayak, cuspidi lancia – che non solo ripercorrono la storia di un mito presente in moltissime tradizioni, ma testimoniano le molteplici modalità di utilizzo di un animale che per alcune popolazioni è stato fonte di sostentamento e ricchezza.
Vertigo Sea è la prima grande installazione video presente in mostra. L’artista John Akomfrah ha realizzato un’opera che, grazie a grandi e ipnotiche immagini a colori proiettate su tre canali in HD 2K, consente al pubblico di essere coinvolto intorno alle molteplici tematiche sollevate dagli ambienti marini, dallo sfruttamento delle risorse naturali alle migrazioni forzate, dalla biodiversità al pericolo che l’inquinamento ne riduca la ricchezza.
Il retro della parete che ospita la video installazione ospita alcuni oggetti d’epoca, come cannocchiali provenienti dal Museo del Mare di Genova, banconote e assegni emessi dalle baleniere tra Ottocento e Novecento, insieme all’opera realizzata appositamente per la mostra con tre edizioni americane di Moby Dick arpionate da Elisabetta Benassi.
Una sala accoglie le opere di Carsten Holler e Cosima Von Bonin: apparentemente pupazzi dall’aspetto giocoso, il tricheco di Holler e la balena di Von Bonin manifestano delle complicanze, rivelano dei tratti mostruosi, chiedono di essere liberati dalla loro condizione.
Attraverso un oblò il pubblico incontra Accellerando, l’installazione di Clara Harstrup composta da due acquari con pesci tropicali il cui movimento attiva dei sensori che a loro volta azionano alcuni strumenti musicali. Gli animali qui tornano a essere i veri protagonisti, capaci di controllare con il loro movimento l’intero processo dell’opera. Questa sala si avvale della collaborazione dell’Acquario di Genova.
Il percorso proseguirà con una sezione dedicata al design, ai tanti oggetti d’arte ispirati dalla figura simbolica delle balene. In mostra, tra le altre opere, la Poltrona Moby Dick realizzata nel 1969 da Alberto Rosselli, le ceramiche di Arturo Martini e Fausto Melotti, alcune produzioni albisolesi, grandi vasi con sirene e pesci, mappamondi, mattonelle, servizi da tè.
Ancora arte contemporanea con l’installazione video Moby Dick di Guy Ben-Ner. L’artista ha messo in scena con sua figlia e nella propria cucina l’opera di Hermann Melville. Il risultato è un coinvolgente racconto del mito della balena bianca trasformato in una fiaba per tutte le età. Vicino a lui, l’artista Jumana Manna presenta un lavoro realizzato con tubi di scarico delle acque per creare una connessione tra il mondo terreno e l’abisso, tra ciò che è considerato scarto e ciò che può riacquisire un nuovo valore.
Il racconto del mito della balena attraverso l’arte contemporanea prosegue con Mauro Panichella, che trafigge un osso del cranio del cetaceo con un neon a evocare allo stesso tempo la luce di un baleno e l’arpione; Teresa Solar, con un’opera in prestito dalla collezione Thyssen-Bornemisza Art Contemporary, composta da due grandi chele che evocano forme marine e meccaniche insieme.
Un grande pannello, poi, realizzato in collaborazione con il Teatro Nazionale di Genova, documenterà con foto di scena, immagini dei protagonisti e materiali informativi l’indimenticabile Moby Dick di Vittorio Gassman portato in scena nel 1992, in occasione delle Colombiadi, come inaugurazione del rinnovato porto antico, concepito dall’architetto Renzo Piano che firmò anche la scenografia dello spettacolo.
Il rapporto tra naturale e artificiale è esplorato anche da Janaina Tschäpe in alcuni scatti fotografici, dove indumenti legati insieme e lasciati fluttuare sott’acqua evocano forme marine, in un’atmosfera sospesa tra inquietudine e libertà.
Nella stessa sala una parete ospita un grande pannello del Collettivo A Constructed World che riproduce l’interno di un ventre di balena cui si potrà accedere attraverso una scala blu. Mentre uno scatto di Francesco Jodice a un diorama del Museo di Storia Naturale di New York, che ritrae il combattimento tra un calamaro gigante e un capodoglio da sempre percepite come creature mostruose, coglie la presenza di una bottiglia di plastica abbandonata da un visitatore del museo, destinata a resistere al tempo.
La Sala del bianco è una sezione dedicata – dopo quella del collezionismo – a un’altra “ossessione”, non solo artistica (espressa in Italia nel Minimalismo degli anni Sessanta e Settanta) ma anche esistenziale e filosofica. Il link è naturalmente l’inafferrabile “Bianca” di Melville, che diventa un pretesto per indagare la ricerca del vuoto e la tangenza con il Mistero.
