Mazzoleni Torino presenta due mostre personali: MASSIMO VITALI. con “Ti ho visto” e SALVATORE ASTORE con “Gli occhi della Scultura”.
MASSIMO VITALI – “Ti ho visto”
Nell’estate del 1994, scatta la sua prima fotografia in spiaggia a Marina di Pietrasanta. È la testata d’angolo, che segna l’inizio di una fortunata serie, che nei decenni lo ha consacrato come uno dei maggiori fotografi sulla scena internazionale. Qui compaiono già tutti gli elementi che caratterizzeranno il modus operandi di Vitali negli anni a venire. Il cavalletto, o meglio la piattaforma su cui l’artista si colloca è in acqua davanti alla battigia, rialzata rispetto al litorale di 5/6 metri. La macchina fotografica, l’unica che gli è rimasta dopo il furto di tutta la sua apparecchiatura, è una camera di grande formato (20×25), che determina l’impostazione narrativa dello scatto consentendogli di registrare con precisione ogni dettaglio. Di fronte a lui una pièce teatrale messa in scena da attori inconsapevoli, immortalati in un numero smisurato di minuscoli episodi.
L’artista, mosso da un intento sociologico e da spirito voyeuristico, individua la spiaggia come luogo privilegiato per compilare un manuale socio-antropologico dell’identità italiana.
La visione frontale e la posizione sopraelevata, il cosiddetto “punto di vista del principe”, gli consentono di cogliere ampi scorci paesaggistici e allo stesso tempo di addentrarsi nell’intimità delle interazioni umane. Dopo ore di paziente osservazione, Vitali sceglie il momento in cui apparentemente non succede nulla di decisivo, ma nel quale molte microstorie convergono. La luce fredda e biancastra ferma nel tempo e nello spazio persone, cose e luoghi. Ne risulta un ritratto impietoso della quotidianità in cui elemento naturale, sfera pubblica e dimensione privata si intrecciano in una sorta di cristallizzata sospensione temporale.
Sebbene il litorale di Vitali sia un puzzle chiassoso e colorato di bagnanti, costumi, sdraio e lettini, l’immagine nitidissima che ne risulta porta con sé la consapevolezza della storia dell’arte: il realismo descrittivo e minuzioso dell’ars nova fiamminga, la prospettiva rinascimentale, le scene panoramiche dei vedutisti settecenteschi, e naturalmente alcune iconografie classiche della pittura italiana ed europea, come quelle del bagnante e del tuffatore. L’occhio attento del fotografo-regista individua nella folla la versione moderna di queste figure iconiche. Uomini e donne del nostro tempo, corpi comuni, pallidi, abbronzati, tatuati, isolati o riuniti in piccoli gruppi, intenti a godere del proprio tempo libero con le loro posizioni sgraziate, non consci di essere ripresi, che si spogliano della quotidianità lavorativa e si mettono a nudo. Dietro l’apparente banalità di queste scene si nasconde la fenomenologia comportamentale della società contemporanea e i suoi cambiamenti nel tempo.
Le spiagge in molti casi sono litorali urbanizzati (Viareggio, Catania, Marsiglia) o industrializzati. Rosignano Solvey, piccolo comune in provincia di Livorno sulla costa Toscana, compare per la prima volta nelle fotografie di Vitali nel 1995 (Rosignano Fins). In primo piano le consuete figure dei bagnanti, sullo sfondo gli impianti dell’industria chimica Solvay, responsabile, con i suoi versamenti di bicarbonato di sodio e di agenti sbiancanti, delle note acque opalescenti e delle spiagge bianche del luogo.
Nei primi anni Duemila, Vitali ritorna su quelle spiagge per registrare abitudini e cambiamenti dell’umanità che ritrae, e poi ancora nell’estate 2020, quando l’artista intraprende un tour tutto italiano per osservare cosa è mutato nello stile di vita degli italiani in un’estate atipica che seguiva tre mesi di lockdown. A Rosignano, il tema dell’inquinamento ambientale lascia il posto ad un’indagine dai risvolti più sociologici, che mostra bambini e adulti di diverse, etnie e religioni e racconta la spiaggia come un luogo libero in cui l’inclusione sociale è pienamente raggiunta.
Tra le altre fotografie scattate in quei mesi del 2020, le prime immagini catturate sui litorali vicino a casa (Foce del Serchio Mirage e Marina di Massa capannina bianca – Vogue hope) sono molto lontane dall’esuberante vitalità dei precedenti scatti di assembramenti di vacanzieri. La smania di libertà si mescola allo spettro di una nuova chiusura. Lungo la battigia poche persone si muovono timidamente o prendono il sole in gruppi piccoli e ben distanziati. Il paesaggio naturale acquista ariosità a dispetto delle minute geometrie dei corpi, una sapiente misura regola la composizione, un equilibrio tra cielo, mare, terra e persone.
