CARLOS-CRUZ-DIEZ-

MICHELANGELO PISTOLETTO, CARLOS CRUZ-DIEZ e EVA JOSPIN alla Galleria Continua

Triplice mostra alla Galleria Continua di San Gimignano. Di scena le mostre ‘L’Euforia del Colore’ di CARLOS CRUZ-DIEZ, ‘Vedute’ di EVA JOSPIN e ‘I Quadri Specchianti’ di MICHELANGELO PISTOLETTO.

CARLOS CRUZ-DIEZ – ‘L’Euforia del Colore’

Carlos Cruz-Diez è uno dei principali protagonisti dell’arte contemporanea.

Il suo lavoro e i suoi scritti ne fanno l’ultimo grande pensatore del XX secolo nel campo del colore. In occasione delle celebrazioni per il centenario dalla nascita, Galleria Continua accogliere, per la prima volta nei suoi spazi espositivi di San Gimignano, una mostra personale dell’artista franco-venezuelano.

Pioniere dell’arte cinetica e maestro indiscusso del colore ha proposto quest’ultimo come una realtà autonoma ed evolutiva in cui l’implicazione dei nostri sensi rivela gli eventi cromatici mentre si sviluppano.

“L’euforia del colore”, questo è il titolo della mostra, presenta i punti salienti della carriera artistica di Carlos Cruz-Diez, esplorando la teoria del colore dell’artista, attraverso alcune delle sue opere più iconiche, inclusa un’installazione nel centro storico di San Gimignano. Una ricca documentazione d’archivio completa l’esposizione.

“Il colore non è semplicemente il colore delle cose che ci circondano, né il colore delle forme. È una situazione evolutiva, una realtà che reagisce sull’essere umano con la stessa intensità del freddo, del caldo o del suono, per esempio. È una percezione di base che la nostra tradizione culturale ci impedisce di isolare dal colore artistico e dalla sua nozione esoterica o aneddotica.” Afferma Cruz-Diez. E prosegue, “Volevo che il mio lavoro fosse una situazione fenomenologica, in cui il vero colore fosse liberato da ogni significato estetico e simbolico e raggiungesse quindi il suo massimo potenziale.”

Carlos Cruz-Diez si descrive come un artista che applica la disciplina di uno scienziato:

perché i supporti che sono riuscito a strutturare sono fonte di sorpresa e sono imponderabili… Nelle mie opere nulla è lasciato al caso; tutto è previsto, pianificato e programmato. La libertà e le emozioni sono presenti quando viene la scelta dei colori, un compito con una sola restrizione autoimposta: essere efficace in quello che voglio dire. È una combinazione di razionalità ed emozione. Non mi faccio ispirare: rifletto”.

