Intervista – DIANA PRISCILA SOLIS melanconica, femminile e intima

Diana Priscila Solis ha un’aura creativa che ti avvolge. L’artista, cittadina del mondo, nei suoi dipinti riesce, con estrema naturalezza, a fondere la tecnica pittorica del XIX secolo con una visione d’artista contemporanea.

Una qualità e una propensione che trovano espressione nelle sue composizioni e nei suoi ritratti. Proprio i ritratti sono l’essenza della pittura di Diana. La ricerca delle posture, degli sguardi e soprattutto dei colori e delle texture imprecise degli sfondi dei suoi ritratti attraggono e fanno affiorare personaggi e poetiche artistiche tutte da scoprire.

La sensibilità di Diana e il suo romanticismo, quasi di altri tempi, traspaiono anche negli incontri e nelle conversazioni. Abbiamo dialogato con Diana per scoprire la sua arte e la sua metodologia concettuale.

L’INTERVISTA

La tua arte è principalmente ritrattista e si sviluppa con uno stile classico che richiama le Accademie del Secolo XIX per poi contaminarsi con uno stile contemporaneo. Come nasce la tua tecnica pittorica?

La mia tecnica è nata grazie dall’insegnamento del mio maestro, Ramon Hurtado, e alla sua ricerca sulle metodologie delle Accademie del XIX secolo. Mischio queste conoscenze con continue sperimentazioni, con l’uso della pittura materica, raschiata, levigata, stratificata. Uso la pittura come qualcosa di materico è molto importante per la mia tecnica.

Hai mai realizzato paesaggi o quadri astratti?

Quando ero studentessa mi affascinava andare al cimitero San Miniato di Firenze e dipingere il paesaggio con le sculture funerarie e gli alberi spogli d’inverno. È qualcosa che mi piacerebbe riprendere e integrare nella prossima serie.
Quanto all’astrazione, non mi ha ancora attratta.

Chi sono i protagonisti dei tuoi quadri? Cosa vogliono trasmettere e raccontare?

I protagonisti delle opere sono principalmente figure che guidano lo spettatore all’interno del quadro. Non si tratta necessariamente di un ritratto realistico del modello, ma piuttosto di un veicolo che personifica il mondo e il sentimento dell’opera insieme alla composizione.

Il colore ha un ruolo essenziale nei tuoi ritratti. Illumina lo sfondo e valorizza i personaggi. Come nasce questa ricerca cromatica? E qual è il tuo colore preferito?

Per me, il colore è l’espressione più penetrante nell’arte visiva. Anche senza forme o composizioni precise, i colori da soli riescono a trasmettere tutto, in modo puro e intenso. Anche se la figura e gli altri elementi hanno un ruolo importante, nei miei quadri, vengono solo dopo il colore che crea il tono, l’atmosfera e il sentimento del quadro.
Il mio colore preferito è l’azzurro verdastro, lo amo, sono sempre stata legata a questo colore.

Se dovessi scegliere tre parole chiave per definire la tua arte quali sarebbero?

Melanconico, femminile, intimo.

Potresti elencare i tuoi cinque artisti preferiti di tutti i tempi?

Antonio Mancini, Pietro Canonica, Mitsukazu Mihara, Abbot Thayer, Tiepolo.

Messico, Puerto Rico, Las Vegas, Firenze, Milano. Sei una cittadina del mondo. Cosa ti porti di ogni esperienza nella tua pittura?

Las Vegas è un deserto suburbano, un posto così nitido e uniforme che mi spingeva a creare un mondo interiore estroso. È stimolante perché, invece di ispirarti con la bellezza intorno, ti dà una sorta di tela bianca per inventarti il tuo mondo. Molta della mia ispirazione nasce proprio dal periodo in cui vivevo lì.
Firenze, invece, è l’opposto. L’estetica delle grottesche, il senso nostalgico e magico della città hanno influenzato profondamente il mio lavoro, oltre agli studi che ho fatto. Puerto Rico è dove è nato il mio desiderio di diventare artista. Credo che il posto in cui attraversi la pubertà abbia l’impatto più forte su di te. Ricordo che alle elementari ho fatto un progetto in cui dovevo girare per vari municipi e fotografare l’architettura. Già allora mi ha colpito tantissimo l’architettura coloniale e l’uso del colore, questo interesse per il colore lo porto ancora oggi nelle mie opere. Messico, invece, è una parte di me che non ho vissuto direttamente. I miei sono messicani, quindi è un’esperienza di seconda mano. Sono cresciuta immersa in questa cultura a casa, e un’altra fuori. Questo mi ha fatto sentire spesso come si dice in spagnolo, ‘ni de aquí ni de allá’. (né di qua né di là).
E poi c’è Milano. Vivo qui da solo un anno, ma una cosa che mi ha colpito tantissimo è il cimitero monumentale. Ho in mente di scattare qualche polaroid e fare schizzi lì prima che finisca l’estate.

