Amber Butchart by Fanni Williams

Intervista – AMBER BUTCHART: Splash! è la storia del nuoto come stile di vita e libertà culturale

In occasione della mostra Splash! A Century of Swimming & Style, in corso al Design Museum di Londra fino al 17 agosto 2025, abbiamo intervistato la curatrice Amber Butchart, storica della moda, scrittrice e conduttrice.

Un tuffo nella cultura visiva e sociale del nuoto, dal bagno terapeutico al costume da bagno come simbolo pop.

L’Intervista

La mostra Splash! A Century of Swimming & Style propone un viaggio affascinante lungo un secolo di storia del nuoto. Qual è stata l’idea curatoriale di partenza?

L’esposizione copre cento anni di storia del nuoto e dello stile, con un punto di partenza cruciale negli anni Venti del Novecento. In quel decennio si assiste a una transizione culturale: si passa dall’idea del bagno come pratica igienica o medicinale al nuoto come attività fisica. Questa svolta si riflette nel modo in cui i produttori iniziano a promuovere i costumi non più per “bathing” ma per “swimming”. E, soprattutto per le donne, l’attività fisica comincia a essere non solo accettata, ma anche di moda. Il nuoto diventa così espressione di uno stile di vita attivo, elegante e moderno. Da qui si dipana il racconto dell’ultimo secolo.

Uno dei pezzi centrali in mostra è il costume indossato da Pamela Anderson in Baywatch. Qual è il suo ruolo nella narrazione della mostra?

È un’icona. Il costume proviene dal Bikini Art Museum in Germania, che lo ha acquistato all’asta da David Hasselhoff. Baywatch raggiungeva oltre un milione di spettatori a settimana negli anni ’90: è un’immagine profondamente radicata nella memoria collettiva. Il costume è esposto all’interno di una sezione dedicata al nuoto sullo schermo, che parte con Annette Kellerman — nuotatrice australiana e attrice pioniera del cinema muto — e prosegue con Esther Williams, altra campionessa diventata star hollywoodiana tra gli anni ’40 e ’50. Il focus è su come il nuoto sia stato rappresentato e glamourizzato dal cinema e dalla televisione.

Qual è stata la principale difficoltà nel costruire questa mostra?

La sfida più grande è stata definire i confini del racconto. Il nuoto è una pratica globale, diffusa in molte culture, ed era impossibile includere tutto. Inoltre, ci siamo posti obiettivi legati alla sostenibilità ambientale: non volevamo far viaggiare oggetti troppo lontano per ridurre l’impatto della mostra. Per questo motivo, ad esempio, non abbiamo potuto includere reperti provenienti dall’Australia, pur essendo una cultura balneare fondamentale. Abbiamo quindi cercato oggetti più vicini, esplorando collezioni di musei costieri britannici, da Southend a Worthing. Abbiamo anche lavorato con designer contemporanei per integrare una dimensione attuale.

L’Italia ha una tradizione balneare forte. Avete incluso qualcosa dal nostro Paese?

Ho parlato a lungo con un collezionista privato in Italia, appassionato di moda storica. Possiede pezzi straordinari di Versace, Dolce & Gabbana, Gucci — tutti nomi fondamentali per la storia del beachwear e del resort wear. Purtroppo, per ragioni logistiche, non siamo riusciti a includerli in questa edizione. Ma ci sarebbe materiale sufficiente per una mostra interamente italiana.

In mostra ci sono anche fotografie dell’artista Maria Svarbova. Come si inseriscono nel progetto curatoriale?

Ho voluto includere Maria sin dall’inizio. Il suo lavoro cattura perfettamente l’estetica del costume da bagno e l’architettura delle piscine in modo visivamente potente e delicato al tempo stesso. Siamo stati felici di poter utilizzare le sue immagini nella mostra e anche per la campagna promozionale. La sua visione dialoga splendidamente con i temi della mostra.

C’è la possibilità che Splash! diventi una mostra itinerante? In Italia sarebbe accolta con entusiasmo.

Ci piacerebbe moltissimo. È stato predisposto un pacchetto per l’esportazione della mostra, e ci sono già dei contatti per un possibile tour. Se conoscete spazi o istituzioni interessate in Italia, saremmo entusiasti di collaborare. E ovviamente, mi piacerebbe moltissimo accompagnarla.

Oltre a essere curatrice e scrittrice, hai una passione profonda per il mare. Da dove nasce?

Sono cresciuta in una cittadina di mare in Inghilterra, e vivo tuttora in un luogo simile, a Margate. Le località balneari britanniche hanno una loro estetica peculiare: un misto di nostalgia, kitsch e resilienza. Il clima è inclemente, e questo ha portato alla nascita di spazi al chiuso, piscine coperte, e una certa teatralità nel modo in cui si vive il mare. Negli anni Venti e Trenta, molte piscine all’aperto — le cosiddette lidos — furono costruite ispirandosi al Lido di Venezia, nel tentativo di importare un tocco di glamour mediterraneo. Durante la pandemia, in particolare, il nuoto all’aperto ha vissuto una riscoperta massiccia: le piscine chiudevano, ma le persone cercavano comunque il contatto con la natura. E questo ritorno alla “cura marina” ha radici antiche, che risalgono al XVIII secolo, quando i medici consigliavano di fare il bagno nel mare per motivi di salute. È un fenomeno che attraversa tutta l’Europa occidentale: da Scarborough a Cannes, da Blackpool a Venezia.

Cosa rappresenta per te il concetto di estetica?