LE OPERE

Il corpus di opere di Carlos Cruz-Diez, basato su tre condizioni di colore (sottrattivo, additivo e riflesso) si sviluppa attraverso otto linee di ricerca: Couleur Additive, Physichromie, Induction Chromatique, Chromointerférence, Transchromie, Chromosaturation, Chromoscope e Couleur à l’Espace.
Ognuno di loro risponde a diversi comportamenti del colore.
L’opera che occupa la platea dell’ex cinema-teatro sede della galleria e’ un’esperienza partecipativa e fa parte della serie Environnement Chromointerférent (Parigi, 1974). L’obiettivo di questi iconici ambienti cromatici è quello di creare una situazione nello spazio che coinvolga la smaterializzazione, la trasfigurazione e l’ambiguità del colore attraverso il movimento. Il movimento costante della proiezione fa apparire trasparenti persone e oggetti che, in questo stato virtuale, cambiano forma e diventano “attori” dell’esperienza e “autori” di un evento cromatico che si evolve nel tempo e nello spazio reali. “Environnement Chromointerférent altera lo spazio, trasformando così tutto ciò che si trova al suo interno. La prima, nel 1974, aveva meno colori delle più recenti, ma generava già quella che io chiamo una relazione tra una costante e una variabile. La variabile era lo schema in movimento e la costante era l’ombra [che gli spettatori] proiettavano sugli schemi in movimento. L’interazione tra variabile e costante ha causato una sensazione di instabilità simile all’esperienza di sedersi su un treno e pensare che il “tuo treno” si stia muovendo. Ma non è così; il treno accanto al tuo è quello che si muove. La Cromointerferenza produce un’ambiguità di instabilità percettiva” (Cruz-Diez, 2011).
Le sale della galleria mostrano una selezione nitida e ipnotica di tre delle otto serie seminali sviluppate dall’artista.
Le “Physichromies” (1959) sono strutture progettate per rivelare determinate circostanze e condizioni legate al colore, mutando in base al movimento dello spettatore e all’intensità della luce, e quindi proiettando il colore nello spazio per creare una situazione evolutiva di additivo, riflessivo e colore sottrattivo. Una “Physichromie” funge da “trappola di luce” in uno spazio in cui interagiscono una serie di cornici di colore; cornici che si trasformano a vicenda, generando nuove gamme di colori non presenti sul supporto. Il colore riempie così lo spazio confinato tra i fogli verticali – modulatori di luce – che ricoprono l’intera opera. Inoltre, per effetto dello spettatore o della sorgente luminosa, si creano in essi una serie di variazioni cromatiche, simili a quelle osservate nello spazio reale del paesaggio.
“Couleur Additive” (1959) si basa sulla radiazione del colore. Quando un colore piano tocca un altro, una linea verticale più scura appare nel punto di contatto. Questa linea virtuale apporta infatti un terzo colore che non è nel supporto. Isolando questo fenomeno ottico, Cruz-Diez ottiene i cosiddetti “Chromatic Event Modules” responsabili, in un certo senso, della continua trasformazione del colore.
Le “Induction Chromatiques” (1963) sono strettamente correlate al fenomeno dell’“immagine residua”, o persistenza retinica. In altre parole, la retina dell’occhio, dopo aver fissato un piano colorato in rosso per un certo periodo di tempo, conserva, anche dopo aver distolto lo sguardo, un’immagine del piano – in verde; che è il colore indotto o colore complementare. Tale fenomeno, si svolge in due fasi, tuttavia, la “Induction Chromatique” lo realizza simultaneamente. In altre parole, stabilizza e rende visibile un fenomeno che può essere catturato solo momentaneamente e in circostanze molto particolari. Il colore che appare è e non è – ha un’esistenza virtuale – tuttavia è reale quanto i pigmenti utilizzati. Lo dimostra l’Induction du Jaune, che si ottiene sovrapponendo nero, blu e bianco; l’Induction du Orange, prodotto con blu, giallo e nero; o l’Induction du Rouge, per mezzo del verde, del bianco e del nero.
L’installazione in Piazza delle Erbe realizzata in occasione della mostra fa parte di questo ciclo di opere. Dalla fine degli anni ‘60, Carlos Cruz-Diez ha lavorato nello spazio urbano attraverso la realizzazione di grandi opere partecipative intervenendo su attraversamenti pedonali e passaggi pedonali. Con queste opere l’artista rompere con i codici conosciuti e stabiliti con cui il cittadino si confronta quotidianamente, lo invita a interagire direttamente con le sue creazioni, a vivere lo spazio e la città in modo nuovo, superando gli automatismi dello spazio urbano, immergendosi in un’esperienza estetica, poetica
e sensoriale. “Una delle funzioni dell’arte è quella di provocare stupore. Se per strada crei oggetti, nuove situazioni, susciti stupore. I colori cambiano a seconda dell’ora del giorno o di dove ti trovi. C’è sempre la sorpresa. In una scultura, in una pittura tradizionale, il discorso è immutabile. Per strada cambia continuamente. L’arte cinetica è quindi realmente adattata alla dimensione urbana”, dichiara l’artista.
Il percorso espositivo si conclude nel giardino della galleria con “L’Environnement de Transchromie Circulaire” (1965/2017), una struttura circolare, immersiva e scintillante, in cui lo spettatore è invitato a riscoprire il suo ambiente naturale o urbano. Creata per essere vissuta hors les murs, l’opera tiene conto della realtà esterna e la trasforma sottraendo il colore, grazie alle strisce trasparenti che si confondono tra loro. L’artista vi dispiega una singolare concezione dell’astrazione, iniziata nel 1969, quando elaborò il suo primo “Projet pour un environnement de couleur soustractive”.

