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Intervista – IVA LULASHI: la libertà di espressione dei gesti e degli impulsi sessuali

La liberà è il centro poetico e creativo dell’opera di Iva Lulashi, artista albanese alla quale è stata affidata di rappresentare l’Albania alla Biennale di Venezia.

Libertà dei corpi, del pensiero, degli atti, della sessualità e dell’erotismo.
Una forza espressiva e liberativa che mette l’osservatore davanti ad una arte ricca di espressività, di emozioni e di passionalità realizzata senza infrastrutture e preconcetti che ne limitano gesti e pensieri.

L’opera di Iva indaga e attraversa i nostri desideri e i nostri impulsi più intimi e segreti scoprendoli, manifestandoli e rendendoli visibili in tutta la loro abbagliante necessità, leggerezza e potenza passionale.

L’INTERVISTA

Il centro delle tue opere realizzate per il Padiglione Albanese della Biennale di Venezia verte sulla “teoria del bicchiere d’acqua”, teoria basata sull’idea di una rivoluzione sessuale in cui gli impulsi vengono visti come una semplice necessità umana che deve essere soddisfatta con la leggerezza e spensieratezza con cui siamo soliti bere un bicchiere d’acqua.
Ci racconti come nasce questa idea?

Antonio Grulli, il curatore del padiglione, mi ha chiesto di pensare insieme a lui ad un titolo, e mi è venuta in mente questa frase, che avevo già usato in passato per una serie di opere.
Devo ammettere che Antonio l’ha accolto subito, oltre che per il suo significato poetico-sensuale, anche per quello storico citato nella tua domanda.
Teoria che nel contemporaneo apre sicuramente molte porte di pensiero e ancora molto attuale.

Pensi che nel mondo attuale sia applicabile questa teoria? E quali sono i principali ostacoli che incontrerebbe la sua applicazione?

Il fatto che negli anni questo desiderio di rincorrere la libertà di espressione dei gesti e impulsi sessuali continui a reiterarsi, già ci porta a pensare che gli ostacoli siano ancora tanti e che abbiamo fatto dei passi lenti.

L’amore, il desiderio – soprattutto femminile – la pulsione e la sessualità sono al centro del tuo lavoro. Chi sono i personaggi che rappresenti? E cosa ci vogliono comunicare?

Tendo a non dare un’identità definita, per cui spesso i volti non si vedono, sono corpi, movimenti, gesti o atti che delle volte si fondono con la natura ed altre volte con il calore o sono immersi nel buio di uno spazio chiuso. Mi interessa molto creare un’atmosfera in cui si legga realmente tutta la mia ricerca sulla sensualità.

Le tue immagini pittoriche sono soprattutto corpi femminili che suggeriscono situazioni potenzialmente legate all’atto erotico ma senza mostrarlo esplicitamente, un “subito prima” o un “subito dopo”. Il risultato è il racconto di una tensione, di un pathos forte, deciso ma al tempo stesso poetico. Come nasce il tuo processo artistico?

Tramite frame di video erotici o pornografici, ne raccolgo molti in diverse cartelle confuse e disordinate per poi ripescarli secondo l’intuizione del momento. Guardando l’immagine sul computer, vado poi a rappresentarla sulla tela seguendo la mia interpretazione.

Nei tuoi dipinti utilizzi generalmente tratte da fotogrammi di film e video erotici e pornografici. Il porno on line, soprattutto tra gli adolescenti, sta sempre più creando una visione distorta e inquinata della sessualità e dell’erotismo. Cosa ne pensi a riguardo?

Credo di fare ricerca soprattutto sul porno vintage perché in quel caso c’è una presentazione del sesso che lascia spazio anche ad una lettura più soft e meno consumata.
Questo è un mio modo di applicare al porno che credo possa far capire cosa ne penso a riguardo.

Pensi che un artista debba prendere posizione ed esprimere le proprie idee attraverso il proprio lavoro?

Sicuramente molti artisti sentono la necessità di farlo in maniera più diretta, ma credo che bene o male ognuno lo faccia anche se non esplicitandolo.

Potresti elencare i tuoi cinque artisti preferiti di tutti i tempi?

Le mie preferenze cambiano e si rinnovano continuamente, ma ti faccio i nomi di 5 artisti che mi hanno colpito il mio primo anno di Accademia. Caravaggio, El Greco, Francis Alys, Marlene Dumas, Luc Tuymans.

Ricordi la prima mostra che ha illuminato la tua visione artistica? E l’ultima?

Sinceramente non mi ricordo la prima, quando ho scoperto l’arte ero già abbastanza grande e probabilmente quello che capivo meno e che mi faceva quasi paura scoprire era ciò che mi piaceva di più.
L’ultima mostra che ho apprezzato molto è stata quella di Victor Mann a Torino alla Fondazione Sandretto, e anche quella di Nicolas Party a New York da Hauser & Wirth.

C’è un desiderio artistico che non hai ancora esaudito?

Molti, ma nulla per cui non abbia la pazienza di aspettare.

Cosa pensi dell’intelligenza artificiale applicata all’arte? Può la tecnicità superare
la creatività?

Credo che l’essere umano possa usarla come mezzo, ma di per sé non supererà mai la creatività.

Quando è stata l’ultima volta che hai fatto qualcosa per la prima volta? E soprattutto, cosa hai fatto?

La Biennale.

Se fossi il redattore di una rivista d’arte, chi vorresti che comparisse in copertina? E perché?

