Intervista: Irene Panzani – Alle porte della Giungla

Tenue e sottile, Irene Panzani siede al tavolo della sua cucina. Tutto nei suoi modi è minuto e misurato, dai sorsi sporadici che accorda al bicchiere alla presa che adopera nel servire il cibo, che maneggia con la cura di chi sta allestendo un bouquet.

Mancano ormai pochi giorni alla schiusa di Giungla Bucolica, quarta edizione del festival omonimo. La rassegna, che accoglie ogni anno l’incontro di artisti contemporanei, accademici e scienziati, rimane fedele alla sua linea teorica: il rapporto controverso e irrinunciabile tra la ratio umana – col suo corollario tecno-artigianale – e l’entropia generativa della natura. Irene, che di Giungla è curatrice e fondatrice, risponde ad alcune domande.

Partiamo dal nome: qual è la definizione che dai al termine “Giungla”? Perché Giungla?

Avevo riscoperto da poco l’Orto Botanico di Lucca, la mia città. È un luogo in cui solitamente si portano le scuole elementari, dopodiché la maggior parte dei lucchesi, devo dire, non torna più così spesso. Questo giardino così ordinato è di fatto un Museo, in cui c’è valorizzazione e promozione di patrimonio, in questo caso naturale. Bene, passeggiando con degli amici ci era venuto in mente di fare qualcosa, qualcosa che fosse un’esposizione, un’installazione. Sulla base degli interrogativi che ci eravamo posti in quel momento, io e gli artisti con cui stavo visitando l’Orto, parlavamo di geni, di memi, di una “giungla di significati”. “Giungla” è dunque sembrato un termine appropriato, anche perché è una parola adoperata spesso metaforicamente, no? Giungla urbana, Giungla di cemento, si parla in musica jazz di Jungle Style. In seguito ho voluto informarmi sull’etimologia – è un esercizio che mi piace fare da sempre – e ho scoperto che “giungla” deriva dal sanscrito. In origine significa “luogo deserto”, che è l’opposto a quel che pensiamo essere una giungla oggi. D’altra parte deserto sta anche per “mancante di esseri umani”, inospitale per l’essere umano. E questa cosa era interessante perché, quando uno pensa al concetto di natura, c’è sempre un grande assente che siamo noi, i parlanti, noi umani che evidentemente ci dimentichiamo a volte di esserne parte, in quanto mammiferi. E questo è il significato che dò alla parola, è questo il senso di un festival che si chiama Giungla e di una giungla in un Orto Botanico: riflettere sul concetto di natura passando da un luogo estremamente razionale, almeno in apparenza; e dall’altra parte, avere una giungla immaginata come selvaggia, e tuttavia non sempre: perché sappiamo bene che qualsiasi tipo di paesaggio è in realtà sempre alterato dall’essere umano. Queste sono le idee che si celano dietro a questo nome.

Che poi la giungla a livello geografico… è in quel suo particolare ecosistema che si sviluppa la maggior parte delle forme di vita.

Assolutamente. È un ambiente estremamente fertile, molto fitto e folto. Nella prima edizione di Giungla era presente un amico, docente all’Università di Padova, Luca Pagani. Il quale spiegava quanto sia difficile parlare della giungla nei secoli passati, perché non si hanno resti di carcasse, di ossa o di utensili: spesso la vegetazione così fissa non ha permesso che questi resti sedimentassero sul terreno. Quindi è anche interessante dal punto di vista della memoria, no? Della conoscenza e della memoria.

Nelle rassegne precedenti Giungla si è sempre mantenuta in delle singole locations. Giungla Bucolica invece è dislocata in più punti. Come mai stavolta abbiamo una Giungla diffusa?