Con il passare delle settimane, gli scatti testimoniano un alleggerimento della tensione nel comportamento delle persone. Un atteggiamento più spensierato risuona lungo le rive del fiume Chidro (Chidro Esse) e la gloriosa pienezza dell’italianità esplode nella rocciosa Manarola. L’occhio vigile del fotografo mantiene il consueto distacco e immortala un caleidoscopio di piccoli mondi con una ricchezza di particolari che richiede all’osservatore una lettura prolungata.
Il percorso espositivo che si apre con la prima fotografia del 1994 messa subito in relazione con gli scatti più recenti, si snoda attraverso tre decenni di attività, spaziando dalle fotografie storiche (Viareggio Red Fins, 1995) a quelle più iconiche (Carcavelos Pier Paddle, 2016), dai paesaggi urbani (Friche de la Belle de Mai on Air, 2017) a quelli naturali, selvaggi e incontaminati (Ponta dos Mosteiros Dark, 2018).
L’elemento naturale che fa da contraltare al teatro universale umano, svolge un ruolo determinante nella dimensione narrativa, fungendo a dominare la composizione in scatti quali Desiata Shoe (2017) o nel dittico Firiplaka Red Yellow Diptych (2011). Qui l’immensità monumentale e pittorica della roccia giallo-rossastra diventa protagonista. Vitali la osserva dall’acqua e ne indaga le asperità e la meraviglia cromatica. Le figure umane, questa volta appena distinguibili, sono sagome accidentali che concorrono ad enfatizzarne la grandiosità, per arrivare fino a scomparire in opere ancora più radicali come Lençois Achrome. In questo achrome fotografico di manzoniana memoria, la sinfonia di bianchi e celesti rimane intatta e inabitata, sospesa in un tempo indefinito.
Spazi pieni e assembramenti si alternano a spazi vuoti, solitudini a moltitudini e divengono la materia prima plasmata dall’artista, che costruisce le sue trame, le pensa, le osserva, le registra, condividendo con il fruitore uno sguardo voyeuristico: il privilegio di vedere senza essere visti.
Le mie fotografie catturano la quotidianità. Istanti comuni che sono fermati e rappresentano anche una testimoninanza sociale e culturale del periodo.
L’ARTISTA
MASSIMO VITALI
Massimo Vitali nato a Como nel 1944. Terminate le scuole superiori si trasferisce a Londra dove studia fotografia al London College of Printing. Nei primi anni Sessanta intraprende la sua carriera come fotogiornalista, collaborando con molti giornali e agenzie italiane ed europee. In questo periodo conosce Simon Guttman, il fondatore dell’agenzia Report, un incontro fondamentale per la sua crescita professionale. All’inizio degli anni Ottanta, inizia a lavorare come direttore della fotografia per cinema e televisione. Nel 1995 dà inizio alla sua famosa serie dei panorami delle spiagge italiane. Attualmente vive e lavora a Lucca.
SALVATORE ASTORE “Gli occhi della Scultura”.
Fin dagli anni ’80 la pratica artistica di Astore si potrebbe definire come un minimalismo organico.
Al centro della sua ricerca vi è lo studio di problematiche quali: mateia, peso, forma, vuoto e, di conseguenza, pieno. La sua è un’analisi sensibile e determinata di forme, per usare le parole di F. Poli, “non originali, ma originarie, essenziali e primarie in quanto inscritte nella logica delle strutture organiche.”
L’atmosfera è ancestrale, le suggestioni che ne derivano vanno dai reperti fossili ai megaliti preistorici, da forme organiche legate all’uomo o al mondo animale, all’universo connesso alla Torino industriale e postindustriale dei metalli, nel caso specifico di Astore del ferro, dell’acciaio e, per la prima volta in questa mostra, del bronzo. “Tanto più è archetipica, pura la forma, tanto più gli altri potranno soggettivizzarla e farla propria in modi
diversi” afferma l’artista.
I suoi lavori sono in grado di parlare dell’Uomo in senso più ampio e profondo dell’espressione, della relazione fra uomo e mondo. Non a caso Anatomia umana è un omaggio a Leonardo Da Vinci colui che esemplifica questa indagine. Quelle di Astore sono presenze che “germogliano” ed evolvono nella mente, perché sono forme latenti nella nostra memoria gentica. Questa è la capacità di eloquenza formale che giunge a noi dopo quarant’anni di ricerca, ancora, come negli anni ’80, intensa e, mantenendo un proprio linguaggio formale, sempre nuova.
In questa personale da Mazzoleni si può fare esperienza di una specifica attitudine di Astore: quella della scala delle opere in rapporto agli spazi che le ospitano.
All’ingresso ci accoglie Grande calotta, un’opera storica del 1988 in acciaio inox saldato e satinato.