Il “bianco” – come nei whiteout sperimentati dagli alpinisti in alta montagna – è un’esperienza di straniamento dove non esistono confini e dimensioni e tutto viene diluito in una percezione di assenza e di vuoto.
In questa sezione sono presenti opere di Ines Zenha (con sculture dalle forme antropomorfe legate a tematiche queer, come lettura critica al romanzo di Melville popolato esclusivamente da personaggi maschili), Dominique White (The Long Emancipation, 2022), Pino Pascali (una ricostruzione di una balena realizzata con tele tese su centine in legno) e lavori provenienti dalla collezione di Villa Croce (Achrome di Piero Manzoni, Bianco di Agostino Bonalumi, Superficie bianca di Turi Simeti, Costellazione di Dadamaino).
Completano la Sala del bianco: la fotografia di Paola Pivi in cui ha radunato diversi animali bianchi, dal dromedario all’orso polare fino al topolino, estrapolati dal loro contesto naturali a creare una sorta di nuova Arca di Noè, che destabilizza lo spettatore; e uno still video con colonna sonora di Darren Almond realizzato durante un viaggio in Antartide, che mostra paesaggi segnati dalle infinite sfumature di bianco generate da luce e acqua.
Proseguendo il percorso si trova l’installazione Moving Off the Land IV: Joan Jonas, artista novantenne, vera e propria pioniera dell’arte visuale, ha realizzato un lavoro che pone al centro della sua indagine il rapporto a volte conflittuale tra uomo e Natura, indagato in epoche in cui queste tematiche non erano ancora popolari come oggi.
Una sala è dedicata al Giappone, grazie ai prestiti dal Museo d’Arte Orientale Edoardo Chiossone di Genova, con opere che documentano lo sviluppo della caccia alla balena nell’Ottocento, gli strumenti utilizzati e le tecniche. In mostra anche due quaderni di disegni, di Katsushika Hokusai e di Kitao Masayoshi, accanto a un’edizione giapponese di Moby Dick.
Si passa poi alla stanza con il diorama di Marzia Migliora, realizzato con inserti di carta tratti da riviste per ragazzi, a evocare lo sfruttamento dei mari, la balena bianca e il mito di Moby Dick. Azionabile dal pubblico, il diorama può essere fatto girare ma anche fermato: per l’artista, è una metafora del ruolo dell’uomo, unico responsabile nel portare avanti questo processo ma anche unico in grado di interromperlo e salvaguardare il mare.
Chiude il percorso il video immersivo di Wu Tsang, artista statunitense che vive a Berlino, dal titolo Of Whales, presentato per la prima volta alla Biennale di Venezia. L’opera è una singolare interpretazione del mondo visto dalla prospettiva visiva di una balena. L’opera, della durata di quattro ore, si rigenera continuamente grazie a un programma di intelligenza artificiale rende le immagini sempre diverse. Le immagini sono accompagnate da una colonna sonora dal timbro sacro, che avvolge il visitatore in un’esperienza immersiva e contemplativa.
Ad arricchire la mostra, un’esperienza immersiva cinematografica originale in Virtual Reality ispirata a Moby Dick, a cura della società WAY Experience. L’esperienza, della durata di circa 15 minuti, ricostruisce alcune scene chiave della storia a bordo del Pequod e accompagna lo spettatore attraverso le tappe fondamentali del viaggio: la vita dell’equipaggio sulla nave, l’incontro con la Balena Bianca e il leggendario confronto finale tra Achab e Moby Dick.
I temi dell’esposizione verranno approfonditi da un ricco programma di conferenze e di laboratori educativi per famiglie e studenti, oltre a visite guidate e workshop tematici.
Il Podcast
In occasione della mostra viene prodotto da Chora Media il podcast “Verso la balena”. Quattro puntate di venti minuti ciascuna con interventi di musicisti, registi teatrali, attori, scrittori e gli stessi artisti presenti in mostra. Ogni episodio racconta uno degli aspetti del nostro rapporto con le balene: bellezza, conflitto, mito, ricerca.
La voce narrante è di Simone Pieranni, giornalista e scrittore che ha viaggiato e vissuto all’estero per molti anni, rimanendo sempre molto legato a Genova, la sua città di origine.
Exhibition View
Info
Moby Dick – La Balena
Storia di un mito dall’antichità all’arte contemporanea
12 ottobre 2025 – 15 febbraio 2026
Palazzo Ducale, Appartamento a Cappella del Doge