Più di una volta ho pensato che la melodia sarebbe scaturita dalla sua scultura in quella che lo stesso Cruz-Diez ha definito, a proposito di alcune sue opere, “musica a colori”. Il maestro era un amante della musica, aveva sempre la sua chitarra a portata di mano: è così che ha conquistato il cuore di sua moglie, Mirtha Delgado, e ha cresciuto i suoi tre figli. Con la chitarra ha suonato tante serenate con il suo caro amico Jesús Rafael Soto. E quell’influenza risuona nei numerosi riferimenti alle armonie cromatiche nel suo lavoro. Lo stretto legame in ogni fase della sua vita con gli intellettuali della sua epoca lo ha reso fino alla fine un uomo del suo tempo. Era indiscutibilmente un artista contemporaneo capace di prevedere la tecnologia dei suoi tempi. La sua visione ha ampliato la sfera dell’artista, il campo in cui l’artista lavora. E’ stato spesso l’inventore delle macchine di cui aveva bisogno per approfondire la sua ricerca, la sua sperimentazione, il suo mescolarsi con il colore” (Laura Salas Redondo, Carlos Cruz-Diez, El Color En El Espacio, Gli Ori, 2023).

L’ARTISTA

Carlos Cruz-Diez 1923 Caracas (Venezuela), 2019 Parigi (Francia). Carlos Cruz-Diez ha trentasette anni quando, nel 1960, decide di lasciare Caracas per stabilirsi a Parigi insieme alla famiglia. Dopo gli studi in accademia e una lunga esperienza come illustratore per riviste e agenzie pubblicitarie, capisce che solo in Europa avrà la possibilità di mantenere un dialogo costante con le nuove tendenze rivolte all’indagine delle dinamiche percettivo-sensoriali. L’inclusione nella seminale mostra collettiva “Bewogen Beweging” di Amsterdam nel 1961 dimostrerà che aveva ragione. Messe da parte le tecniche tradizionali apprese a scuola e le precoci prove con moduli geometrici in legno, in Francia la sua ricerca prenderà otto principali linee di azione sviluppate in un arco temporale piuttosto limitato, a testimonianza di una mente attiva e in costante sperimentazione. Il lavoro di Cruz-Diez è stato presentato in numerose mostre personali e collettive in tutto il mondo. Le sue opere fanno parte di collezioni prestigiose, Museum of Modern Art (MoMA), New York; Tate Modern, Londra; Musée d’Art Moderne de la Ville de Parigi; Centre Pompidou, Parigi; Museum of Fine Arts, Houston; Wallraf-Richartz Museum, Colonia; Geffen Contemporary, Museum of Contemporary Art (MOCA), Los Angeles; Hirshhorn Museum and Sculpture Garden, Washington, D.C.; Louisiana Museum of Modern Art, Humlebæk solo per citarne alcune. Tra i numerosi premi ricevuti: Presentation of Honoris Causa Doctorate posthumously to the artist Carlos Cruz-Diez, Central University of Venezuela, Caracas, Venezuela; Human Rights Friendly Personality, International Solidarity for Human Rights, Miami, Stati Uniti; Prize Penagos de Dibujo, Fundación Mapfre, Madrid, Spagna; Rank of Officer of the National Order of the Legion of Honour, Parigi, Francia; Golden Medal, Americas Society/Council of the Americas, New York, Stati Uniti; Gold Medal, Norwegian International Print Triennial, Oslo, Norvegia; International Painting Prize, IX São Paulo Biennial, San Paolo, Brasile; Grand Prize, III Bienal Americana de Arte, National University of Córdoba, Faculty of Science, Córdoba, Argentina.
Nel 2005 su iniziativa dell’artista e della sua famiglia prende vita la Fondazione Cruz-Diez, un’organizzazione no-profit dedicata alla conservazione, diffusione e promozione del patrimonio artistico e concettuale dell’artista.

EVA JOSPIN – “Vedute”

La prima mostra personale dell’artista francese Eva Jospin, figura di spicco della scena internazionale contemporanea.

