Intervista – Maria Cristina Carlini: “Fare arte è un’esperienza totalizzante”

Maria Cristina Carlini si distingue come una figura di rilievo nel panorama dell’arte contemporanea, riconosciuta a livello internazionale per le sue sculture di grandi dimensioni, che adornano spazi pubblici e privati in Europa, America e Asia.

La sua ricerca artistica si caratterizza non solo per la monumentalità delle sue opere, ma anche per l’uso di una molteplicità di materiali, attraverso i quali esplora e comunica le profonde sfumature delle sue interpretazioni creative. Il suo percorso creativo nasce da una più autentica esigenza di dare forma a ciò che sente, come se l’atto di fare arte rappresentasse non solo un mestiere, ma una vera vocazione e un impulso vitale insopprimibile. Per Maria Cristina Carlini, l’arte non è semplicemente un’attività estetica, bensì una necessità profonda di mettere in discussione e condividere le proprie percezioni del mondo attraverso linguaggi concreti e materiali vari, che diventano strumenti di comunicazione e di introspezione. La Galleria Paula Seegy ospiterà, fino all’8 novembre 2025, un’importante e raffinata esposizione, composta da un’ampia selezione di opere rappresentative dell’artista.

Maria Cristina Carlini, “Studio Stracci”, 2006, photo credit Fabio Enrico Viganò

L’INTERVISTA

Può raccontarmi quale è stato il momento in cui ha scelto di dedicarsi alla scultura e, più in generale, all’arte, e quali sono state le ragioni o le motivazioni che l’hanno spinta ad intraprendere questo percorso?

Ritengo che la dedizione all’arte, e in particolare alla scultura, non possa essere considerata semplicemente una scelta consapevole, ma piuttosto un processo che si sviluppa nel tempo, quasi come un destino inevitabile. Per me, dedicarmi all’arte non è stata una decisione studiata a tavolino, bensì un’esigenza interiore che si è manifestata come un vero e proprio mestiere, un percorso intricato e spesso faticoso. Questa fatica si intensifica nel mio caso, poiché non provengo da un background artistico formale; sono autodidatta, e questa condizione rende il viaggio ancora più impegnativo, oltre che più personale. La mancanza di un sostegno familiare ha rappresentato una sfida ulteriore, un ostacolo che ho dovuto superare con determinazione, spesso in solitudine. Avverto la necessità impellente di liberare un magma di emozioni, pensieri e sensazioni che ribollono incessantemente dentro di me, fenomeno che trovo inevitabilmente tradursi in opere d’arte.

 È come se questa furia creativa fosse una voce interiore che richiede ascolto ed espressione, indipendentemente dalle circostanze esterne o dai riconoscimenti sociali, e che ha definito e plasmato il mio cammino artistico, rendendolo non solo una scelta, ma un’esigenza vitale.

Come questa scelta ha influenzato la sua visione del mondo?

La mia scelta di dedicarmi alla scultura e all’arte, più che aver modificato la mia visione del mondo, ha avuto un impatto profondo e radicale sulla mia esistenza, influenzando in modo decisivo il modo in cui percepisco e affronto la realtà. Questa passione è diventata un’esperienza totalizzante, un impegno che si manifesta come un percorso che esclude, almeno temporaneamente, altri interessi e dedizioni.

All’inizio, può sembrare che questa priorità non sia così assoluta, quasi come un desiderio che può essere bilanciato con altri aspetti della vita, ma con il tempo, la consapevolezza cresce e si palesa con maggiore chiarezza: se si vuole approcciarsi seriamente alla creazione artistica, si deve adottare un atteggiamento esclusivo e totale, riconoscendo che l’arte richiede tempo, dedizione continua e uno sforzo che spesso implica sacrifici notevoli. La realizzazione delle opere, soprattutto nel mio caso, che lavoro principalmente con sculture di grandi dimensioni, comporta una serie di considerazioni pratiche e tecniche altrettanto complesse quanto il processo creativo stesso. Bisogna studiare attentamente la stabilità delle strutture, pianificare ogni fase del trasporto, risolvere problemi legati alla logistica e alla conservazione, e affrontare un’esigenza di perfezionismo e pazienza che rispecchia una gestazione lunga e complessa. Questa esperienza mi ha portato a sviluppare una visione del mondo in cui ogni cosa necessita di attenzione, tempo e dedizione, riconoscendo la complessità e la multidimensionalità delle sfide che si presentano nell’arte, ma anche nella vita stessa.

Come descriverebbe il rapporto tra le sue sculture e lo spazio che le circonda?

