Remo Bianco – “La dittatura della fantasia” è molto più che un libro di memorie d’artista e ricordi biografici, ma è un’esplosione di illuminazioni e di riflessioni sull’arte, assemblate seguendo l’ordine casuale dei collage.
Il libro , edito da Johan & Levi con una prefazione di Sharon Hecker, parte da un lungo ricovero nel reparto di cardiologia che costringe Remo Bianco a sospendere l’intensa attività in studio e a fare il punto della propria vita
come certi marinai in mare fanno il punto esatto della rotta, calcolando la distanza dall’obiettivo».
Siamo nel 1982 e l’artista sente che il termine di questo viaggio, iniziato nel famigerato 1922, non è lontano. Alle sue spalle, quarant’anni dedicati alle più audaci sperimentazioni artistiche e uno sfaccettato corpus di opere spesso in anticipo sui tempi: dal periodo spazialista sotto l’ascendente di Fontana fino alle serie e alle performance più concettuali ideate con la complicità di Carlo e Renato Cardazzo, passando per quei Collages avviati all’indomani della scoperta di Pollock e che ora gli suggeriscono il metodo con cui ricucire insieme le proprie memorie.
Io dovrei essere un dittatore. Sarei un uomo terribile, se potessi metterei tutti sotto il giogo della mia fantasia e creatività perché ho continuamente bisogno dell’aiuto di tutti. Sono ossessionato dal fare dal fare dal fare. E invece, a parte la mia fantasia – l’idea è facile – riesco a realizzare qualche cosa con molta difficoltà e nel modo più assoluto non riesco a comunicare divulgare a far conoscere a possedere a occupare.
Perché fra un’urografia e una gastroscopia sembra proprio che Bianco si diverta a scompaginare i tasselli della propria esistenza per poi riassemblarli evitando il banale ordine in cui si susseguono nascita, infanzia, adolescenza, maturità e preferendo, come nei suoi collage, un ordine “zigzaghino come un torrentello in primavera” che assecondi il suo temperamento anarcoide. Così, ricordi, pensieri sull’arte, idee per opere future e progetti incompiuti, note a margine dei libri letti si intrecciano e si sovrappongono. Ogni pagina di questi “appunti” ci illustra l’eclettica facoltà di Bianco di accogliere tutto quanto la vita gli offre – amori, letture, incontri, viaggi – piegandolo alle proprie esigenze, trasformandolo in intuizioni poetiche e folli, come quella di sostituire al campanile di San Marco un’enorme Pagoda.
A puntellare questo coacervo di pensieri in libertà, alcuni aneddoti circostanziati, dai risvolti comici e a tratti licenziosi. Per Bianco dire autobiografico «equivale a mostrare le proprie mutande sporche, ovvero a dire la verità» e così ci racconta episodi della sua vita senza risparmiarci i dettagli più scandalosi. Vengono rievocate alcune figure determinanti nella sua carriera di artista, primo fra tutti Filippo de Pisis, un mentore più che un maestro; ma anche la famiglia Cardazzo e il fertile ambiente artistico e culturale sorto attorno alle gallerie del Naviglio e del Cavallino, frequentato da Beniamino Joppolo con cui Remo stringerà amicizia; e poi il francese Raymond Hains, di cui ammira la fantasia sfrenata, la cultura inesauribile ma soprattutto la strabiliante capacità di travolgere l’interlocutore con acrobatici giochi di parole.
Anche Bianco ama scherzare con le parole e con i paradossi e a più riprese si immagina nei panni del dittatore che mette il mondo intero sotto il giogo della propria fantasia. A tratti gioca a nascondino con il lettore, e forse anche con se stesso, adottando, in questo libro costruito a piccole inquadrature sconnesse, una sequela di tattiche di spaesamento, ribaltamento, negazione. Calato nello spazio del racconto, «dove tutti siamo un po’ bugiardi», l’artista si muove sul crinale fra vita e arte, fatti e finzione, senza volersi né potersi mai schierare da una parte o dall’altra.
Se fossi un dittatore, la mia sarebbe una ben strana guerra di conquista, perché tutto lo scopo consisterebbe in una costante documentazione figurativa. Per esempio, il mio esercito dovrebbe avere migliaia e migliaia di soldati pronti a lavorare per me, a costruire forme. E l’esercito stesso le sue armi i suoi pericolosi missili e proiettili non servirebbero alla guerra, ma a un grande spettacolo pirotecnico, una performance intesa a dimostrare che il progetto di un delitto è sempre una cosa geniale, mentre il delitto diventa una banalità.
L’AUTORE
Remo Bianco (1922-1988), artista poliedrico e di difficile classificazione, ha ricoperto un ruolo di primo piano nelle scene artistiche più fervide dal dopoguerra in poi. Muove i primi passi sotto l’ala di Filippo de Pisis e negli Stati Uniti conosce l’Action Painting di Pollock e l’Espressionismo Astratto. A Milano si avvicina allo Spazialismo di Lucio Fontana e all’ambiente culturale di Carlo Cardazzo, inaugurando così l’importante e duraturo rapporto che lo legherà alle Gallerie del Naviglio e del Cavallino lungo tutto l’arco della sua carriera. Negli anni settanta consolida i rapporti con Parigi, in particolare con il critico Pierre Restany e con l’artista Raymond Hains. La sua ricerca è caratterizzata da una grande vivacità creativa e da continue sperimentazioni, da cui nascono cicli di opere che reinventano in modo personale i linguaggi più moderni, tra cui i Collages, le Impronte, i Tableaux dorés, le Appropriazioni, l’Arte Chimica e i Quadri viventi.
INFO
Remo Bianco
La dittatura della fantasia
FORMATO 15,5 x 23 cm
PREZZO € 24,00
COLLANA Biografie
IMMAGINI 50 b/n e 11 colore
PAGINE 244
ISBN 978-88-6010-321-5