La scultura, a livello dimensionale, mette volutamente alla prova la parete che la ospita, dilatandosi quasi fino a toccarne i confini laterali. Da qui si passa nella prima stanza, dove Astore ha realizzato un’opera ambientale specificatamente concepita per questo spazio.
L’ “occhio della scultura” qui si spalanca, cresce di scala fino a confrontarsi, alla pari, con le proporzioni della stanza. Possiamo così attraversare questa soglia che diventa fisica: ingresso-attraversamento-uscita e viceversa.
Nella cosiddetta “sala del camino” l’artista continua a stupirci. Su una grande base bianca, come fosse un foglio da disegno, è posizionato un gruppo di nuove sculture, questa volta in una scala più ridotta rispetto al lavoro precedente. Sono realizzate in bronzo, materiale utilizzato da Astore per la prima volta. Il ricorso ad un materiale tanto classico quanto riconducibile al linguaggio della scultura è qui impiegato in virtù delle sue potenzialità plastiche e cromatiche.
Rispetto ai lavori degli ultimi anni, le forme si sono evolute, allargando il vuoto al loro interno.
C’è in atto un “alleggerimento della materia”. Nella medesima stanza sono poi esposti Sconfinamenti, nuovi disegni a matita e olio su carta che, fin dal titolo, partecipano in assoluta sintonia al progetto espositivo. In essi l’iconologia ormai riconoscibile della “calotta” viene sviluppata dall’artista con assoluta libertà segnica. Attraverso il disegno Astore sperimenta le infinite possibilità della Forma e riscrive una personalissima idea di spazio-tempo. Le linee si intersecano, si coagulano, si dilatano fino a saturare lo spazio bidimensionale del foglio in un ideale movimento che dalla superficie conduce alle profondità della materia.
Chiude la mostra una sala con le opere Sutura e forma (2019) e una stanza in cui Astore incontra Massimo Vitali, la cui personale è ospitata negli altri spazi della galleria Mazzoleni.
Disegno le mie calotte e i miei portali direttamente sulle lastre metalliche. È fondamentale il contatto diretto con i materiali e le saldature rappresentano in un tutt’uno minimalista la connessione con la fisicità umana.
L’ARTISTA
SALVATORE ASTORE
Salvatore Astore nasce nel 1957 a San Pancrazio Salentino, in provincia di Brindisi. Trasferitosi giovanissimo con la famiglia a Torino dove ancora oggi vive e lavora, dapprima si diploma al Liceo artistico della città e poi studia all’Accademia Albertina di Belle Arti.
Attivo già dagli anni Ottanta sulla scena italiana e internazionale, Astore ha privilegiato i linguaggi della scultura, della pittura e del disegno, dando vita a cicli di opere che corrispondono a periodi storici e fasi esistenziali diverse, accomunati però da un profondo desiderio di sperimentazione di tecniche e materiali legati al contesto urbano industriale, e da un interesse specifico per la condizione e il destino dell’essere umano.
Alla fine degli anni ’80 Astore inizia ad esporre le sue opere a Milano negli spazi di Valeria Belvedere. Viene invitato nel 1991 alla mostra Anni’90, a cura di Renato Barilli, Dede Auregli e Carlo Gentili, ospitata presso la Galleria Comunale d’Arte Moderna di Bologna, i musei Comunali di Rimini e la ex colonia “Le Navi” di Cattolica. L’anno seguente partecipa ad Avanguardie in Piemonte 1960-1990, curata dalle storiche dell’arte Mirella Bandini e Marisa Vescovo e nel 1996 alla XII Quadriennale di Roma.
In anni più recenti, dopo un ciclo di lavori pittorici, la scultura torna protagonista nel 2008 alla XIII Biennale di Scultura a Carrara, nel 2010 nella grande personale intitolata C’era una Volta e una Stanza, allestita presso la Fondazione 107 di Torino e nel 2011 presso il Frost Art Museum di Miami. Sette anni dopo la mostra Anatomico Organico Industriale, ancora alla Fondazione 107, mette in relazione il clima creativo della Torino degli anni ’80 approfondendo la ricerca artistica di Astore, Sergio Ragalzi e Luigi Stoisa. Sempre nel 2018 ricordiamo la mostra collettiva presso il Museo Ettore Fico di Torino 100% Italia, Cent’anni di capolavori.
Il rapporto decennale con la famiglia Mazzoleni si è consolidato attraverso diversi progetti curati dalla galleria, tra cui il ciclo di sculture in acciaio dal titolo Speciazione, installato presso il gran parterre della Reggia di Venaria, nell’ambito del festival ART SITE FEST (2019) e la scultura pubblica Anatomia Umana (2021) installata sull’angolo Giardini c.so G. Ferraris e Via Cernaia a Torino.
INFO
SALVATORE ASTORE. Gli occhi della Scultura
MASSIMO VITALI. Ti ho visto
12 April – 30 June 2022
Mazzoleni, Torino