Giuseppe Petrilli è un artista che attraversa con disinvoltura il confine tra passato e futuro, tradizione e innovazione.
Il suo lavoro si muove tra pittura, illustrazione, fotografia e tecniche digitali, dando vita a un immaginario sospeso tra classicismo e modernità.
Il suo segno è riconoscibile: figure femminili che seducono lo sguardo, atmosfere che evocano il fascino dei B-movies anni ’70 e un’estetica che fonde erotismo e introspezione.
Con una ricerca incessante, Petrilli esplora la sensualità come linguaggio artistico e terreno di sperimentazione, sfidando convenzioni e censura.
Ciò che mi muove è la passione, nient’altro. Ad ispirarmi è tutto ciò che mi emoziona: il cinema, la musica, ma soprattutto la sensualità e la seduzione femminile. Il subbuglio emotivo che ne deriva si tramuta in segni, curve morbide e colori, per rivivere all’infinito nell’opera d’arte.”
In questa intervista, racconta il suo percorso, le sue ispirazioni e il suo sguardo sulla sua idea di futuro dell’arte.
L’INTERVISTA
La tua ricerca artistica si muove tra pittura, disegno, illustrazione, fotografia, tecniche digitali. Come riesci a bilanciare questi due mondi apparentemente così diversi?
In realtà il tutto deriva dalla stessa matrice, questi sono solo dei modi espressivi diversi attraverso i quali realizzo lo stesso fine, ossia quello di cercare di creare immagini che siano esteticamente interessanti, d’impatto e che suscitino nello spettatore delle sensazioni.
Sono sempre stato curioso e interessato alla ricerca, per cui fin da subito ho guardato con interesse alle tecniche digitali e alle nuove possibilità espressive che potessero offrire, lo stesso con la fotografia, per cui non ho mai avuto particolari difficoltà, l’approccio emotivo è lo stesso, cambia solo il mezzo ed il modo.
La serie “Piante Carnivore” sembra fondere classicismo e innovazione. Quali sono state le sfide principali nell’unire disegno tradizionale e tecnologie digitali?
Parliamo di un progetto che ha ormai vent’anni, nato in un periodo storico in cui il digitale non era ancora ciò che è sotto i nostri occhi, per cui fu una sfida dettata dalla voglia di sperimentare e provare a fare cose “nuove”. In realtà non è mai stato complicato unire i due mondi perché ho sempre considerato la grafica digitale come naturale estensione del disegno stesso, la maniera per renderlo più attuale e moderno. Un modo, inoltre, per velocizzare il lavoro creativo. Però sono sempre stato dell’idea che l’utilizzo del digitale non può comunque prescindere dalla capacità tecnica dell’artista, personalmente, per esempio, mi ritrovo a compiere gli stessi gesti tecnici indifferentemente se stia disegnando su un foglio o su uno schermo.
“True_Fakes” si ispira ai B-movies degli anni ’60/’70. Come scegli i riferimenti cinematografici per i tuoi manifesti e quale messaggio vuoi trasmettere con queste opere?
Ho sempre considerato l’arte innanzitutto come divertimento, per cui mi hanno sempre ispirato principalmente le mie passioni, tra queste la musica ed il cinema. Inoltre, da figlio degli anni settanta, amo le atmosfere che richiamano quel decennio, per cui la serie “True_Fakes (manifesti veri di film falsi)” è semplicemente la celebrazione del mio amore per quella estetica. È ispirata ai manifesti dei film d’exploitation e a quelli di Russ Mayer, i cosiddetti “B-movies”, che venivano proiettati nei Grindhouse.
Quel genere, per intenderci, che ha influenzato registi celebri come Quentin Tarantino e Robert Rodriguez.
Per realizzarla ho compiuto, in via propedeutica, una lunga ricerca iconografica relativa alle grafiche, ai fonts, alle scritte sensazionalistiche, ai loghi utilizzati all’epoca e alla fine, grazie alle mie modelle, ho potuto dare vita alle mie “Bad girls from Seventies”.
L’erotismo è un tema centrale delle tue opere. Come lo interpreti e quali reazioni speri di suscitare nello spettatore?
Considero l’erotismo un grande motore di vita per il fatto che esso, come concetto, non prescinde dall’intelligenza, anzi la presuppone, per cui cerco sempre di creare una connessione con chi guarderà le mie opere, giocando con lui in maniera irriverente e provocatoria.
L’artista che fa arte erotica è un equilibrista che si destreggia per non cadere al di là di quel limite sottile oltre il quale si scade nella volgarità, ma attenzione, quella inconscia. Personalmente il concetto di erotismo non lo intendo nella sola accezione comune, ma anche come intenzione, stato d’animo, ciò che io chiamo “mood erotico“ appunto.
Pertanto considero un’opera “erotica” quando è capace di suscitare emozioni forti, piacevoli o meno, non necessariamente riconducibili alla sfera puramente sessuale, ma in generale, a quella sensoriale. Quello che provoca tale turbamento emozionale, pertanto, può anche prescindere da quel mondo.
Il rapporto con le modelle è cruciale nel tuo lavoro. Come riesci a instaurare una connessione che renda autentica l’espressione del corpo?
Personalmente cerco sempre di creare un rapporto di fiducia e di intesa con la modella, riconoscendole una parte attiva nel processo creativo.
Spesso l’opera o lo scatto sono il frutto di un lavoro preparatorio, in cui mi confronto con lei per cercare di capire e accogliere le sue eventuali idee o proposte: è fondamentale per me che ciascuna senta “sua” l’opera o la foto che sia, in maniera che venga fuori la sua personalità e possa riconoscersi.