Il rapporto tra le mie sculture e lo spazio circostante è di una centralità fondamentale, poiché credo che lo spazio non sia semplicemente un contesto di accoglienza, ma un elemento integrante e vibrante della stessa opera artistica. La scultura, di per sé, non è solo una forma plastica, ma un elemento che si evolve e si rende vivo grazie alla relazione che stabilisce con lo spazio che lo circonda e lo attraversa. Per questo motivo, apprezzo particolarmente le commissioni, perché conosco con precisione la dimensione spaziale in cui l’opera troverà la sua collocazione: questa familiarità mi permette di dialogare consapevolmente con lo spazio, di considerare come la luce, le proporzioni ed i molteplici punti di vista influenzeranno la percezione dell’opera. Lo spazio, in questa prospettiva, diventa un elemento fondamentale, un attore che compone il linguaggio complesso della scultura. Il materiale non è soltanto un mezzo espressivo, ma un elemento che dà senso e profondità alla mia ricerca, tessendo il racconto di un passato che si incontra con il presente, in un dialogo senza tempo.

La relazione tra la mia opera e lo spazio è, quindi, di natura intrinseca e dinamica: uno sforzo costante di comprendere come lo spazio possa diventare parte integrante del messaggio espressivo e di come, attraverso di esso, sia possibile amplificare e approfondire l’esperienza estetica e sensoriale dell’osservatore. La vera potenza della scultura risiede proprio in questa capacità di dialogare con l’ambiente, di trasformarlo e di essere trasformata da esso, nel rispetto di un equilibrio che considero essenziale per un’arte che vive e si muove nella realtà.

In che modo il materiale che sceglie di utilizzare influisce sulla narrazione, e sul significato, delle opere?

Il materiale rappresenta per me un elemento fondante e insostituibile nell’atto creativo, poiché costituisce la base stessa sulla quale si sviluppa la narrazione e il significato delle mie opere. Quando mi interrogano sull’ispirazione che muove la mia ricerca artistica, la risposta risiede spesso nel materiale stesso: la materia diventa un veicolo di memoria, un contenitore di vissuto e di storie che si manifestano attraverso le sue caratteristiche intrinseche. In particolare, prediligo i materiali di recupero, poiché essi racchiudono in sé il segno del passato, le tracce del tempo, le cicatrici di utilizzi precedenti — crepe, graffi, usura —che testimoniano una vita precedente, un vissuto che non necessita di parole, ma che comunica fortemente allo spettatore. Questo modo di lavorare, basato sulla ricerca e sull’uso di materiali riciclati, influisce profondamente sulla narrazione delle opere, conferendo loro un valore simbolico e psicologico molto più ricco e complesso. Attraverso questi materiali, posso tradurre il concetto di memoria, di transitorietà e di trasformazione, creando un dialogo tra passato e presente, tra l’oggetto e l’artista. La scelta di certe materie diventa quindi un modo per raccontare storie invisibili — quelle che si celano sotto le superfici usurate, i segni del tempo che non si vedono immediatamente ma si percepiscono intuitivamente.

Può descrivermi i primi incontri con la ceramica nei primi anni Settanta a Palo Alto e cosa, in quel contesto, l’ha spinta ad avvicinarsi alla corrente New Ceramics?

I miei primi incontri con il mondo della ceramica risalgono ai primi anni Settanta in America; un periodo di grande fermento culturale e sociale, profondamente segnato dai tumultuosi avvenimenti legati alla guerra del Vietnam e dai contrasti ideologici che attraversavano la società. Questo contesto storico e sociale ha inevitabilmente influenzato la mia percezione e il mio approccio all’arte, inserendoci anche il mio personale percorso di scoperta e sperimentazione nel campo della ceramica. Tutto ebbe inizio con Bernard Leach, un artista e insegnante la cui opera si caratterizzava per l’originale fusione tra le estetiche orientali e occidentali della ceramica. Leach si distinse infatti per aver saputo unire in modo innovativo i principi della tradizione asiatica, ove si prediligeva l’attenzione alla forma e alla semplicità, con le tendenze europee maggiormente orientate alla decorazione e alla complessità delle superfici.

