C’è una dolcezza antica nei lavori di Elisa Carovilla, un lirismo che nasce dal gesto più intimo: salvare ciò che è stato dimenticato.
Un’indagine sulla materia e sulla memoria che affonda le radici in un paesaggio emotivo preciso: le credenze della nonna in Brianza, popolate da “bomboniere intoccabili” e oggetti di porcellana che si intrecciano ai giocattoli come presenze sospese, reliquie d’infanzia che si rifiutano di restare immobili. Carovilla ascolta questi oggetti, ne intercetta i sussurri, li traduce in nuove armonie: antinomie che diventano forma, fragilità che si riorganizzano in un ordine inatteso.
Elisa si lascia emozionare, ascolta questi oggetti, ne intercetta i sussurri, li traduce in nuove armonie, nuove forme, fragilità che si riorganizzano in un ordine inatteso.
Quando ero bambina mi piacevano le Barbie, i folletti, i nani e Biancaneve.
Quando ero bambina giocavo insieme a mio fratello con soldatini, biglie e dinosauri.
Avevamo uno zoo in miniatura: elefanti, tigri, leoni e scimmiette di plastica.
Un piccolo regno ricco di amici con i quali interagire e parlare come se avessero vita;
si perchè ogni cosa, nel suo silenzio, ha una voce.
Proprio a questi oggetti che hanno fatto parte della mia vita,
delle nostre vite, che devo l’ispirazione per il mio progetto.
Un progetto il cui concetto chiave è la sostenibilità.
Le mie creazioni, infatti sono il prodotto di una riqualificazione creativa
possibile attraverso il recupero di oggetti in disuso, manipolati e trasformati per dar loro un’anima ludica e artistica così da potersi conquistare una collocazione di riguardo nella scenografia degli spazi contemporanei.
Opere uniche, preziose, favole sostenibili…
Nel suo universo l’upcycling non è pratica virtuosa, ma atto poetico. Gli scarti si fanno racconto, le crepe respirano e pulsano, ciò che sembrava stonato trova una sua timbrica segreta.
È un equilibrio delicato, quasi medianico, dove l’istinto guida la mano e la memoria affiora come una nota di fondo.
La sua è una poetica nostalgica e ribelle, nutrita da maestri che hanno saputo rovesciare il senso del mondo, da Duchamp a Schwitters, da Niki de Saint Phalle a Mike Kelley.
Con lei abbiamo viaggiato tra passato e reinvenzione, gli oggetti non vengono semplicemente recuperati: vengono liberati. E la loro nuova vita, tra cromie scomposte e risonanze affettive, somiglia a una piccola epifania domestica.
Un invito a guardare di nuovo, con occhi sinceri.

L’INTERVISTA
Il tuo lavoro sembra nascere da una geografia affettiva dell’infanzia: Barbie, dinosauri, folletti, piatti “buoni”. Come si intrecciano oggi questi ricordi nella tua pratica artistica?
L’unione di giocattoli e porcellane proviene dai ricordi: giocavo sempre a casa di mia nonna in Brianza tra le sue credenze, avevo sempre davanti agli occhi bomboniere intoccabili.
Parli spesso della “voce silenziosa” degli oggetti. In che modo riconosci il momento in cui un oggetto dismesso ti chiede di essere trasformato?
Mi faccio guidare molto dall’istinto quando mi viene l’ispirazione: si instaura un dialogo tra me e questi oggetti.
La sostenibilità è un pilastro della tua poetica. Cosa significa per te “riqualificazione creativa” e dove si colloca rispetto al design contemporaneo, spesso ossessionato dal nuovo?
Fortunatamente la riqualificazione è ora molto più considerata nell’arte contemporanea; personalmente la trovo molto più affascinante forse perché è sempre sorprendente.
C’è un momento preciso in cui hai deciso che i piatti della nonna non potevano rimanere chiusi nel mobile? È stata una scelta estetica, etica o sentimentale?
Tutte e tre nello stesso modo: le mie nonne avevano delle porcellane bellissime e guardandole spesso ho sempre pensato che non potessero rimanere lì immobili dentro una credenza ma dovevano diventare qualcos’altro di ancora più bello.
I tuoi lavori sembrano trasformare il kitsch in una forma di poesia domestica. Come gestisci questo equilibrio tra ironia, memoria e raffinatezza?
Non so bene come ma sì, sono contenta che si percepisca questo equilibrio.