Giungla è un festival che è nato dalle ragioni che ho menzionato prima, ovvero da una visita all’Orto Botanico e dalla voglia di un gruppo di amici di proporre delle attività artistiche lì all’interno. Tutto è stato molto spontaneo, però sin da subito ci si è posto il problema di trovare i mezzi, le risorse economiche e umane per supportare la nuova produzione. Una produzione artistica contemporanea, di artisti italiani e anche internazionali. Un progetto di lungo periodo quindi, quello di produrre sempre più opere, opere pensate specificatamente per questo territorio, per la Lucchesia, collegate all’eredità culturale di città e Provincia. E Siamo partiti immaginando un festival perché, anche dal punto di vista della comunicazione, gli sforzi possono concentrarsi in un breve periodo di tempo. Però l’immagine, la visione che ho e che condivido con gli altri soci e volontari dell’Associazione, è quella di rendere Giungla più una prassi di lavoro e riflessione, una forma di accompagnamento per la produzione e la ricerca degli artisti. Il fatto di diffonderla anche nello spazio è un modo per trovare nuove alleanze, anche territoriali, con altri soggetti pubblici e privati. Nel migliore dei mondi possibili, di qui a un paio di anni si potrebbero investire più luoghi, più tempi, magari proponendo un programma pubblico concentrato in uno o più momenti dell’anno, con residenze artistiche nei periodi morti della stagione. Penso a delle attivazioni pubbliche, alla possibilità di visitare su appuntamento le opere, a dei laboratori, a degli incontri diffusi su tutto l’anno.

D’altronde, trattandosi di una rassegna che indaga il rapporto tra essere umano e natura, ha anche molto senso il fatto di creare delle opere sitespecific, quindi condurre i visitatori alla scoperta del nostro paesaggio.

Il festival diventa un “pretesto” per far conoscere al pubblico diversi luoghi del territorio, dunque valorizzare il paesaggio circostante. Quest’anno, col fatto che Giungla è bucolica, c’è un riferimento a ciò che è campestre, alla campagna. Non potevamo limitarci a opere e proposte che provenissero soltanto dal Centro Storico. Abbiamo sentito la necessità di uscire dalle Mura.

Ha pienamente senso. Io so che questa rassegna ha un’anima filosofica. Tu vieni da studi filosofici, quindi parti dalla filosofia. Giungla è un metodo di ricerca, è uno studio. Com’è arrivata questa attitudine trasversale del festival, tra la filosofia e l’arte?

Diciamo che il festival risponde, come hai ben sottolineato tu, alla formazione che ho avuto, che è stata in filosofia dell’arte, poi cura dell’arte contemporanea e mediazione arte e pubblico. Nell’approccio alla curatela ho sempre avuto un’attitudine insofferente al principio storico-cronologica da “esposizione di artisti italiani, di artisti francesi, di artisti turchi”. Piuttosto, mi ha sempre interessata la ricerca artistica come parte integrante dell’indagine che tutti quanti facciamo della realtà esistenziale. Per me Giungla è inserire la produzione e l’investigazione artistica all’interno di un programma inclusivo, con ospiti dal mondo dell’etnobotanica, della filosofia, dell’architettura. E tutti costoro partecipano ponendosi delle domande filosofiche, delle domande di senso. Per me è una cosa naturale, non riesco a pensare altrimenti e vedo con piacere che quando mi ritrovo a contattare degli artisti o dei ricercatori che magari prima conoscevo solo attraverso le opere, la maggior parte delle volte la loro risposta è positiva. È come se aderissero a un pensiero, a una maniera di fare. E per questo spesso parlo di creare una comunità in crescita: perché tutte le persone che passano da Giungla è come se continuassero a nutrirne i contenuti, o perché tornano o perché continuano a ispirare i contenuti delle “Giungle” che verranno. Alla fine la filosofia è l’amore per la conoscenza. E l’arte, per la maggior parte, è un modo per conoscere e per esprimere quel che nasce dall’esperienza, dalla vita, dall’essere e dal divenire.

Difatti anche l’espressione artistica è in qualche modo un metodo euristico. Senti, sempre parlando di filosofia: ci sono dei filosofi in particolare che hanno indirizzato il tuo pensiero per quanto riguarda Giungla?