La sua visione riuscì a creare un ponte tra due filosofie artistiche apparentemente divergenti, dando vita a nuove possibilità espressive e tecniche che trovavano un terreno fertile all’interno dell’ambiente innovativo del campus dell’Università di Stanford, nel cuore della California. Appresi la cottura ad alta temperatura, che rappresentò un momento di svolta. Questa tecnica, più complessa e impegnativa, richiedeva una comprensione profonda dei materiali e delle procedure, e si rivelò fondamentale nel mio percorso di crescita, poiché mi permise di superare le barriere della decorazione superficiale per concentrarmi sulla forma e sulla solidità del pezzo. Sebbene gli orientali prediligessero la purezza della forma e gli europei si concentrassero maggiormente sulle decorazioni e sul disegno, io orientai il mio lavoro verso la dimensione formale, considerandola la via principale di espressione. Non sono mai stata una artista decorativa; il mio obiettivo era quello di esplorare e perfezionare la scultura in ceramica attraverso l’uso del tornio, che si rivelò un’esperienza rivelatrice, consentendomi di scoprire la potenza e la vitalità del volume plastico. Nel corso di questi anni, la ceramica rappresentò per me un campo di continua sfida e scoperta, dove terra e ferro si affiancarono come materiali privilegiati. La terra, tuttavia, rimase sempre nel mio cuore, poiché simbolo di un legame profondo e di una sfida costante verso la perfezione e la comprensione delle sue infinite possibilità.

Lei è stata la prima artista donna ad allestire una mostra nella Città Proibita di Pechino. Che esperienza è stata?

L’esperienza di essere stata la prima artista donna a allestire una mostra nella Città Proibita di Pechino rappresentò per me una tappa importante della mia carriera. In quell’occasione, provavo un misto di emozione e soddisfazione: da un lato, l’orgoglio di aver raggiunto un traguardo così importante, dall’altro la consapevolezza di dover affrontare con sensibilità e rispetto un contesto culturale estremamente ricco e radicato. La mostra si inserì perfettamente nel contesto delle antiche architetture cinesi, creando un dialogo articolato tra l’arte contemporanea e le tradizioni millenarie di quella splendida location, che a mio avviso aumentò la profondità e l’impatto delle opere esposte. Quel giorno specifico fu ulteriormente impreziosito dalla presenza della neve, un fenomeno atmosferico che avvolse l’evento in un’atmosfera quasi surreale e incantata, contribuendo a rendere quell’istante ancora più memorabile e magico. Tuttavia, il confronto con il contesto culturale cinese risultò, nella realtà, particolarmente complesso e impegnativo. Arrivando in Cina dopo 70 anni di regime di Mao, mi resi conto fin da subito di quanto questa società fosse ancora profondamente immersa in un sistema ancora segnato dai retaggi di un passato recente di repressione e di ideologia dominante.

Quali sono le sfide più grandi che ha incontrato nel suo percorso artistico?

Le principali sfide che ho incontrato nel mio percorso artistico si sono concretizzate nella difficile esigenza di emergere e di farsi conoscere in un panorama spesso complicato e saturato. L’atto di creare, infatti, non è mai un gesto isolato o esclusivamente fine a sé stesso: le opere d’arte nascono dal desiderio di comunicare, di trasmettere sensazioni, emozioni e riflessioni che vadano oltre l’individualità dell’autore. È fondamentale, quindi, superare l’ostacolo della visibilità, poiché l’obiettivo non è solo quello di realizzare un’opera per sé, ma di farla “parlare” agli altri, di smuovere qualcosa nel loro animo, di creare un ponte tra il mio mondo interiore e la sensibilità del pubblico.

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L’ARTISTA

La scultrice Maria Cristina Carlini inizia il suo percorso artistico con la lavorazione della ceramica nei primi anni Settanta a Palo Alto in California, per poi esprimersi con l’utilizzo di diversi materiali quali il grès, il ferro, l’acciaio corten e il legno di recupero.
Espone in numerose mostre personali e collettive in diverse sedi pubbliche e private nazionali e internazionali, ottenendo premi e onorificenze. Le sue sculture monumentali sono presenti in permanenza in tre continenti: Europa, America e Asia. Nel gennaio 2025 la scultrice apre ufficialmente al pubblico la Fondazione Maria Cristina Carlini ETS, nata con l’obiettivo di custodire e valorizzare il vasto patrimonio artistico e documentale realizzato in oltre cinquant’anni di attività.
Numerose pubblicazioni hanno punteggiato l’attività artistica di Maria Cristina Carlini, hanno scritto di lei importanti critici quali: Paolo Campiglio, Luciano Caramel, Claudio Cerritelli, Vittoria Coen, Guo Xiao Chuan, Martina Corgnati, Gillo Dorfles, Carlo Franza, Maria Fratelli, Chiara Gatti, Flaminio Gualdoni, Yacouba Konaté, Frédérique Malaval, Laurence Pauliac, Elena Pontiggia, Cortney Stell.
Vive e lavora a Milano. www.mariacristinacarlini.com

INFO

 Maria Cristina Carlini. Materia, Composizione, Architettura
Paula Seegy Gallery, via San Maurilio 14 – Milano
Fino all’8 novembre 2025
www.paulaseegygallery.com

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