Percepisco di avere a volte un compito delicato, però fondamentalmente il mio approccio all’eros è sempre ludico, giocoso e leggero e cerco ogni volta di trasferire questo stato d’animo a chi posa per me.
Il nudo, come tema artistico, è spesso oggetto di controversie. Come reagisci alle critiche che potrebbero etichettarlo come troppo provocatorio o non adatto a tutti?
Parto sempre dal presupposto che l’erotismo non è un concetto astratto, ma è qualcosa che è presente nella realtà quotidiana e caratterizza ognuno di noi, inoltre la penso come molti maestri quando affermano che il nudo artistico non esiste, per cui è quasi normale che generi controversie.
Ho abitualmente a che fare con giudizi e dita puntate, per non parlare della stessa censura dei social, da cui da anni sono vessato. In realtà questa cosa l’ho sempre bypassata in quanto credo sia frutto di pura ipocrisia, dettata dal bigottismo e dai retaggi culturali retrogradi e provinciali che, fin da subito, ho designato come obiettivi da abbattere con la mia arte.
Chi sono le donne e i personaggi che scatti?
Il mio intento primario è sempre stato quello di rappresentare la sensualità nella sua veste più naturale, priva di orpelli, per cui ho sempre fatto in modo che i soggetti delle mie opere fossero “veri”, quindi mi sono sempre avvalso della collaborazione di modelle, soprattutto non professioniste, questo per salvaguardare quella naturalezza e spontaneità che voglio traspaia dai miei lavori.
È indubbio che alla fine chi posa recita una parte, rendendo esplicito un lato di sé magari spesso tenuto riservato. La sfida è anche quella: tirar fuori dal soggetto, tramite una sorta di “maieutica erotica” quella parte nascosta, ma che c’è ed esiste e spesso tutto ciò si concretizza in una esperienza rivelatrice e catartica anche per la modella stessa, una maniera per assecondare la voglia di rompere gli schemi e di liberarsi da condizionamenti e prendere maggiore coscienza di sé stessa.
Pensi che un artista si debba schierare e manifestare le proprie idee attraverso la sua opera?
Se per questo si intende anche il fatto di combattere bigottismo e rompere certi retaggi culturali allora sì.
Mi fai una lista dei tuoi cinque artisti preferiti in assoluto?
Inutile dire che ne ho molti più di cinque… inoltre la lista è cambiata in base ai periodi della mia vita. Ora direi, tra arte e fotografia, Egon Schiele, Gustav Klimt, Eric Kroll, Jan Saudek, Araki.
Ti ricordi quale sia stata la prima mostra che ha illuminato la tua visione artistica? E l’ultima?
Sicuramente quando da adolescente ebbi modo di ammirare dal vivo le opere di Gustav Klimt ed Egon Schiele a Vienna. Tra le ultime Helmut Newton a Berlino.
Hai un desiderio artistico che non hai ancora realizzato?
Ho sempre tante idee e la curiosità mi porta ancora a voler sperimentare nuove tecniche e nuove soluzioni grafiche, però non ho un desiderio specifico attualmente. L’ultimo desiderio realizzato risale a pochi anni fa.
Dopo qualche tempo dall’aver avviato la produzione fotografica parallela a quella di arte figurativa, sentivo il bisogno di creare qualcosa che in qualche modo unisse queste due forme espressive e che mi aiutasse a superare quella sensazione di ibridismo che avvertivo.
Questo risultato l’ho ottenuto con la serie “Ex_voto”, realizzando una collezione di fotografie tutte colorate a mano, un esperimento il cui risultato mi ha molto soddisfatto.
Cosa ne pensi dell’intelligenza artificiale applicata all’arte?
Il tecnicismo può superare la creatività?
Dal punto di vista della ricerca ho sempre cercato di stare al passo coi tempi, guardando sempre con interesse all’evoluzione della tecnica per poi trovare il modo di applicarla alla mia arte, però ammetto che l’intelligenza artificiale è qualcosa che mi lascia interdetto e un po’ mi intimorisce, la paura è che possa sfuggire di mano tanto da diventare poi difficile, se non impossibile, da controllare. L’innovazione non è positiva se rischia di annichilire l’essere umano.
Quando è stata l’ultima volta che hai fatto una cosa per la prima volta?
E soprattutto cosa hai fatto?
Sempre a proposito di innovazioni tecnologiche applicate al mondo dell’arte, l’ultima cosa fatta per la prima volta risale ad un paio di anni fa, quando mi sono adoperato, tra blockchain e criptovalute, per realizzare gli NFT delle mie opere digitali.
L’ARTISTA
Giuseppe Petrilli è nato a Lucera (Fg) nel 1970 dove vive e lavora. La sua attività artistica si sviluppa in una doppia produzione: quella pittorica e quella digitale. In particolare la serie erotica “Piante Carnivore” è il risultato di una personale ricerca volta a trovare la giusta alchimia tra il gesto artistico più classico, il disegno, e le nuove tecniche digitali, al fine di utilizzare e sviluppare le numerose soluzioni espressive che esse offrono. La serie “True_Fakes” è un’ulteriore evoluzione di tale alchimia e consiste in manifesti di film inventati, ispirati ai b-movies degli anni 60/70. Ha partecipato a diverse mostre collettive e personali a Miami, Chicago, Los Angeles, San Francisco, Montreal, Berlino, Zurigo, Roma, Milano, Firenze, Verona, Napoli, Salerno, Catania, Bari, Lecce, Taranto, Foggia.