Michel Comte ci tiene a dire che di vite lui ne ha avute ben due, divise da un incidente assai serio. La sua prima vita è stata solo da fotografo, la seconda anche da artista contemporaneo a tutto tondo.
In mezzo, tra l’una e l’altra, un incidente accadutogli nel 2010, quando viveva ancora a Los Angeles, nel quartiere di Bel Air: aprendo in casa una grande scatola, un pezzo di metallo si spezzò e andò a frantumare le lenti dei suoi occhiali. E diverse schegge di vetro finirono nel suo occhio destro, facendogli perdere la vista. Sarebbe stato un doloroso dramma per chiunque, figuriamoci per un fotografo che sulla vista ha basato la sua carriera.
Un dramma dal quale è uscito a fatica, dopo molti anni e molte operazioni, fino a recuperare in parte la vista di quell’occhio.
Da allora Michel Comte, classe 1954, ha saputo virare con forza e volontà. E se è vero che è stato (ed è ancora) uno dei più grandi fotografi di moda al mondo, è anche vero che oggi è riuscito ad essere pure un grande protagonista dell’arte contemporanea, con mostre in tante parti del mondo, Roma, Londra, New York, Tokyo. Un’arte, la sua, legata alla terra, che denuncia il declino ambientale e il cambiamento climatico, che esalta la potenza e la meraviglia della natura, come risultò anche da una grande mostra del 2017 a Milano, organizzata alla Triennale.
Un sentimento artistico-ecologico che in fondo è proprio di famiglia, visto che il nonno Alfred fu un grande aviatore capace, nel 1914, di volare con il suo biplano sopra le Alpi per fotografare e catalogare tutti i suoi meravigliosi ghiacciai.
Michel, come ha restaurato la sua vita dopo l’incidente all’occhio?
Mi sono ricordato che il mio primo apprendistato da ragazzo fu proprio nella bottega di un restauratore. Un mestiere che mi è sicuramente servito appunto per “restaurare” le fratture della mia vita e della mia carriera.
Lei ha lasciato Los Angeles dopo l’incidente e ora è tornato in Svizzera…
Si, ora preferisco vivere in un piccolo paese vicino al lago di Zurigo, Uetikon am See: da queste parti io sono nato nel 1954, e quindi posso dire che ho voluto ritornare alle mie origini svizzere dopo decenni come giramondo
Cosa è stata per lei la fotografia di moda?
Un modo di vita. Un diverso modo di vita. Ho lavorato quasi con tutti, e sempre con esperienze molto profonde. Esperienze che sono spesso durate venti o trenta anni con le stesse persone.
Eppure l’etichetta di fotografo di moda non le è mai piaciuta…
Non sono mai diventato fotografo per essere solo fotografo di moda. Non ho mai fatto il gioco della moda, ho imparato però a vivere in quel mondo. Non lo rinnego certo. Ma ho percorso quella strada a modo mio.
Chi è stato il suo primo cliente? E l’ultimo?
Il primo è stato Chanel, per volere di Kark Lagerfeld.E l’ultimo sempreChanel, grazie a Franca Sozzani. Con lei ho avuto 30 anni di grande amicizia.
Quali persone fra quelle incontrate ricorda con più piacere?
Numero uno, la Louise Bourgeois, una delle donne più importanti per innocenza, la forza e il talento infinito. Poi sempre Franca Sozzani.
Delle sue foto hanno scritto spesso che sono scatti di vita, di arte e di emozione, foto che esaltano l’anima. Lei però è uno noto anche per lavorare rapido…
Il complimento mi piace, ma devo confermare che quando lavoro sono molto rapido. Tanta gente pensa che ci voglia tempo per fare belle foto, ma non si rende conto invece che io ho già scattato e finito. Non serve perdere ore e ore…
La sua carriera di fotografo di moda l’ha portata a grandi successi ma anche a grandi stress, immagino.
Si, è stato un periodo di grandi lavori, di grande energia, giravano anche tanti soldi e la gente aveva voglia di innovare, di creare cose nuove, si andava di qua e di là di continuo. Sa che ho fatto 1330 voli a bordo del Concorde? Tutto perché bisognava stringere i tempi, essere a Roma e poi a Rio, e poi di nuovo a Londra, tutto nel giro di un paio di giorni.
Certo stupisce sapere che lei è stato anche un fotografo di guerra e un regista…
Si, sono stato in Ruanda, Iraq, Cambogia, Sudan, Haiti, Tibet, Bosnia, Afghanistan, ho visto cose orrende e ho documentato molto per la Croce Rossa e per Terre des hommes. La vita facile non mi è mai piaciuta.Quanto alla regia, ho diretto una pellicola che s’intitola The Girl from Nagasaki, e la protagonista è mia moglie giapponese Ayako Yoshida, che poi è anche la mia stretta collaboratrice.
La domanda è delicata: quanto le ha cambiato la vita l’incidente all’occhio?
Certe volte ho pensato che il destino, dietro un incidente o una malattia, può di colpo cambiarti la vita, anche in meglio. Alcune volte ho detto che il mio incidente è stato quasi una benedizione. Mi è capitato quando già stavo pensando di fare qualcosa di diverso, ma non osavo ancora. Ecco, l’incidente mi ha costretto a rivedere la mia vita, mi sono rimesso in discussione e ho voluto ricominciare da zero.
Lei stava allestendo ai confini fra Turchia e Siria un’enorme installazione artistica che avrebbe dovuto, una volta finita, essere visibile anche dallo spazio. Poi cosa è successo?
E’ successo che il terremoto, il cui epicentro è stato proprio in quella regione, ha distrutto tutto il lavoro fin qui realizzato. Ma voglio ricominciare, non mi do per vinto. Devo però capire cosa si può salvare, devo per forza ripensare tutto il progetto.
Qui in studio ora su cosa sta lavorando?
Su 72 grandi quadri. Il progetto si chiama Seventy seasons e sarà finito l’anno prossimo. Lavoro su questa cosa tutti i giorni e tutte le notti. Sto anche pensando di creare un Museo del Futuro, a Hiroshima.
Lei ora indossa degli occhiali particolari, dalla montatura spessa. Dove li ha trovati?
Li ho ideati io, sono occhiali firmati Michel Comte prodotti qui in Svizzera. Belli vero?
Ma la fotografia per Michel Comte che fine ha fatto?
Non l’ho dimenticata. Ho un progetto in mente, qualcosa di monumentale, fotografie giganti che saranno visibili nello stesso momento in tutto il mondo, da Londra a Hong Kong, da New York a Los Angeles. Saranno dei ritratti. Molto originali. Non dico altro.
Lei si sente un uomo fortunato?
Si. Non ho mai voluto fare molti compromessi, cosa davvero non facile. Ho avuto la fortuna poi di lavorare scegliendo le cose giuste. Si, posso dire che sono stato davvero molto fortunato.
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