La mostra “DANIEL BUREN. Fare, Disfare, Rifare.”, visitabile fino al 27 luglio 2025, ospitata nelle storiche sale di Palazzo Buontalenti a Pistoia, rappresenta non solo una celebrazione dell’arte di uno dei più influenti artisti contemporanei, ma anche una riflessione profonda sul ciclo vitale dell’opera d’arte e sul dialogo incessante fra oggetto artistico e il contesto in cui viene situato.
Con un allestimento che si estende attraverso tredici sale e due interventi esterni, il percorso espositivo offre una panoramica sfumata e articolata del lavoro di Buren dal 1968 fino al 2025, rivelando una pratica artistica che non si limita alla mera produzione di oggetti, ma si immerge in un processo dinamico di creare, demolire e ricreare significati. Daniel Buren, attraverso la sua ricerca, ha messo in discussione la nozione tradizionale di opera d’arte, svelando le interazioni fra l’arte e il suo ambiente. Le sue opere, con le celebri strisce verticali bianche e colorate, creano un gioco di riflessione e scomposizione degli spazi, traslando l’attenzione dal singolo oggetto all’esperienza visiva e percettiva complessiva che l’opera genera.
Il processo di “fare” si traduce in azione creativa, dove Buren concepisce opere in dialogo con gli spazi espositivi e il contesto urbano. Ogni opera è una risposta specifica a un luogo, una riflessione sulle sue caratteristiche intrinseche, sulla storia e sulla funzione. La dimensione temporale e la sua continua evoluzione diventano parte integrante dell’esperienza; le opere non sono fisse, ma vive e pulsanti, pronte a subire trasformazioni e reinterpretazioni. Il “disfare”, d’altra parte, porta con sé il concetto di distruzione e di critica.
Attraverso l’atto di de-costruire, Buren invita il pubblico a mettere in discussione le convenzioni artistiche e a rivalutare le strutture di significato che spesso ci sfuggono. Questo processo non è sinonimo di negazione, ma di liberazione: liberare l’opera dalla sua staticità per permettere un nuovo ciclo di contemplazione e comprensione, dove lo spettatore diventa parte attiva nel ri-scrivere il senso. Infine, il “rifare” assume connotazioni di rinnovamento e rinascita. In questo contesto, l’artista non si limita a ripetere, ma genera un’ulteriore stratificazione di significato attraverso la reinterpretazione delle sue stesse opere.
L’atto di rifare è quindi un atto di creatività in continua evoluzione, che sottolinea l’idea che l’emozione e la contemplazione estetica non sono mai fisse, ma in perpetuo movimento, in un gioco senza fine di percezione e riflessione.
Attraverso opere storiche e quelle create appositamente per la mostra, l’artista stimola un dibattito sulla natura stessa dell’arte e sul ruolo che essa gioca nella nostra comprensione del mondo che ci circonda. In questo senso, l’interazione con spazi di Pistoia e il coinvolgimento della comunità locale amplificano ulteriormente il messaggio di Buren, rendendo l’arte un veicolo di trasformazione collettiva e personale.
“DANIEL BUREN. Fare, Disfare, Rifare” si configura non semplicemente come un’esposizione, ma come un’autentica esperienza immersiva che invita il visitatore a intraprendere un viaggio di riflessione sulla continuità del processo artistico, concepito come un sistema dinamico di rinnovamento del significato. In questo contesto, le opere esposte emergono come frammenti di un discorso più ampio e complesso, nel quale l’arte trascende il ruolo tradizionale di semplice oggetto da osservare per trasformarsi in un’esperienza interattiva e vibrante.
Questa interazione ci sfida a mettere in discussione le nostre percezioni e ad esplorare, con rinnovata curiosità, il nostro posto nel mondo.
LA COVER

LA MOSTRA
DANIEL BUREN. Fare, Disfare, Rifare.
Lavori in situ e situati 1968-2025
Pistoia, Palazzo Buontalenti (via de’ Rossi 7)
Fino al 27 luglio 2025
L’ARTISTA
Nato a Boulogne-Billancourt (Parigi) nel 1938, Daniel Buren vive e lavora in situ.
A metà degli anni ’60, Buren iniziò a realizzare opere pittoriche che mettevano radicalmente in discussione i mezzi utilizzati nel suo lavoro e il rapporto tra sfondo (supporto) e forma (dipinto).
Nel 1965, mentre dipingeva opere che combinavano forme arrotondate e strisce di varie dimensioni e colori, scelse di utilizzare un tessuto industriale con strisce verticali di 8,7 cm di larghezza, alternate tra bianco e un altro colore. Partendo da questo registro visivo estremamente semplice e ordinario, Buren lo impoverì ulteriormente ripetendolo sistematicamente fino a raggiungere il grado zero della pittura. Questa riflessione portò lo spettatore a spostare l’attenzione dall’opera all’ambiente fisico e sociale in cui l’artista interveniva.
Nel 1967 abbandonò definitivamente il suo studio per dedicarsi al lavoro in situ, partendo dalla strada, per poi estendersi alla galleria, al museo, al paesaggio e all’architettura.
Il suo “strumento visivo” si basa sull’uso di strisce alternate, che gli permettono di rivelare i dettagli significativi del luogo in cui opera, impiegandole in strutture specifiche e talvolta complesse, situate a metà tra pittura, scultura e architettura.
Le sue opere in situ giocano con punti di vista, spazi, colori, luce, movimento, ambiente circostante, angolazioni e proiezioni, acquisendo forza decorativa attraverso la trasformazione radicale dei luoghi in cui vengono installate.
Incisivo, critico e impegnato, il lavoro di Buren è in costante evoluzione e diversificazione, suscitando sempre commenti, ammirazione e polemiche. Nel 1986 realizzò la sua opera pubblica più controversa, oggi classificata come “monumento storico”, Les Deux Plateaux (Le Due Plateaux), nel Cortile d’Onore del Palais Royal di Parigi. Nello stesso anno rappresentò la Francia alla Biennale di Venezia, dove vinse il Leone d’Oro per il miglior padiglione.
Oggi, Buren è uno degli artisti più attivi e acclamati sulla scena internazionale, con opere esposte nelle principali gallerie e musei, oltre che in numerosi spazi pubblici in tutto il mondo.
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