FOTOGRAFARE UN LEONARDO DA VINCI INEDITO. Intervista a Stefano Masciovecchio

Il racconto di chi ha sospettato si trattasse di un’opera autentica, e ha avuto l’onore e il privilegio di prendersene cura studiandola attraverso lo strumento fotografico.

Ormai la notizia sta facendo il giro del mondo: scoperto recentemente un disegno a sanguigna attribuibile a Leonardo da Vinci, passato tra le mani del fotografo Stefano Masciovecchio, tra i primi ad aver intuito potesse trattarsi di un capolavoro del rivoluzionario Maestro del Rinascimento. Nello specifico si tratta di un bozzetto di 24 x 17 centimetri, di proprietà di una coppia di collezionisti che si è rivolta a Masciovecchio per realizzarne alcuni scatti professionali. Dal loro incontro è nata una collaborazione che sta portando allo studio dettagliato dell’opera e alla sua attribuzione e datazione da parte della studiosa Annalisa Di Maria, membro del comitato di esperti di arte e letteratura del Centro per l’Unesco di Firenze, e di molti esponenti del mondo accademico.

Partiamo dall’inizio. Al momento del tuo primo incontro con i proprietari dell’opera ti trovavi a Lecco, dove il tuo studio era ancora situato. Ci puoi raccontare com’è andata?

Il proprietario si è presentato nel mio studio con una cartelletta sotto braccio, chiedendomi di riprodurre un disegno per inviarlo a dei conoscenti. La moglie era già mia cliente e gli aveva suggerito di verificare se potessi aiutarlo.

Banale come inizio? Sì, certamente! È cominciata nel modo più semplice possibile, ma dopo tutto, come diceva Lao Tzu, «ogni lungo viaggio inizia con un primo passo».

Visionato il ritratto, è scattato subito qualcosa, e ho compreso per quale motivo il proprietario non volesse lasciarmelo ma presenziare durante tutta l’operazione. Ho fermato gli altri lavori e allestito un set per quel primo scatto, su fondo bianco, che ora fa il giro del mondo.

Qual è stato il tuo primo pensiero davanti a quel disegno?

Ho detto subito al proprietario, ingenuamente: «mi sembra il volto di Leonardo da giovane». Ne abbiamo parlato un po’ ma la cosa è finita lì. Consegnato il mio lavoro ho pensato che quel disegno non lo avrei rivisto più, e invece pochi giorni dopo era di nuovo in studio per ulteriori scatti, più di dettaglio. Intanto, spinto dalla curiosità, ho fatto una semplice prova, sovrapponendo il ritratto di Leonardo anziano (quello che tutti conosciamo) a questo, e la sovrapposizione è risultata praticamente totale. Anche il proprietario è rimasto sorpreso ed entusiasta. Forse proprio questo approccio curioso da parte mia e la voglia di scoperta da parte sua hanno fatto nascere la nostra stretta collaborazione.

Quindi hai capito subito che la fotografia avrebbe potuto rivelarsi un ottimo strumento per approfondire lo studio del bozzetto e per contribuire così alla sua datazione o autenticazione? Ci puoi spiegare che tipo di analisi hai svolto?

No, non credo di aver capito subito fin dove sarei potuto arrivare. Ho iniziato a documentarmi su quali tecniche, sia fotografiche che di post produzione avrei potuto usare. L’approccio di ricerca è stato molto semplice e pragmatico: fare ipotesi e cercare di smentirle o confermarle.

La prima sfida è stata riprodurre nel massimo dettaglio possibile i particolari più minuti del disegno, così da permettere agli esperti di valutare il tratto e la pressione. Quindi riprendere l’impasto stesso della carta, le sue fibre, così da poterle confrontare con produzioni e impasti di cui avevamo datazioni e luoghi di produzione certi, e poter stringere via via il campo di ricerca.

Successivamente si è passati a quella che è stata la sfida più grande, di cui per ora posso parlarti: la ricerca della filigrana.