Nata nel 1975 a Parigi, Eva Jospin realizza un costante gioco di scale che mescola grandiosità e minuzia, natura e cultura, in cui la profusione di dettagli ci spinge alla contemplazione e all’esplorazione.
Con “Vedute”, l’artista sottolinea la sua passione per l’Italia, ma anche per la storia dell’arte: la “veduta”, è generalmente un’opera grafica caratterizzata da uno o più punti di vista che mettono in risalto il paesaggio naturale o urbano. Le vedute dell’artista possono essere sia foreste impenetrabili oppure grotte ispirate ai giardini del Rinascimento, popolati da rovine, follie architettoniche e intrecci vegetali.
In queste opere, create per l’esposizione, si percorre un cammino fatto di materiali e tecniche diverse: una passeggiata nella pluralità delle pratiche, che segna l’inizio di questa nuova collaborazione tra l’artista e la galleria. Lo sguardo si perde e naviga tra le stratificazioni modellate in gesso e cemento, i disegni realizzati con inchiostro di china, il ricamo con fili di seta e, naturalmente, le imperdibili sculture in cartone alveolare.
Il paesaggio è uno dei temi centrali dell’opera di Eva Jospin: un paesaggio che, come definito da Pierre Wat, è una natura influenzata dall’uomo in cui l’essere umano è assente, ma nella quale si intuisce la memoria, la traccia, attraverso le rovine che rimangono dopo di lui.

Questa rovina, questa traccia è presente in Eva Jospin nella scultura “Grotte” (2023) in cui una vegetazione fittizia di liane e rovi si dipana in una caverna architettonica, richiamando le cavità dell’antichità e le grotte create per i giardini barocchi d’Italia e d’Europa, dove “la natura era rappresentata come un teatro alchemico, una fusione di artificio e spontaneità”1. La grotta di Eva Jospin si costruisce accumulando strati successivi di cartone, scolpendo per aggiunta, creando volume, per poi concentrarsi sugli ornamenti, sulle foglie, sui ramoscelli. Leviga e intaglia la materia. Sotto le mani dell’artista, il cartone si trasforma in roccia, la roccia si disintegra, le liane si aprono un tortuoso cammino nel cuore della cavità.

In “Stratificazioni 2” (2023) le pareti ruvide, realizzate con calchi di gesso e cemento, ricordano le scogliere calcaree erose dagli elementi. Queste pieghe successive sono strati, strati che portano in sé i segni del passaggio inesorabile del tempo e quindi della vita umana. Un omaggio alle architetture trogloditiche, dove l’uomo sfidava la montagna e si ritagliava uno spazio vitale nel cuore della pietra.

Spesso si verifica che un motivo centrale emerga nell’opera dell’artista. I boschi, le foreste relegati in secondo piano nei dipinti del Rinascimento diventano così il soggetto principale delle sculture di Eva Jospin. “La Forêt” (2023), densa e impenetrabile, appare nell’esposizione. Una foresta slanciata che si erge silenziosa dove gli intrecci dei rami creano uno spazio privo di presenze umane o animali eppure ricco di miti, storie e riferimenti, al nostro immaginario, alle nostre paure, a quel momento dell’infanzia in cui le fiabe cullavano le nostre notti.
Una foresta mentale che assume l’aspetto di una vegetazione in cartone, al confine tra il mondo industriale e quello naturale, declinata in tutte le sue possibilità, ritagliata con cura, levigata, assemblata. Il cartone rimane nudo, privo di colori, suolo arido, fossile di un’epoca passata. Ma basta guardare ai lati per scoprire gli artifici, vedere i sostegni, la profondità che si interrompe al contatto con la parete e assistere alla rivelazione dell’illusione. Il legno, dormiente, non è altro che un immenso diorama, una scenografia meticolosamente curata e lavorata, e non sorprende sapere che prima di studiare pittura, l’artista sognava di diventare scenografa.
Quest’artificio continua nei giardini ricamati dall’artista, dove l’abbondanza di dettagli si unisce per la prima volta all’abbondanza di colore. Le follie e i capricci architettonici sono tradotti in fili di seta in “Galleria” (2023) termine che significa contemporaneamente galleria d’arte, tunnel e passaggio coperto. Qui le referenze a diversi periodi temporali e influenze sono evidenti. L’artista convoca a turno la splendida sala dei ricami del Palazzo Colonna a Roma (scoperta durante il suo soggiorno alla Villa Medici), ma anche la pittura dei Nabis e di Édouard Vuillard, in cui figure e sfondo si mescolano in una stessa massa colorata, che si riflette qui nella ricchezza dei dettagli in seta. In “Galleria”, la successione di linee di fili colorati dà il ritmo e non manca di richiamare l’abbondanza dei tratti presenti nei disegni dell’artista.

