È Lou Reed, con estremo dono di sintesi, a spiegare la fotografia di Guido Harari definendo con poche parole il rapporto intimo che il fotografo ha saputo creare con lui e con molti artisti della scena musicale internazionale e culturale dagli anni Settanta a oggi.
Non solo di musica racconta Guido Harari, ma è proprio grazie alla sua passione per la musica e per la fotografia che tutto ha inizio, portandolo oggi a essere riconosciuto come uno dei fotografi più importanti nel mondo della musica. Sceglie la macchina fotografica come strumento che suona e che inchioda le emozioni. I suoi ritratti iconici raccontano la beat generation, il pop, il rock internazionale, per poi esplodere a tutte le forme culturali al di là della musica.
Spesso quello che ha reso unici i suoi scatti, è la profonda amicizia e la sintonia che ha creato con gli artisti, seguiti in tour o incontrati in studio. Il tempo sembra lontano da quello di oggi o comunque il ritmo è un altro, distante dalla frenesia e dalle gerarchie, dove sensibilità e accessibilità sono un passepartout che rendono possibile sperimentare per crescere.
Guido Harari ha avvicinato un mondo per molti inaccessibile, quello del dietro le quinte, quello dell’intimità degli artisti che spesso vivono di immagini rappresentative solo del momento della ribalta e non del retroscena.
Uno sguardo che non si è fermato a fare solo grandi fotografie, ma che ha saputo spostare anche verso altri professionisti che fanno il suo lavoro. Con la “Wall of Sound Gallery” ad Alba, cittadina dove ha scelto di vivere, ha creato un punto di riferimento per gli appassionati di fotografie musicali fine art, ospitando in quello spazio un numero sempre crescente di fotografi internazionali e italiani.
Ha pubblicato libri biografici di artisti come Giorgio Gaber, Fabrizio De André, Enzo Iannacci e cura mostre. L’ultima, in ordine di tempo, è “Art Kane. Oltre il reale” nelle sale del Castello Estense a Ferrara fino all’8 giugno 2025.
La penultima è stata alla Fabbrica del Vapore, in occasione della mostra dedicata alla città di Milano e a volti noti milanesi e non – “Guido Harari. Occhi di Milano” – e collegata a due progetti che lo vedono impegnato da anni nel ritrarre perfetti sconosciuti, “Caverna Magica” e “Ritratti Sospesi”. Un progetto, quest’ultimo, dedicato a una serie di ritratti che l’artista dona alle persone che si occupano di organizzazioni no profit, come Vidas e PizzAut.
Mi ha accolto proprio lì, dove era giusto immaginare di incontrarlo tanto quanto inaspettato trovarlo.
L’INTERVISTA
Con il tuo lavoro hai fotografato 50 anni di musica e di personaggi della cultura contemporanea. Quando è scattato in te il bisogno di esprimerti attraverso la fotografia?
Fin da bambino ho sviluppato un’ossessione collezionistica finalizzata alla conservazione di una memoria, sia della storia visiva della mia famiglia, sia delle scoperte che facevo e delle passioni che mi animavano, come ad esempio quella per la musica. Senza preavviso e senza strategia, ormai adolescente ho intrecciato quest’ultima passione con quella per la fotografia e si è così delineato un percorso di vita-lavoro che sembra ancora ben lungi dall’essersi esaurito.”.
Hai avuto l’opportunità di fotografare icone della nostra musica e di quella internazionale. Dei tuoi scatti, molti vengono definiti storici. C’è un ritratto, un incontro che consideri particolarmente significativo per te? Cosa lo rende emblematico?
La foto di Fabrizio De André addormentato per terra contro un termosifone è ormai entrata nell’immaginario collettivo e rimane una delle mie foto a cui sono più legato, come pure il ritratto di Lou Reed e Laurie Anderson, che li rappresenta nella maniera più diretta e autentica. Allo stesso modo amo molto i miei ritratti di Alda Merini, Dario Fo e Franca Rame, Ennio Morricone, Lina Wertmuller. Ognuno di essi coglie l’energia dell’incontro, l’empatia che si è creata tra fotografo e soggetto. In alcuni casi si è quasi trattato di telepatia”.
Molti dei tuoi ritratti sono diventati il linguaggio con cui gli artisti stessi hanno scelto di raccontarsi al mondo, ai loro fan. Qual è il momento giusto di una fotografia?
Il momento giusto di una fotografia (soprattutto un ritratto), come nella vita, è all’improvviso. O meglio, all’improvvisazione! Occorre lasciar spazio nel proprio immaginario all’imprevisto, all’incontro, senza condizionamenti né costruzioni intellettuali. Un ritratto deve tradursi in un’esperienza condivisa, in un buontempo da condividere a tre: fotografo, soggetto e pubblico”.
Nel progetto “Italians” ritrai Rita Levi Montalcini, Enzo Biagi, Indro Montanelli e molti altri intellettuali. Come sei riuscito a scattare l’anima rock fuori dal mondo musicale?
I nomi che citi, come pure l’avvocato Agnelli, Renzo Piano, Alberto Alessi, Sophia Loren o Giorgio Armani, sono anch’essi da me percepiti come rockstar! Dunque, la mia missione è quella di sintonizzarmi con la loro musica: cioè, col linguaggio del loro corpo, con la cantilena della loro voce, con i trabocchetti dei loro loop mentali. Devi esserne in qualche modo “innamorato” per riuscire a intravederla e catturarla”.
Nel docufilm “Guido Harari, sguardi randagi” definisci il periodo del tuo inizio come straordinario, dove ogni occasione è stata una possibilità per acquisire esperienza. Oggi essere autodidatta o avere un tempo lento per imparare lavorando sembra quasi una chimera. Quale consiglio dai al Guido Harari ragazzino oggi appassionato di musica e di fotografia?
Scoprire rapidamente e coltivare sempre la propria scintilla interiore. Mantenersi elastici per accogliere le sfide che ci mettono di continuo alla prova e comprendere le potenzialità sempre nuove e diverse che la vita ci offre di continuo. Coltivare la curiosità che è poi la capacità di cambiare, cioè il più grande lusso che dobbiamo permetterci per sentirci vivi”.
L’ARTISTA

LA GALLERY
INFO
www.wallofsoundgallery.com
cavernamagicaharari.com
NOTA A MARGINE
La citazione di Lou Reed presa in prestito per il titolo di questa intervista è estrapolata dal docufilm “Guido Harari, sguardi randagi” del regista Daniele Cini e disponibile sulla piattaforma di raiplay, oltre a essere itinerante in diverse città italiane. Nel docufilm lo sguardo del fotografo passa dal raccontare al raccontarsi, grazie anche al contributo di storiche testimonianze di artisti straordinari che sono stati da lui immortalati.