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Intervista – EMILIANO PONZI: Esplorare l’arte a 360 gradi

Emiliano Ponzi è uno dei più famosi illustratori e visual artist italiani. Ha lavorato per i magazine, per la pubblicità, per la realtà aumentata, per la realtà virtuale, per la pittura.

Da New York (dove la sua carriera è esplosa) a Milano, per poi tornare (oggi) di nuovo a New York.

  • Ponzi, cosa vuol dire essere noto come illustratore?

Per me fare l’illustratore è in primis fare il comunicatore. Devo dire qualcosa a un pubblico con il mio stile, devo raccontare il distillato della mia visione del mondo. In pratica passo dalla parola all’immagine.

  • Come e quando ha iniziato?

Io ho iniziato la mia carriera di illustratore nel 2000, finita la scuola di design. Mi sono affacciato sul mercato e la prima cosa che ho fatto è stata costruirmi una identità. Perché siamo in tanti, siamo tutti diversi e il primo passo è quello di essere riconoscibile. Anni passati a piegare forme e colori in un modo che a me fosse congeniale e che mi rendesse riconoscibile.

  • Lei è considerato uno dei più grandi disegnatori al mondo, ha realizzato campagne pubblicitarie di marchi famosi, copertine di libri, di riviste, anche prestigiose, come quelle americane, tipo “New York Times”, “Le Monde”, “Newsweek”, “New Yorker”. Un italiano chiamato negli Usa è un bel salto…

Penso di sì. Lavorare per una copertina talvolta è una questione da fare rapidamente, ci sono stati casi in cui mi è stato chiesto un disegno di notte, in emergenza.

  • Ma le idee come vengono?

Per me è abbastanza difficile non averne. La creatività è qualcosa in divenire.

  • Dove o da cosa prende l’ispirazione quando si tratta di creare un’illustrazione?

Sicuramente parto dal tema a cui si riferisce il disegno che mi viene richiesto. Cerco di fare una riflessione su tutto quello che so in merito, non solo a livello di informazioni, ma anche come immagini. Parto dai miei ricordi e dalla mia conoscenza per comporre un’immagine con un’idea di base forti e un’estetica altrettanto impattante.

  • Qual è la definizione più corretta del suo stile di illustrazione?

Non c’è o comunque io non la trovo, perché considero il concetto di stile qualcosa che invecchia in fretta, restando sempre uguale a sé stesso. Preferisco modellare segni e colori in base al lavoro che sto facendo. Questo mi permette e mi ha sempre permesso di sperimentare, crescere e non essere mai troppo uguale a me stesso, pur mantenendo un tono di voce che non cambia mai.

  • Quando ha iniziato questo mestiere, chi erano i suoi riferimenti artistici?

Guardavo molto all’illustrazione americana e ai grandi italiani, illustratori e fumettisti che avevano avuto risonanza internazionale. Su tutti non posso non citare Lorenzo Mattotti e Igort.

  • Quali sono i principali pro e i principali contro del fare illustrazione?

I pro sono la possibilità di entrare in contatto con temi e contesti diversi. Tra i contro citerei le scadenze a volte serrate che forzano a riorganizzare continuamente la settimana o il mese.

  • Tra le tue numerose opere apparse su riviste, pubblicità, libri e molto altro, ce n’è una a cui è più legato?

Non ho opere e illustrazioni preferite. Sarà forse la prossima. Quella che è già nella mia testa ma non è ancora sulla carta. Ma ci sono illustrazioni nelle quali ho percepito con soddisfazione di aver fatto dei salti in avanti, ben oltre quello che sapevo fare. E questo per me è la cosa più importante: portare l’estetica a un livello sempre più alto.

  • Cosa pensa della creatività?

Io credo che la creatività sia qualcosa in divenire. Per cui per me è abba- stanza difficile non avere più idee. Talvolta capita di avere qualche idea… che non ci soddisfa. A volte ci si stanca della nostra stessa creatività, e come risposta bisogna da noi stessi raccogliere delle nuove sfide, che ci portino a idee diverse dalle precedenti. E poi spesso le idee vanno cambiate, non durano per sempre, perché́ noi stessi cambiamo e cambiamo anche il nostro modo di comunicare. È chiaro che un’idea che funziona oggi difficilmente durerà fra 10 anni. Bisogna essere fluidi, più dinamici, e cambiare anche il modo in cui generiamo le nostre idee, i nostri progetti.

  • La cosa che le fa più paura?

La noia, o meglio l’annoiarmi. Perché nella noia c’è il vuoto. Nella noia tutto è solo in bianco e nero, non ci sono i colori, non ci sono gli stimoli, non ci sono sfide. Quindi io dalla noia e contro la noia mi difendo trovando sempre delle cose da fare. Un disegno, una illustrazione ma anche un semplice scarabocchio su un quaderno È questo l’unico modo che conosco per combatterla e per farmi sentire sazio. Sazio di vita e di forme, e mai affamato.

È una installazione, un nuovo capitolo del progetto artistico itinerante “glo for art” che punta a promuovere un’arte accessibile a tutti e che resta poi a disposizione della collettività. Tutte le operazioni di “glo for art come mecenatismo prevedono infatti, da contratto, che le opere vengano poi donate a circuiti museali o affini. La nostra è una installazione alta quasi quattro metri e larga tre metri. Ho disegnato l’opera, tutti i petali a mano, che poi sono stati ridisegnati in 3D e tagliati col macchinario, e piegati a mano.

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  • Cosa rappresenta l’opera?

Un auspicio. Quello di seminare condivisione, perché condividere è il miglior modo per sviluppare empatia”.

  • Chi è Emiliano Ponzi raccontato in terza persona?

Emiliano Ponzi è probabilmente un disegnatore che vuole fare delle cose belle. Da farle poi vedere alla nonna, alla mamma, alla zia. Perché poi gli dicano “Bravo!”

  • Cosa c’è nel suo futuro?

Arte, da ogni punto di vista.

ph: Claudio Moschin

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