La città di Gorizia si appresta a ridefinire la propria immagine culturale attraverso l’architettura dei dati. A partire da metà dicembre 2025, la DAG – Digital Art Gallery aprirà ufficialmente al pubblico all’interno della rinnovata Galleria Bombi, posizionandosi immediatamente come un’entità espositiva di risonanza continentale.

Questo progetto ambizioso trasforma lo storico corridoio in quello che sarà il tunnel digitale più esteso d’Europa: oltre 300 metri di percorso, con una sezione di 100 metri interamente rivestita da 1.000 metri quadrati di superficie LED di ultima generazione.
La DAG non è semplicemente una nuova galleria, ma una dichiarazione d’intenti sul futuro dell’esperienza fruitiva, concepita come uno spazio di immersione totale dove arte e tecnologia si fondono in una nuova sinestesia percettiva.
L’inaugurazione è affidata a Refik Anadol, figura ormai imprescindibile nel panorama della digital art e pioniere riconosciuto dell’estetica dei dati. Artista la cui traiettoria lo ha portato dalle installazioni site-specific al MoMA e al Centre Pompidou, fino a progetti di massa come The Sphere a Las Vegas,
Anadol utilizza l’Intelligenza Artificiale non solo come strumento di rappresentazione, ma come forza co-creativa che esplora le potenzialità scultoree del dato. La sua ricerca si concentra sull’impiego di algoritmi e machine learning per visualizzare l’invisibile, trasformando l’archivio digitale in materia formale.
L’OPERA
Per inaugurare la DAG, Refik Anadol ha sviluppato Data Tunnel, un’installazione immersiva site-specific che sfrutta l’intera estensione del nuovo LEDwall di Galleria Bombi. Al cuore dell’opera c’è il Large Nature Model, un modello di AI sviluppato dallo studio di Anadol per esplorare il rapporto tra esseri umani, ambiente e tecnologia. Il modello è addestrato su dataset ambientali pubblici — provenienti da istituzioni come la Smithsonian Institution e il Natural History Museum di Londra — che includono immagini, pattern naturali, frammenti di ecosistemi e trasformazioni biologiche. La scelta di usare esclusivamente dati open source riflette l’attenzione dell’artista per l’etica dei dati, la trasparenza e la responsabilità ambientale: nessun dato personale o proprietario viene utilizzato nella generazione delle opere. La potenza di calcolo del Large Nature Model è fornita da Google Cloud, impegnato a raggiungere emissioni nette zero entro il 2030, e da NVIDIA, i cui algoritmi di reti neurali e strumenti avanzati rendono possibili le rappresentazioni visive di nuova generazione dello studio di Anadol.
Data Tunnel non è pensato come un semplice contenuto visivo, ma come un gesto architettonico. Le forme si adattano allo spazio, alla sua curvatura, alla sua natura di passaggio; il flusso visivo valorizza la struttura storica del tunnel, trasformandola in una soglia tra memoria e futuro. Nel contesto di Galleria Bombi l’opera di Anadol mette in relazione passato e innovazione, architettura storica e media digitali, movimento delle persone e movimento dei dati. Il risultato è un’esperienza immersiva che non chiede al visitatore di fermarsi, ma lo accompagna: un percorso che diventa contemplazione. Attraversando la DAG, infatti, il visitatore viene immerso nei sogni latenti della natura tra texture botaniche, pulsazioni oceaniche e ritmi atmosferici, tradotti in un flusso visivo generativo.
Con la nascita di DAG, Gorizia restituisce vita a uno dei suoi luoghi più simbolici, trasformandolo in un ponte digitale tra memoria e innovazione, tra locale e globale, tra passato e ciò che ancora deve venire. DAG è uno spazio condiviso e aperto a tutti, capace di avvicinare la comunità ai linguaggi tecnologici e immersivi che stanno ridefinendo il modo in cui percepiamo l’arte, un progetto che guarda al futuro con la consapevolezza della propria storia, facendo della città un laboratorio permanente di creatività, arte e tecnologia.

In occasione della presentazione del progetto abbiamo incontrato Refik Anadol. Ecco le sue illuminazioni digitali.
L’INTERVISTA

Come nasce questo progetto e quali sono i suoi principi concettuali?
