Louise Nevelson: Senza titolo, 1964, c. Legno dipinto di nero, 216 x 241 x 49.5 cm [Photo: © Alessandro Zambianchi. Courtesy Gió Marconi, Milano]

Louise Nevelson a Palazzo Fava a Bologna: la scultura alchemica tra memoria, materia e identità

Palazzo Fava a Bologna ospita, per la prima volta in città, una mostra dedicata a Louise Nevelson, artista visionaria che ha saputo anticipare, con la forza della sua opera e della sua biografia, questioni oggi centrali: il ruolo della memoria, la sostenibilità creativa, l’identità femminile.

Curata da Ilaria Bernardi e promossa dall’Associazione Genesi in collaborazione con la Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna e Opera Laboratori, l’esposizione si inserisce nel più ampio progetto culturale Genus Bononiae.

Louise Nevelson: The Golden Pearl, 1962, legno dipinto d’oro

Tra storia personale e risonanze collettive

Nata a Kiev nel 1899 in una famiglia ebrea, Louise Nevelson approdò negli Stati Uniti ancora bambina, in fuga da un clima di crescente antisemitismo. La sua vita sarà un lungo percorso di emancipazione: dal matrimonio e la maternità vissuti come vincoli alla scelta radicale di dedicarsi interamente all’arte. Una decisione che la porterà, negli anni Cinquanta, a entrare nelle collezioni dei più prestigiosi musei americani e, nel 1962, a esporre nel padiglione statunitense alla Biennale di Venezia. La retrospettiva del 1967 al Whitney Museum di New York la consacrerà definitivamente come “grande dame” della scultura contemporanea.

Il percorso espositivo

La mostra a Palazzo Fava si articola in cinque sale, costruendo un vero e proprio lessico visivo per avvicinare il pubblico all’universo poetico dell’artista. Le sculture monumentali in legno dipinto, celebri per la monocromia rigorosa – nera, bianca, dorata – costituiscono il nucleo centrale del percorso.

Nella Sala Giasone emergono le grandi opere autoportanti, vere “architetture d’ombre” come il Senza titolo del 1964, dove il riuso di materiali quotidiani si fa costruzione simbolica e labirintica. Nella Sala Rubianesca, le cosiddette “porte” del 1976 – assemblaggi di oggetti aggettanti – dialogano con una scultura del 1959-60 che preannuncia il linguaggio di questi lavori. La Sala Enea propone invece rilievi piatti, nati dall’accostamento di elementi tipografici, accanto allo Sky Totem del 1973 e ad opere come Tropical Landscape (1975), in cui la geometria si apre all’evocazione paesaggistica.

Il cuore della ricerca di Nevelson, al di là del rigore formale, è la trasfigurazione della materia: un gesto quasi liturgico, che dalla sala Albani in poi diventa esplicito. Qui, collage e assemblaggi murali rivelano un uso radicale di materiali poveri e non convenzionali – carta vetrata, pellicola d’alluminio, cartone – in quella che Carla Lonzi definì una pratica di “distruzione-trasfigurazione”.

Segue la Sala Cesi, con una selezione rara di acqueforti e serigrafie, cui si aggiunge una video-intervista del 1978 registrata a New York nella Chapel of the Good Shepherd, spazio sacro interamente progettato dall’artista. È il passaggio simbolico dal nero originario alla luce dell’oro, che trova piena espressione nella Sala Carracci, dove la grande scultura The Golden Pearl (1962) e una serie di collage dorati chiudono la mostra, suggellando il percorso come un rituale di trasformazione.

Come scriveva Germano Celant, l’opera di Nevelson è “femminile e femminista”: nasce da un’esperienza storicamente esclusa – quella della donna – e risponde alla razionalità patriarcale con una visione arcaica, magica, alchemica. I materiali primigeni scelti dall’artista sono strumenti di un linguaggio scultoreo che, oltre a costruire forme, restituisce senso a ciò che è stato scartato.

Louise Nevelson ripropone nel suo lavoro un’analisi femminista della diseguaglianza di genere, producendo un’arte autenticamente femminile”

la curatrice della mostra Ilaria Bernardi.

In questo orizzonte si inserisce la scelta dell’Associazione Genesi di inaugurare con Nevelson una serie di mostre dedicate ad artisti storicizzati le cui vite e opere possano offrire nuove chiavi di lettura per le urgenze del presente. L’esposizione sarà accompagnata da una pubblicazione edita da Silvana Editoriale, primo volume di una collana monografica a cura di Ilaria Bernardi.

Educazione e partecipazione

Alla mostra si affianca un articolato programma educativo, fatto di visite guidate e laboratori per tutte le fasce d’età, con la partecipazione dei volontari del FAI – Ponte tra culture, che offriranno narrazioni personali connesse ai temi esposti. Un’app dedicata, sviluppata da Hidonix, completerà l’esperienza, fornendo strumenti digitali per approfondire i contenuti e accrescere la partecipazione.

L’artista

Ritratto di Louise Nevelson, 1973 [Photo: Enrico Cattaneo. Courtesy Gió Marconi, Milano]

Nata a Pereiaslav, vicino a Kiev nel 1899, Louise Nevelson migrò negli Stati Uniti con la famiglia nel 1905, stabilendosi nel Maine.
Dopo essersi trasferita a New York nel 1920, studiò presso la Art Students League.
Negli anni Trenta fu assistente di Diego Rivera, e più tardi insegnante d’arte con la Works Progress Administration.
Ebbe la sua prima mostra personale nel 1941 presso la Nierendorf Gallery di New York.
Nei primi anni Cinquanta viaggiò in Guatemala e in Messico per conoscere l’arte precolombiana. A seguito di questi viaggi, iniziò a creare le sue prime sculture in legno.
Nel corso dei quattro decenni successivi, divenne una tra gli artisti più rivoluzionari degli Stati Uniti, facendosi conoscere per le grandi sculture monocromatiche in legno composte da multipli elementi, spesso disposti in griglie di compartimenti geometrici. Profondamente legate ai risultati del Cubismo e del Costruttivismo, le sue opere incorporano combinazioni inaspettate di forme e di materiali.
L’eredità di questa grande artista americana vive, oltre che nell’attività della Louise Nevelson Foundation, anche nei musei e negli spazi pubblici delle più importanti città americane; ad esempio a New York un gruppo delle sue sculture monumentali in acciaio ha collocazione permanente in quella che è ora chiamata Louise Nevelson Plaza, nel Financial District della città.
Il suo lavoro è parte delle collezioni dei maggiori musei internazionali, tra cui il MoMa e Metropolitan Museum of Art di New York, la Tate di Londra, la GNAM di Torino, il Louisiana Museum of Modern Art di Humlebæk in Danimarca, il Moderna Museet di Stoccolma.

Info

LOUISE NEVELSON
30 Maggio 2025 – 20 Luglio 2025
Bologna, Palazzo Fava

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