C’è una sedimentazione di filosofi, ma anche di scrittori, di film, di poesie che nutrono ogni anno il mio pensiero di Giungla. Spesso li condividiamo anche con gli altri volontari e soci. C’è una sorta di “affinità elettiva” quando si parla di associazionismo, ci si associa e ci si incontra per dei motivi ben specifici. Sicuramente, parlando di comunità, mi viene in mente Ivan Illich: l’importanza di creare dei contesti che siano conviviali: convivialità, convivenza… Per quanto difficili e momentanei possano essere, c’è sempre questo tentativo di creare degli ambiti di incontro. Poi mi vengono in mente tante cose: letture inerenti la storia dell’architettura, i contesti urbani il paesaggio; e anche libri, fiction, romanzi. La seconda edizione che abbiamo proposto, Giungla Domestica, è nata da un’intuizione a cui è seguita la scoperta di un libro che è fuori stampa, di cui tra l’altro stiamo ancora cercando di capire di chi sono i diritti perché ci piacerebbe ristamparlo. Il titolo è per l’appunto Giungla Domestica, di una scrittrice di sciencefiction di Parma, che è scomparsa diversi anni fa. Si chiamava Gilda Musa. Parla giustappunto di un Orto Botanico. E poi c’è Libereso Guglielmi, il giardiniere di Italo Calvino, che ho scoperto tramite l’opera di un’artista presente quest’anno, Gabriella Ciancimino. Sono felice perché l’ho conosciuta proprio tramite quel video, che ho visto ad Artissima, a Torino, penso nel 2015. E la porto qua a Lucca con quest’opera. Così ho scoperto che Calvino aveva dedicato un racconto a questo suo giardiniere anarchico, che si chiama Un pomeriggio Adamo. Quindi è una grande ragnatela che si crea, tante connessioni che si fanno nel tempo.

Le varie rassegne hanno sempre avuto un tema: c’è stato quello della casa, c’è stato il tema della Luna e quest’anno c’è il tema bucolico. C’è un metodo dietro la scelta di questi temi? C’è una progressione, oppure prima individui gli artisti e il materiale di cui puoi disporre e successivamente estrapoli un tema? Come funziona?

Non c’è una sola risposta. La prima edizione, in quanto tale, l’abbiamo chiamata Edizione Zero, anche perché è stata in piena pandemia – il giorno dopo entravamo nella zona gialla – Era perlopiù riflettere sul termine “giungla”. Cosa significa “giungla” in un Orto Botanico? L’anno seguente, pochi mesi dopo la fine dell’Edizione Zero, abbiamo iniziato a parlare di quella seguente con un gruppo di ragazzi, all’epoca studentesse e studenti dell’Università di Pisa in filosofia. Partendo da un brainstormig abbiamo pensato alla Giungla Domestica, forse anche per il fatto che eravamo in lockdown. Successivamente, come ti dicevo, abbiamo scoperto il libro di Gilda Musa. Da lì poi è nata, non la scelta degli artisti – perché quell’anno abbiamo allestito soprattutto nuove produzioni, c’era soltanto un’opera già pronta durante il lockdown dell’anno precedente. Nel primo contatto con gli artisti e gli ospiti spieghiamo qual è il contesto, inizialmente in maniera abbozzata; in seguito questa cornice di significato si amplia e si nutre di ciò che aggiungono coloro che invitiamo. Giungla sulla Luna è nata perché due artiste, una che abita in Finlandia e l’altra in Olanda, erano venute a vedere Giungla Domestica – avevamo vinto un bando europeo, i-Portunus, per la mobilità degli artisti in Europa. Avevano pensato di realizzare qualcosa attorno al termine della Luna perché, nella serra dell’Orto Botanico, avevano visto una serie di segni circolari: i segni dei vasi che si radunano lì durante l’inverno. Loro avevano pensato alla Luna e da lì è nata l’idea. Quest’anno, per Giungla Bucolica, è stato un processo diverso: si pensava di indagare il concetto di natura in ambito urbano, periurbano e campestre, e di fatto è quello che faremo. Però ho sempre cercato di trovare dei termini simbolici e aperti a più significati, che rinviassero all’immaginario e che raccontassero qualcosa. Ecco perché la finzione, la fiction, il romanzo è molto importante. A un certo punto è sorto questo termine, “bucolico”, che rimanda a un luogo idilliaco che viene da chiedersi se c’è, se esiste veramente: se uno va all’Orto Botanico di Lucca si trova in un contesto molto più idilliaco di tanti autentici luoghi di campagna, no? Cerchiamo di capire questo idillio, cerchiamo di capire da dove nasce.

Passiamo a una domanda più contorta: Giungla si è sempre concentrata sulla relazione tra l’essere umano, la natura e la tecnologia, questo rapporto complesso e imprescindibile. Ma premettendo che Giungla è una ricerca e che si interroga sul futuro, e che abitiamo un presente in cui, al di là del cambiamento climatico, abbiamo perso molto del nostro sodalizio primigenio con la natura, in un futuro non particolarmente bello in cui tutta questa tecnologia dovesse sovvertire quasi completamente la natura, Giungla come si esprimerebbe?