Sebbene la sua pratica del disegno sia meno conosciuta, accompagna la vita dell’artista fin dai suoi esordi accademici all’École des Beaux-Arts di Parigi. L’opulenza dei dettagli, di quelle linee che sembrano incise con un bulino, evoca le antiche incisioni. Per l’artista, il disegno permette di evocare tre temporalità: il presente, durante la sua creazione; il passato, grazie ai molteplici riferimenti; il futuro, poiché spesso questi disegni diventano poi progetti di scultura o di ricamo.
Diplomata all’École Nationale Supérieure des Beaux-Arts di Parigi, Eva Jospin compone da una quindicina d’anni paesaggi forestali e architettonici che sviluppa in diversi medium. Nel 2015 è stata premiata dall’Académie des Beaux-Arts e nel 2017 è stata ospite della Villa Medici a Roma. Ha partecipato a numerose esposizioni di rilievo internazionale, tra cui al Palais de Tokyo (2014), al Palazzo Dei Diamanti a Ferrara (2018), al Museum Pfalzgalerie a Kaiserslautern (2019), alla Hayward Gallery (2020), all’Het Noordbrabants Museum a Den Bosch (2021) e più recentemente al Musée de la Chasse et de la Nature a Parigi per una mostra carte blanche all’interno delle collezioni permanenti (2021). L’artista ha svelato diverse installazioni monumentali e immersive, tra cui “Panorama” nel centro della Cour carrée del Louvre nel 2016, “Cénotaphe” all’Abbazia di Montmajour nel 2020, ha creato una straordinaria serie di pannelli ricamati per la sfilata di alta moda della Maison Dior nel 2021 (“Chambre de Soie”) e ha realizzato di nuovo per la Maison Dior l’ambientazione monumentale della sfilata prêt-à-porter primavera-estate 2023 (“Nymphées” 2022).

Tra le opere permanenti l’Installazione “Folie”, presso il Domaine de Chaumont-sur-Loire, inaugurata nel 2015, “La Traversée” a Beaupassage nel 2018 a Parigi e “Le Passage” a Nantes nel 2019. Nel 2022, Eva Jospin inaugura “Microclima”, una nuova installazione permanente concepita come un giardino d’inverno all’interno del negozio Max Mara Piazza del Liberty a Milano. Lungo tutto il 2023 saranno presentate più di una ventina di opere dell’artista, in medium diversi, nelle fiere d’arte contemporanea di tutto il mondo in occasione della carta bianca affidata all’artista da Ruinart. Questo percorso di opere entrerà in dialogo con la mostra personale di Eva Jospin presso la fondazione Thalie a Bruxelles nella primavera del 2023 (“Panoramà”), e successivamente con l’esposizione prevista a partire dall’estate del 2023 presso il Palais des Papes ad Avignone (“Palazzo”).

MICHELANGELO PISTOLETTO – “I Quadri Specchianti”

“I Quadri Specchianti”, è la nuova mostra di Michelangelo Pistoletto.
Questa personale costituisce la prima tappa di un grande progetto che attraverserà il mondo coinvolgendo le otto sedi di Galleria Continua, ognuna delle quali ospiterà una mostra dell’artista durante tutto il 2023, anno del 90° compleanno del Maestro.

Si tratta di un progetto intercontinentale, teso a mettere in luce l’arte di Pistoletto in ogni sua declinazione, dalla genesi a oggi. Sarà il racconto di un percorso attraverso le epoche: i momenti salienti della sua carriera e la lunga collaborazione con la galleria. Galleria Continua lo celebra come uno dei più importanti esponenti dell’Arte Povera e dell’arte contemporanea con un susseguirsi di personali su scala mondiale.