Il punto di partenza è stato il desiderio di connettere due estremità: non solo quelle fisiche della galleria, ma le due culture che si incontrano in questo corridoio simbolico. Lo spazio diventa un ponte tra mondi diversi, e il database, che è il più grande al mondo dedicato alla natura, ne è l’ossatura.
Per noi questo progetto è un tentativo di capire come utilizzare l’AI in modo sostenibile, evitando l’opacità che spesso circonda questi strumenti. La natura, dopotutto, è un’architettura di intelligenza: sopravvive, si trasforma, si adatta.
In questo senso la considero una forma di AI primigenia, anche se non l’abbiamo ancora pienamente compresa.
Il progetto raccoglie dataset da tutta Europa, generando milioni di immagini che si dispiegano nella galleria.A queste si intreccia la nostra tecnica di data painting, una pratica che affonda in una genealogia che parte da Michelangelo e giunge alle odierne superfici digitali. L’AI diventa un pennello che dipinge.
Qui, però, lo schermo non è più bidimensionale: lo spazio è tridimensionale, totalizzante. È la prima volta che lavoriamo con questa scala immersiva. Se alla Serpentine Gallery avevamo un muro, ora abbiamo un ambiente che ingloba lo spettatore: una tela architettonica che l’algoritmo ricalcola continuamente. Non è pittura, non è immagine: è una scultura di dati in trasformazione.
Abbiamo utilizzato esclusivamente energia sostenibile e integrato una colonna sonora che accompagna l’opera come un flusso respirante.
Questa installazione è parte dell’eredità culturale di GO2025. Che ruolo pensi possa avere su un’identità nazionale e su un luogo simbolico?
Amo molte dimensioni di questo progetto.
L’arte, oggi, vive un momento di metamorfosi radicale: software, hardware, sensori e macchine ridisegnano la nostra percezione della vita. Come artisti dobbiamo interrogarci su questo futuro, dare forma alle domande prima ancora che alle risposte.
Il Rinascimento è sempre stato una delle mie grandi ossessioni: la stampa, la scultura, le nuove tecniche che ridefinivano l’immaginario. Oggi la tecnologia svolge un ruolo analogo. Per questo considero fondamentale produrre opere che aiutino il pubblico a comprendere la velocità del cambiamento.
Il gesto pittorico tradizionale – pigmento su superficie – non è poi così distante da ciò che fa una rete neurale quando genera forme e cromie. Ma con l’AI ogni mattina è una prima volta: l’algoritmo vive una condizione di mutazione perpetua. Questo genera una narrazione visiva nuova, capace di inglobare arte, musica, architettura, cinema.
Vedo questa forma d’arte come una lente sul futuro: ricorda al pubblico che il mondo sta cambiando e che domande profonde – etiche, politiche, ecologiche – non possono più essere rinviate. La sostenibilità è parte integrante del nostro processo. Il mio ruolo, in questo contesto, è quello di un interprete del rapporto tra umanità e tecnologia: siamo pronti al futuro? Forse non del tutto, ma certamente più di ieri.
Nel tuo lavoro i dati diventano materiale poetico. Esiste ancora un confine tra informazione e immaginazione? E qual è il ruolo dell’artista in un mondo in cui i dati sono la memoria collettiva?
È una domanda cruciale. Credo che gli artisti siano specchi: riflettono il tempo che vivono, la gioia e la disperazione, i problemi e le speranze di una società. Nel mio caso, ho avuto la fortuna di iniziare a programmare a diciotto anni: la macchina è diventata subito un compagno di dialogo.
I dati, però, sono una materia che non vediamo. Eppure sono ovunque: sono identità, memoria, emozione, traccia. Prima lo scambio avveniva nel mondo fisico, attraverso la scrittura, la presenza, il tempo condiviso. Dopo la pandemia, una parte sostanziale della nostra esistenza si è spostata nelle reti: spazi digitali dove l’intangibile prende forma.
I dati sono diventati una lingua viva. Ogni gesto – telefonare, navigare, muoversi – produce dati. E questa lingua è ormai inseparabile dalla nostra esistenza. Ho visto nascere internet, ho visto l’evoluzione dell’AI e ora dei computer quantistici: un ciclo di venticinque anni in cui la tecnologia ha trasformato ogni paradigma.