Ricordi la prima mostra che ha illuminato la tua visione artistica? E l’ultima?

Non è stata necessariamente una mostra. La prima esperienza dal genere che mi ha davvero colpito sono
state le grottesche di Palazzo Vecchio. L’ultima è stata una mostra sulle polaroid di Andrei Tarkovsky a Firenze.

C’è un desiderio artistico che non hai ancora esaudito?

Ne ho tanti. Mi piacerebbe fare collaborazioni artistiche fuori dalla pittura, soprattutto nella moda e nella musica. Qualche anno fa ho fatto la copertina di un album per un musicista, voglio fare più cose del genere, ma in modo più coinvolto, una collaborazione tra diverse discipline che crei un mondo intero.
Sento che l’intersezione tra il visivo, auditivo, e altre forme espressive sia più capace di coinvolgere
completamente.

Se dovessi definirti in terza persona, come ti descriveresti?

Una persona riservata e caotica alla stessa volta.

Cosa pensi dell’intelligenza artificiale applicata all’arte? Può la tecnicità superare la creatività?

Non vorrei dire che sono contraria all’intelligenza artificiale – ho visto in alcune scene artistiche un po’ di resistenza obsoleta alla tecnologia, che può frenare dal raggiungere l’obiettivo principale, che è fare arte.
Tuttavia, credo che ciò che ci fa innamorare dell’arte, ciò che ci colpisce davvero, sia l’umanità che c’è dietro.
L’IA può sicuramente aiutare a creare composizioni affascinanti, ho visto tanti artisti utilizzare l’IA in modi straordinari, d’altra parte, la tecnica non è separata dal valore creativo o la composizione, è tutto legato. La bellezza di un dipinto non è solo nella tecnica o nell’attrazione visiva… è nelle texture, nella materialità e nell’imperfezione. Penso che l’espressività di un dipinto venga dalle scelte umane fatte durante la sua creazione, dalle pennellate e dai sentimenti infusi durante il processo.

Quando è stata l’ultima volta che hai fatto qualcosa per la prima volta? E soprattutto, cosa hai fatto?

Due settimane fa, sono andata a nuotare sotto una cascata per la prima volta. È stato davvero unico perché accanto alla cascata sembra di essere dentro una tempesta furiosa, ma fai un metro avanti, proprio sotto il getto d’acqua, ed è una serenità totale.

Se facessi uno studio visit nel tuo studio cosa troverei? Natura, tecnologia, opere di altri autori?

Oltre alle mie opere e materiali, troveresti la mia gatta Dinah, il mio muro di moodboard che racconta
l’opera su cui sto lavorando, e poi c’è la mia collezione di oggetti raccolti in questi ultimi 9 anni in Italia:
bambole di porcellana, Pierrot, set da tè, libri su diverse cose dal calcio storico alle grottesche fiorentine, dalla storia della moda ai manga, e per finire il mio altare a Nettuno.

Se fossi la direttrice di una rivista d’arte, chi vorresti che comparisse in copertina? E perché?

In questo momento direi l’artista Jana Sojka. Ultimamente sono molto ispirata dalla fotografia analogica, e i suoi collage che mixano questa tecnica con altri elementi mi colpiscono molto. C’è qualcosa nella sua estetica malinconica, nell’uso del blu e delle texture, che mi parla.

LA GALLERY

L’ARTISTA

Diana è un artista messicana-americana che risiede e lavora a Milano.
Laureata alla Florence Academy of Art dopo aver studiato Storia dell’Arte all’Università del Nevada a Las Vegas.
Nel corso della sua carriera, ho lavorato con clienti come LVMH, Disney Music Group e Hollywood Records. Attualmente insegna a Milano ed è rappresentata dalla galleria ARTEMEST a Milano e New York.

WEB & SOCIAL

https://www.dianapriscilasolis.com/
https://www.instagram.com/dianapriscilasolis

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