Se filoni, vergelle e la stessa tramatura del foglio sono ben individuabili a occhio nudo, lo stesso non è per la filigrana. I restauri che ha subito il foglio, in epoche diverse, con stiratura e lavaggio della carta, le hanno rese irriconoscibili. Ho cominciato fotografando il foglio in trasparenza e applicando vari filtri in post produzione per aumentare i contrasti e isolare le aree in cui la carta risultava più trasparente, dove si iniziava a intuire la presenza di segni non casuali. Ho ripetuto l’operazione fotografando aree sempre più piccole, poi a dettaglio maggiore, e a segnare gli elementi che affioravano.

Così è emersa quella filigrana a forma di uccello, che ha permesso la datazione del foglio e la ricostruzione della sua provenienza. Ora son passato a lavorare sulle frequenze cromatiche, ma come ti accennavo non posso dirti altro, poiché il lavoro è ancora in corso.

Oggi tutte le riviste e telegiornali internazionali parlano della vostra scoperta, ma la prima conferenza pubblica a riguardo risale a dicembre del 2019, a pochi mesi dall’avvento della pandemia di Covid-19, e proprio alcuni giorni dopo l’inaugurazione della tua mostra “Cuneiforme”. Come mai secondo te la notizia non aveva fatto scalpore?

A riguardo della coincidenza con la mia personale posso raccontarti un aneddoto divertente: proprio il giorno prima che il disegno arrivasse in studio stavo studiando l’illuminazione per il mio progetto “Cuneiforme”. Il caso ha voluto che aprissi a computer uno scatto fatto al disegno di fianco a uno dei miei autoritratti un po’ alla Lebowsky, poi esposti in mostra. Le due immagini si sono ritrovate una accanto all’altra sul monitor, con risata del proprietario che ha esclamato: «però vi assomigliate!».

Tornando alla prima presentazione, non so davvero dirti per quale motivo la notizia non abbia avuto il riscontro di oggi. Forse la vicinanza al Natale non ha aiutato, così come l’epidemia di Covid-19 tra gennaio e febbraio. Ma questa volta sta rimbalzando ovunque nel mondo e sta aprendo i primi interessanti dibattiti.

Al di là delle teorie che si stanno sviluppando attorno al disegno, qual è per te la vera portata del ritrovamento qualora venisse davvero autenticato come un lavoro del grande Leonardo da Vinci, e quale valore avrebbe per te?

Se verrà confermata la mano del Maestro, l’emozione sarà certamente enorme; quanti hanno avuto un Leonardo tra le mani? A prescindere dal nome dell’autore, però, ho avuto la fortuna di poter osservare l’opera da molto vicino e per molto tempo, scavando dentro per trovare ogni traccia, ed è un disegno di una raffinatezza e di una eleganza superba, capace di catturare lo sguardo dello spettatore fin dal primo istante e di tenerlo lì, in un dialogo costante. Se non fosse di Leonardo andrebbe comunque studiato per scoprire chi è stato capace di realizzarlo e rendergliene merito.

Alla luce del grande lavoro che hai svolto, pensi che in futuro la fotografia e la post-produzione digitale possano rivelarsi sempre di maggiore supporto al campo della diagnosi o del restauro?

Non so quanto queste competenze vengano utilizzate, ma ritengo che poter disporre di metodi non invasivi e/o distruttivi nell’analisi di un’opera sia molto utile e che questi possano di certo affiancare i metodi di analisi in laboratorio, offrendo delle alternative e un diverso approccio nella ricerca delle informazioni. La riprova ne è stata l’identificazione delle filigrane, che fino a quel momento era risultata impossibile.

Concludo con una domanda d’obbligo: secondo te la fotografia potrà ancora stupirci?

La fotografia in realtà è sempre la stessa; dal 1850 ad oggi è ancora luce che passa attraverso dei pezzi di vetro. Quello che è cambiato è lo strumento, ma lo strumento non ha mutato la fotografia, ha mutato piuttosto il modo di approcciarsi alla fotografia, di fruirla e di parlarne. L’avvento del digitale ha sicuramente inciso su questo, ma ogni passaggio tecnologico che ha determinato la fotografia per come la intendiamo adesso è stato una rivoluzione in sé. Sono certo che si evolverà ancora, perché ogni giorno scopro qualcosa che mi stupisce, eppure in molti casi mi chiedo quale sia la sua reale utilità. Davanti alla novità del giorno la domanda che mi pongo è piuttosto «ma alla mia fotografia serve davvero?».

Crediti immagini www.stefanomasciovecchio.it

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