Mi incuriosisce la tua ricerca dei materiali inglobati nelle tue opere. Dove va a scovare i vari oggetti?
Recupero principalmente da mercati, svuota cantine, negozi dell’usato: anche tante persone mi regalano molto e in questi casi in cambio creo una piccola opera che gli regalo proprio per incentivare il continuo circolo dell’upcycling.
Chi fa l’artista si occupa di creare forme, quale è il filo rosso che unisce dinosauri, cocci, piatti d’epoca, gadget, lampade e figure fiabesche? Qual è, se esiste, la tua utopia estetica?
Penso che ciò che lega tutto sia l’armonia. Mi sorprendo ancora da alcune mie scelte magari cromatiche oppure di materiali che a primo sguardo stonano ma dopo mi soddisfano.
Se dovessi scegliere tre parole chiave per definire la tua arte, quali sarebbero?
Poetica, sovversiva, nostalgica.
Se potessi scegliere un oggetto simbolico della nostra contemporaneità da trasformare domani, quale sarebbe e perché? E quale è il tuo oggetto del desiderio ancora non trovato?
Tanti sono gli oggetti che trasformerei ma se devo scegliere anche per una questione culturale e sociale penso lo Speculum: dopo “solo” 180 anni credo che il design di questo oggetto debba essere rivisto.
Se le tue opere avessero una colonna sonora, quale canzone sceglieresti?
“Where Is My Mind?” – Pixies.
Hai avuto dei mentori? Quali sono i tuoi riferimenti artistici?
I miei mentori sono stati sicuramente Mario Bongiovanni e la sua famiglia che mi hanno insegnato le basi del restauro ligneo.
Grandi maestri sono stati oggetti rotti, porcellane sbeccate e tutto ciò che era all’interno della bottega.I riferimenti? Quelli che hanno osato ribaltare il senso delle cose: Duchamp che ha profanato l’ordinario, Schwitters che faceva poesia con gli scarti, Niki de Saint Phalle che ha trasformato il gioco in potere e Mike Kelley.
Se venissi nel tuo studio, cosa troverei? Quadri, libri, piante, tecnologia, dischi…?
Quadri, stampe, illustrazioni, piatti appesi in lavorazione, libri, qualche vinile, soprattutto oggetti strani che fanno parte della mia collezione privata.
Cosa pensi dell’intelligenza artificiale applicata all’arte? La tecnicità può superare la creatività?
No, la tecnicità non supererà mai la creatività: sono per l’intelligenza artigianale più che artificiale.
Cosa ti fa battere il cuore?
Antinomie armoniche, gesti semplici e occhi sinceri.
LE OPERE
L’ARTISTA

Elisa Carovilla nata e cresciuta a Milano. Dopo aver conseguito la laurea triennale in Graphic Design and Art Direction presso NABA, lavora in vari studi grafici dove, a seguito di una prima fase in cui si dedica prevalentemente all’impaginazione digitale si specializza in fotoritocco.
Elisa scopre una, sino ad allora celata, passione per l’elaborazione delle immagini. Modificare i soggetti, eliminarne i difetti e aggiungere particolari per migliorarne l’estetica la gratifica ed appassiona sin da subito, al punto tale che nasce in lei la voglia di ritoccare realmente e non più solo in digitale. Nel 2015 apprende con interesse e dedizione l’arte del restauro ligneo grazie al falegname Mario Bongiovanni che la indirizza e la forma.
La bottega si rivela un ambiente ricco di materiale, ricco di oggetti di altri tempi dimenticati. Qui Elisa trova la sua dimensione, prendendo ispirazione dal nonno materno che amava andare dal “ruttamat” del paese alla ricerca di manufatti da assemblare per creare giocattoli ai suoi nipoti, ed inizia a riqualificare oggetti ormai in disuso e a dar spazio al lato creativo che in adolescenza l’aveva indirizzata al mondo del design.
Nel 2017 nasce la prima linea di NONPIATTI, assemblaggi di piatti antichi e giocattoli in plastica, dopo poco la collezione si allarga anche lampade, piccoli mobili e cornici diventano da oggetti anonimi recuperati nei mercati o direttamente dalla strada pezzi unici e irripetibili. Il progetto di Elisa è di dare nuova vita ad oggetti antichi, rendendoli attuali ed ironici attraverso accostamenti singolari, con il duplice intento di preservare la sapiente produzione del passato e di prendere una posizione all’interno dell’ attuale contesto di sensibilizzazione alla tutela dell’ambiente.