Dipende. Se è un ambiente distopico, “alla Futurama“, continuerebbero a esserci degli esseri viventi, no? Questi esseri viventi non tecnologici… perché ci sarebbero anche esseri viventi tecnologici, magari altre forme di intelligenza artificiale. Probabilmente Giungla si interrogherebbe ancora sul rapporto tra natura e tecnologia perché in ogni caso, dal momento in cui esistono dei territori viventi – e si intende ciò che è umano, ciò che è animale, ma anche una pietra, una montagna e quant’altro – fintanto che resisterebbero Giungla continuerebbe a interrogarsi in merito. Se invece gli umani non ci fossero più, forse rimarrebbero i resti di Giungla in un grande server. Soltanto memoria di quello che Giungla è stata.

Penso a un’esperienza che è stata svolta in effetti nella seconda rassegna, Giungla Domestica. C’è stata un’esperienza di progettazione speculativa. Se non erro, indagava anche il tipo di habitat da creare per queste ipotetiche creature ibride, quasi dei simbionti.

Sì sì sì. Infatti è molto interessante interrogarsi sul futuro perché ci riporta con urgenza al presente. D’altra parte è anche il motivo per cui Giungla non ha mai voluto definirsi un festival di ecologia. È sì un festival di ecologia, ma intendendolo col suo significato primario: vivere comune. Non seguiamo il senso di valorizzazione, promozione della biodiversità, efficientamento energetico e quant’altro: tutte queste tematiche ci rimandano al PNRR, all’Agenda 2030. Si tratta di un terreno molto più complesso, in cui si stanno sviluppando mode e credenze non sempre fondate. Si parla di pannelli solari, ma poi si scopre che non si sa come smaltirli, così anche per le auto elettriche. Si parla di piantare nuovi alberi, però intanto si continua a stampare molto. Sarebbe da riflettere maggiormente sui temi della decrescita, dell’alimentazione, ci sarebbe veramente molto da dire. Quell’ambito secondo me meriterebbe di essere interrogato e approfondito da chiunque, senza fermarsi a quello che viene facilmente spacciato per ecologico e sostenibile. È una battaglia che si combatte su altri tavoli, che sono di estrema importanza. Con Giungla riflettiamo sui temi che riguardano questo rapporto, ma lo fanno di maniera quasi letteraria, di fatto un pretesto per instaurare un dialogo e pensare. È un festival “di filosofia” in tal senso: perché lo scambio, il confronto, il fatto di prendere del tempo per pensare e porre domande è fondamentale in questo mondo, in cui siamo abituati ad accogliere tutto come oro che cola.

Certo. Giungla è anche un processo di consapevolezza mediante le emozioni e l’esperienza. È molto più probabile che certi concetti penetrino più a fondo in tal modo, piuttosto che con tante speculazioni razionali.

Si parte da quello che è più sensibile, come le opere d’arte, per poi arrivare a veri e propri laboratori e attività di formazione e di divulgazione.

Io ti ringrazio e la mia ultima domanda è piuttosto provocatoria. Quindi puoi anche rispondermi rimbalzandomi il boomerang. Mi impossesso dello slogan di Giungla e ti domando: quando siamo uscitə dalla natura?

Io ti direi “mai”, e poi però ti dico anche che questa scissione tra uomo e natura, tra cultura e natura, si è operata in primo luogo in maniera visiva: è stata banalmente l’invenzione della prospettiva, no? Il momento in cui l’uomo, come dice Leon Battista Alberti, trovatosi in un interno, guarda attraverso la finestra e dipinge quel che vede. E il quadro diventa la finestra di un paesaggio, che è composto da umani, animali e piante. Quindi, questa domanda che sembra un po’ ambigua, forse stupida, sarebbe interessante porla a tante persone per scoprire cosa ciascuno di loro risponderebbe. Magari lo faremo una prossima volta.

Magari sì. O forse chi ci legge adesso ha già una risposta pronta?
Giovedì 12 ottobre, ore 16:30, Orto Botanico. Giungla bucolica ascolterà volentieri.

INFO

Giungla
da giovedì 12 a domenica 15 ottobre
Lucca
https://www.giunglafest.it/
https://www.instagram.com/giungla.fest

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