Domanda bellissima. L’estetica, per me, è innanzitutto il design del costume da bagno: amo in particolare i modelli tra gli anni ’20 e gli anni ’60. Ma anche il mare stesso: mentre parliamo, lo vedo dalla mia finestra. E poi — forse meno convenzionale — la stampa leopardata. Ne ho ovunque: moquette, abiti, accessori. È un motivo che mi diverte e che rappresenta il mio gusto personale. Quindi sì, il mio consiglio estetico? Sempre leopardata.

La mostra

Fino al 30 settembre 2025, il Design Museum di Londra ospita una delle mostre più originali e approfondite dell’anno, “Splash! A Century of Swimming and Style”, un’immersione (è il caso di dirlo) nel mondo del nuoto, dell’estetica e della cultura materiale legata all’acqua.

Un’esposizione che, tra speedo olimpici, costumi mitologici e architetture simboliche, mette in luce il potere evocativo e sociale del nuotare, attraverso un secolo di stile, corpi e trasformazioni.

Un secolo di nuoto: archeologia dell’acquaticità contemporanea

La curatela — firmata da Amber Butchart, storica del costume e nota volto televisivo britannico, insieme a Tiya Dahyabhai del Design Museum — restituisce uno spaccato tanto eclettico quanto preciso dell’universo natatorio, seguendo un filo cronologico e tematico che parte dagli anni Venti del Novecento, epoca in cui il costume da bagno smette di essere un vezzo borghese per diventare oggetto funzionale, fino alle derive identitarie, ambientali e tecnologiche del presente.

Tre le sezioni portanti della mostra: la piscina, il lido, la natura. Tre spazi fisici e simbolici che strutturano anche la narrazione visiva dell’esposizione, dove oltre 200 oggetti provenienti da circa 50 collezioni private e musei europei dialogano in modo raffinato con modelli architettonici, fotografie, reperti tessili, manifesti e installazioni video.

L’oggetto come racconto: dal costume di Pamela Anderson al LZR Racer

Tra i pezzi di maggior richiamo, spicca il celebre costume rosso di Pamela Anderson, indossato nell’iconico Baywatch (1992-1997), prestato dal BikiniARTmuseum di Bad Rappenau. Un oggetto che trascende il kitsch televisivo per farsi feticcio culturale di un’epoca, simbolo di un’estetica mainstream che ha ridefinito il corpo in movimento nel paesaggio acquatico.

A contrappuntare l’elemento pop, la mostra affronta con rigore filologico anche i grandi temi dello sport e dell’innovazione tecnica, come testimonia la sezione dedicata ai costumi da gara, in cui spicca il controverso LZR Racer, sviluppato da Speedo con la collaborazione della NASA e bandito nel 2010 per le sue “prestazioni dopanti”. Non mancano i cimeli storici: dalla medaglia d’oro olimpica di Lucy Morton (Parigi 1924), prima donna britannica a vincere un titolo individuale nel nuoto, a uno dei primi bikini della storia (1951), eco dell’atomica e della rivoluzione del corpo.

Architetture liquide: l’acqua come spazio di civiltà

Una parte significativa della mostra è dedicata al design architettonico degli spazi per il nuoto. Dal modello del London Aquatics Centre di Zaha Hadid, realizzato per le Olimpiadi del 2012, al Jubilee Pool di Penzance — esempio di rigenerazione urbana a base geotermica — il percorso mette in rilievo il ruolo dell’acqua come motore di comunità e innovazione. L’attenzione si estende anche agli spazi liminali: saune, stabilimenti balneari, cabine, tutti elementi che raccontano la democratizzazione (o l’esclusione) dell’accesso al mare e alla piscina.

Sogni acquatici e nuovi immaginari: tra mitologia e inclusività

L’ultima parte dell’esposizione riflette sul potere simbolico dell’immaginario acquatico. Da Miranda (1948) a La Sirenetta (2023), passando per la cultura pop e la nuova estetica Mermaidcore, la mostra evidenzia come il nuoto sia anche spazio di fantasia e trasformazione. Al contempo, vengono affrontati temi legati all’identità e all’inclusione: quali corpi sono ammessi all’interno degli spazi acquatici? Chi disegna i costumi e per chi? L’arte del nuoto si fa qui anche politica del corpo.

La curatrice

Amber Butchart behind-the-scenes on the Great British Sewing Bee.

Amber Butchart è una curatrice, scrittrice e conduttrice specializzata nella storia culturale e politica dei tessuti, dell’abbigliamento e del design. Realizza ricerche e conduce documentari per la televisione e la radio, tra cui la serie in sei puntate A Stitch in Time per BBC Four, che unisce biografia, arte e storia della moda per esplorare la vita di figure storiche attraverso gli abiti che indossavano. È consulente storica e presenza fissa sullo schermo per il programma Great British Sewing Bee di BBC One. Tiene regolarmente conferenze pubbliche presso le principali istituzioni artistiche del Regno Unito ed è consulente esterna per la National Crime Agency in qualità di analista forense di abiti, collaborando a casi che richiedono l’analisi di tessuti e indumenti.

Tra i suoi libri si annoverano The Fashion of Film, Nautical Chic e una storia dell’illustrazione di moda britannica pubblicata dalla British Library. Attualmente è dottoranda con borsa CHASE, con una ricerca sulla curatela dei tessili politici. La sua mostra più recente, The Fabric of Democracy: Propaganda Textiles from the French Revolution to Brexit, è stata ospitata al Fashion & Textile Museum di Londra.
https://www.instagram.com/amberbutchart/

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