Ci ho pensato, ma desidero solo fare una lunga lista delle persone che hanno fatto parte e mi hanno aiutata con il Padiglione Albania. Sono ancora molto colpita dal duro lavoro che ho visto svolgere.
Per raccogliere tutti scrivo Antonio Grulli, Alessandra Biscaro e Giuseppe Iannaccone.

LA GALLERY

L’ARTISTA

Iva Lulashi portrait ph. Andrea Rossetti

Iva Lulashi nasce a Tirana nel 1988. Vive a Milano, dove si è trasferita dopo essersi diplomata nel 2016 presso l’Accademia di Belle Arti di Venezia, in cui ha frequentato l’Atelier F diretto dal professore Carlo Di Raco.
Iva Lulashi trae ispirazione dalla cultura visiva dell’era comunista nella sua nativa Albania.

Iva Lulashi rappresenta l’Albania alla 60ª Biennale di Venezia. Il lavoro di Lulashi è stato esposto, in particolare, nelle mostre personali: “Where I end and you begin”, Prometeo Gallery (Milano, 2023); “Passione Cola Passione Scorre”, Prometeo Gallery (Milano, 2021); “Libere e Desideranti”, Oratorio dei Disciplinati di Santa Caterina (Corniglia, 2021); “Vicino Altrove”, doppia personale con Regina José Galindo, Prometeo Gallery (Milano, 2020); “Love as a glass of water”, Salzburger Kunstverein (Salisburgo, 2018); “Eroticommunism”, Prometeo Gallery (Milano, 2018); “Frames”, Villa Rondinelli (Fiesole, 2017); “Where I feel there I am”, Trart (Trieste, 2016).

https://www.instagram.com/ivalulashi/

ILPADIGLIONE ALLA BIENNALE

La “teoria del bicchiere d’acqua” risale al periodo pre-rivoluzionario russo, ed è legata alla pensatrice radicale e femminista Alexandra Kollontai (San Pietroburgo, 1872 – Mosca, 1952). Si tratta di una teoria basata sull’idea di una rivoluzione sessuale in cui gli impulsi vengono visti come una semplice necessità umana che deve essere soddisfatta con la leggerezza e spensieratezza con cui siamo soliti bere un bicchiere d’acqua. Ebbe una grande influenza sui circoli artistici e letterari di quegli anni, ma venne da subito osteggiata dagli apparati politici rivoluzionari.


La metafora del bicchiere d’acqua può sembrare a prima vista riferita solo all’aspetto della semplicità con cui si beve. Ma non bisogna dimenticare che l’acqua è la base della vita, esattamente come l’amore. Ed è strano che tematiche come l’amore e il desiderio sessuale ricoprano una minima parte dell’arte che viene prodotta ed esibita oggi, quasi si trattasse di tabù o di argomenti di poco conto. Amore, sesso e desiderio sono ancora oggi l’ultima grande forza eternamente rivoluzionaria, per sua costituzione, sulla quale il potere, sia esso politico, economico o ideologico, non riesce a imporre in maniera ferma il proprio controllo. È una forza sovrapolitica e esistenziale, simile a quella dell’acqua: inafferrabile, talvolta pacifica, ma in grado di abbattere qualsiasi ostacolo.

Perché un sentimento così essenziale, in grado di dare un senso o rovinare la nostra esistenza, anche più delle questioni politiche, viene trattato così poco dagli artisti?
Iva Lulashi si inserisce in questo grande vuoto dell’arte: l’amore, il desiderio -soprattutto femminile – la pulsione e la sessualità sono al centro del suo lavoro e sono soggetti universali in grado di trascendere le differenze e di superare i confini, non solo geografici.

Le immagini dei suoi dipinti sono generalmente tratte da fotogrammi di film e video, solitamente poco noti, che fungono da detonatore iniziale del dipinto e dai quali l’artista si allontana tagliando il cordone ombelicale con l’ispirazione iniziale. Sono popolate soprattutto da corpi femminili e suggeriscono situazioni potenzialmente legate all’atto erotico – quasi fossero un “subito prima” o un “subito dopo” – senza mostrarlo esplicitamente. L’abilità nel trovare e ricreare immagini è uno dei punti di forza dell’artista. I dipinti emergono per la loro attitudine “fotografica”, ma ad uno sguardo più attento si manifestano come fortemente pittorici, fatti di una liquidità livida, di pennellate
sintetiche e prive di ogni leziosità, che lasciano molte parti del quadro volutamente non risolte e quasi astratte. Sono un canto al desiderio femminile, con tutto quello che ancora si porta dietro in termini di forza, paura, speranza, voglia di libertà, lati oscuri, vitalità: tematiche inscindibili da un passato non ancora passato, carico di problemi e di questioni politiche globali, con cui dovere fare i conti ogni giorno e ogni notte.
Nelle parole del curatore della 60. Esposizione Internazionale d’Arte – La Biennale di Venezia Adriano Pedrosa “Stranieri Ovunque ha (almeno) un duplice significato. Innanzitutto vuole intendere che ovunque si vada e ovunque ci si trovi si incontreranno sempre degli stranieri: sono/siamo dappertutto. In secondo luogo, che a prescindere dalla propria ubicazione, nel profondo si è sempre veramente stranieri. […] In occasione della Biennale Arte 2024 si parlerà di artisti che sono essi stessi stranieri, immigrati, espatriati, diasporici, émigrés, esiliati e rifugiati, in particolare
di coloro che si sono spostati tra il Sud e il Nord del mondo”.

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