Il mio compito, come artista, è ereditare questa storia e restituirla. Così come il pittore traduceva il mondo in pigmento, oggi traduciamo il mondo in informazione visiva.L’arte dei dati non è una deviazione: è la prosecuzione della storia dell’arte con altri mezzi. L’artista rimane un interprete del reale, solo che il reale oggi è fatto di dati tanto quanto di materia.
Tra tutti questi dati e questa tecnologia, qual è la cosa più umana che hai imparato lavorando con le macchine?
Innanzitutto credo che il futuro sia umano.
Non penso a un futuro dominato dall’AI: penso a una collaborazione. È in questo rapporto che trovo gioia e ispirazione. C’è però un equivoco diffuso: molte persone credono che l’AI funzioni come una sorta di magia — scrivi qualcosa e l’opera appare. Non è così.
Dietro ai nostri progetti c’è un team di 20 persone che parlano 15 lingue, provenienti da 20 paesi, italiano compreso. E quando lavoriamo sui dati, pulirli e curarli può richiedere anche un anno intero. Nessuna scorciatoia, nessun pulsante magico. L’arte nasce nel tentativo, nell’errore, nella reiterazione.Il mio lavoro cerca continuamente il lato umano del non umano: le emozioni, la sensibilità, ciò che ci rende vivi. L’obiettivo è trovare una lingua nuova che sia fonte di speranza e ispirazione, non di paura. Voglio che le nuove generazioni, o chi non ha mai utilizzato l’AI, possano avvicinarsi con curiosità e non con diffidenza. È una porta d’ingresso, non una minaccia.
DAG
DAG è uno dei lasciti alla città di Gorizia di GO! 2025 (Nova Gorica – Gorizia Capitale europea della Cultura 2025), l’appuntamento che per l’intero anno ha illuminato con arte, musica, cultura, enogastronomia il territorio del Goriziano – e di tutta la Regione Friuli Venezia Giulia – coinvolgendo quotidianamente migliaia di persone tra cittadini e turisti provenienti da tutto il mondo arrivati per visitare la prima Capitale europea della Cultura transfrontaliera.
EXHIBITION VIEW
L’ARTISTA

Refik Anadol (Istanbul, 1985), artista, regista e designer tra i principali protagonisti della new media art internazionale. Considerato un pioniere dell’estetica dei dati e delle applicazioni artistiche dell’intelligenza artificiale, Anadol vive e lavora a Los Angeles, dove dirige il Refik Anadol Studio e insegna al Dipartimento di Design Media Arts dell’UCLA. Nei suoi lavori, muri e soffitti sembrano dissolversi, le superfici diventano vive e interi edifici si animano grazie ai dati. Quello che solitamente rimane invisibile — flussi di informazioni, memorie, tracce digitali — prende forma davanti agli occhi dello spettatore, trasformandosi in immagini in movimento, luce e suono. Anadol costruisce così ambienti immersivi che invitano a guardare il mondo da una prospettiva completamente nuova. La sua non è soltanto un’integrazione della tecnologia nell’arte: è una vera e propria fusione tra spazio, dati e percezione, dove i media digitali diventano parte del linguaggio architettonico. I suoi progetti ridefiniscono l’idea di ambiente, che sia pubblico o privato, trasformandolo in un’esperienza sensoriale e collettiva. Le sue opere sono state presentate in istituzioni come il MoMA di New York, il Centre Pompidou-Metz, le Serpentine Galleries, la National Gallery of Victoria, Palazzo Strozzi, Ars Electronica e alla Biennale di Venezia, fino ai progetti monumentali sulla Walt Disney Concert Hall di Los Angeles o sulla superficie della Sphere di Las Vegas. La sua ricerca, che combina etica dei dati, sostenibilità, scienza e creatività algoritmica, è oggi un punto di riferimento globale per la fusione tra arte, architettura e tecnologia.
refikanadol.com
INFO
DICEMBRE 2025 – MAGGIO 2026
Giorni feriali: 10.00 – 16.00
Sabato, domenica e festivi: 10.00 – 19.00
GIUGNO 2026 – SETTEMBRE 2026
Giorni feriali: 15.00 – 21.00
Sabato, domenica e festivi: 14.00 – 23.00
OTTOBRE 2026 – DICEMBRE 2026
Giorni feriali: 10.00 – 16.00
Sabato, domenica e festivi: 10.00 – 16.00