LE OPERE

Un viaggio attraverso l’esplorazione della pittura e dell’autoritratto utilizzando media diversi: dalla tela, l’acrilico, lo smalto plastico, l’oro, l’argento, la carta velina dipinta su acciaio inox lucidato, fino alla serigrafia su acciaio inox super mirror.
Alcune opere prodotte da Pistoletto tra il 1957 e il 1958 esposte a San Gimignano sono di particolare rilievo nell’evoluzione della sua attività. Tra queste “Sacerdote” (1957): una figura frontale, stilizzata geometricamente che ricorda la costruzione a punta di una cattedrale su tipico fondo oro delle icone.
In alcune opere realizzate nel corso del 1960 la persona, raffigurata frontalmente, in piedi e a dimensioni reali, vestita anonimamente in giacca e cravatta, assume un carattere sempre più immobile e inespressivo, come un prototipo di comune essere umano, mentre il fondo, sulla cui realizzazione va concentrandosi l’attenzione dell’artista, passa dalla ripetizione di segni decorativi al monocromo.
Ne sono esempi “Autoritratto Oro” e “Autoritratto Argento”, quest’ultimo costituito da due pannelli accostati in uno di questi la figura è dipinta su un fondo di color argento mentre l’altro pannello è interamente occupato dal fondo argento, uno spazio vuoto che sembra anticipare la parte della superficie metallica dei futuri Quadri specchianti destinata ad accogliere le immagini riflesse dello spazio circostante.
Nel 1961 avviene la svolta che porta ai Quadri specchianti. Dopo aver steso sulla tela un fondo nero e uno spesso strato di vernice trasparente, l’artista, apprestandosi a dipingervi il suo volto, si accorge improvvisamente di potersi specchiare direttamente sulla tela, senza bisogno di usare lo specchio per
osservarsi. Colpito da questa scoperta, realizza nel corso dell’anno con questa tecnica diversi lavori ritraendosi in posizione seduta, in piedi, di fronte e di spalle. Questi lavori sono tutti raggruppati nel titolo “Il presente”, a
indicare il rapporto di istantaneità che queste opere creano tra lo spettatore, il suo riflesso e la figura dipinta.
Il Quadro specchiante è fondamentale per l’opera di Michelangelo Pistoletto poiché in esso ritroviamo il passato e il presente. Ciò che lo spettatore vede davanti a sé, lo vede contemporaneamente anche dietro
di sé, e si trova quindi al centro di una doppia prospettiva: verso il futuro, attraverso il passato; e il passato penetra nel futuro. Non c’è più distinzione tra l’opera e lo spettatore, le entità coinvolte si moltiplicano: c’è la persona fuori dall’opera, la persona raffigurata sulla superficie, la persona che si specchia ed esiste nella sua molteplicità di reazioni all’opera; entrambi esistono insieme, uno di fronte all’altro. Il Quadro specchiante
è “un autoritratto del mondo”, che unisce l’osservatore e l’ambiente, favorisce l’incontro di poli opposti, offre una duplice prospettiva, mostrando cosa c’è davanti e cosa c’è dietro, oltre a creare uno spazio virtuale in cui arte e vita si fondono.
L’excursus espositivo si conclude con uno dei più recenti Quadri specchianti, “Qr Code Possession – Autoritratto” (2022), che raffigura l’artista ricoperto di “tatuaggi” di un Qr Code con all’interno un piccolo simbolo del Terzo Paradiso. Pistoletto definisce il tatuaggio come “(…) un antico metodo di comunicazione che
utilizzo oggi come mezzo di comunicazione artistico-tecnologico. L’autoritratto trasmette la mia identità ma anche quella della società contemporanea all’interno del quadro dell’infinito che può essere trovato in un Quadro specchiante”. I codici, una volta scansionati, portano l’utente a una serie di materiali e video online: conferenze e talks collegati al suo libro di recente pubblicazione, “La Formula della Creazione”, al lavoro presso
la Fondazione Pistoletto Cittàdellarte di Biella, a performance, solo per citarne alcuni.

INFO

CARLOS CRUZ-DIEZ
‘L’Euforia del Colore’

EVA JOSPIN
‘Vedute’

MICHELANGELO PISTOLETTO
‘I Quadri Specchianti’

GALLERIA CONTINUA | San Gimignano
Via del Castello 11, 53037 San Gimignano (SI), Italy 
Fino al 10 settembre 2023 | www.galleriacontinua.com

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