Dall’11 dicembre Palazzo Pretorio porta a Prato 22 artiste internazionali per la mostra “Hi Woman! La notizia del futuro” a cura di Francesco Bonami e promossa dal Comune di Prato – Museo di Palazzo Pretorio.
Con questa mostra ancora una volta il Museo di Palazzo Pretorio si interroga sul tema del dialogo tra i molti contemporanei possibili, tra passato e presente” dichiara Rita Iacopino, direttrice del Museo di Palazzo Pretorio.
Vogliamo continuare ad offrire ai nostri visitatori un’occasione di riflessione e nuovi spunti di lettura del nostro Patrimonio”, dichiara Simone Mangani, Assessore alle politiche culturali del Comune di Prato.
LE ARTISTE
Così Palazzo Pretorio con la sua eccezionale collezione accoglie 22 artiste contemporanee ognuna con una propria annunciazione da rivelare agli spettatori: Huma Bhabha, Irma Blank, Koo Donghee, Marlene Dumas, Isa Genzken, Jessie Homer French, Roni Horn, Jutta Koether, Andrew LaMar Hopkins, Maria Lassnig, Babette Mangolte, Lucy McKenzie, Aleksandra Mir, Susan Philipsz, Paola Pivi, Maja Ruznic, Jenny Saville, Fiona Tan, Genesis Tramaine, Andra Ursuta, Marianne Vitale, Lynette Yiadom-Boakye.
22 donne non per rispettare una correttezza politica scontata ma per sottolineare la centralità del soggetto femminile nella narrazione antica e contemporanea.
22 artiste che contemporaneamente sono nel ruolo dell’angelo e della Vergine, che contemporaneamente sono portatrici e destinatarie di una rivoluzione astratta, simbolica e profondamente concreta.
“Hi Woman! La notizia del futuro è la trasformazione Pop del saluto dell’angelo Gabriele a Maria proiettato nella contemporaneità. Non è una mancanza di rispetto, d’altronde lo stesso Gesù nel Vangelo non chiama sua madre mai Madre, Mamma o Maria ma “Donna”. Non c’è tema più noto nella storia dell’arte dell’Annunciazione. L’Angelo che dà notizia alla Vergine del futuro che arriverà attraverso Gesù. Al di là della connotazione religiosa del soggetto il tema dell’annunciazione è intrinsecamente legato all’arte da sempre”, spiega Francesco Bonami, curatore della Mostra.
Attraverso la pittura, la scultura, il video ed il suono le 22 artiste invaderanno il museo mettendosi in dialogo con le opere della collezione permanente, trovando a volte una sintonia a volte creando cortocircuiti potenti e carichi di stimoli per il pubblico. Annunciazione è una parola che contiene molteplici significati che toccano la realtà della nostra socialità e comunicazione e al tempo stesso rimandano ad una delle pietre angolari della cultura occidentale.
Le artiste in mostra ci annunciano messaggi diversi, misteri lontani e realtà vicine, ognuna con un lavoro potente e significativo capace di sostenere il confronto ed il dialogo con i maestri dell’antichità.
L’opera d’arte è l’angelo e lo spettatore la Madonna, pronto ad abbandonarsi allo sconcerto, alla meraviglia e alla paura della notizia che riceverà.
L’opera d’arte porta con sé sempre una notizia, un messaggio .
DICHIARAZIONI DELLE ARTISTE
Huma Bhabha (b. 1962 Karachi, Pakistan)
Mi riferisco al mio amore per gli idoli. Il processo non è così violento, perché uso materiali che posso modellare io stessa. Il sughero è morbido. Non è un materiale duro e la superficie è bella. Nel 2008 circa, ho realizzato il mio primo oggetto intagliato in sughero. Pian piano sono diventata più brava: so quanta pressione applicare e che tipo di tagli fare, così da non commettere errori, ma il fatto è che io cresco dai miei errori. Quindi, se qualcosa si apre, penso che conferisca più vita alla scultura. Succede da sé, ma ne ho il controllo. Si tratta più di una risposta formale ad ogni segno. Mi vedo come un’espressionista, questa ossessività e aggressività sono io, e il tipo di segni che voglio. Al momento sto lavorando su alcuni pezzi di argilla con filo e gesso, e, allo stesso tempo, anche su bronzi che sono in realtà di sughero: un mix. È interessante come io possa andare avanti e indietro tra i due diversi materiali, che a volte si alimentano a vicenda. Lavoro da un pezzo all’altro, ma è una cosa continua. Non sono corpi di lavoro. Continuano a informarsi a vicenda.
Irma Blank (b. 1934, Celle, Germania)
Penso che qualsiasi cosa si scriva sia autobiografica. Tutto il mio lavoro lo è: che i segni che faccio siano rigorosi o liberi, piccoli o grandi, tutti esprimono aspetti diversi di me stessa. Scrivo e racconto, eppure mi offre anche una via d’uscita perché dichiaro qualcosa e lo nego allo stesso tempo.
Koo Donghee (b.1974, Korea)
In Tragedy Competition, undici attori professionisti sono seduti dietro un tavolo e piangono. È una gara: vince chi piange più a lungo. I partecipanti possono scegliere qualsiasi modo per motivarsi: qualsiasi pensiero o metodo che possa far venire le lacrime agli occhi è valido. Quando gli attori non sono più in grado di continuare lasciano la stanza e, alla fine di questa selezione naturale, rimane solo una persona, il vincitore. Nel mio lavoro alludo alla tragedia greca, alla questione universale e simbolica della condizione umana espressa dalla tragedia classica, e all’impatto che l’ideale tragico, come espressione di valori spirituali e morali, ha ancora oggi sul mondo. Qui, la critica al voyeurismo da reality show e all’esibizione pubblica dei sentimenti va di pari passo con un gioco sul binomio realtà/finzione e la ribellione contro un’educazione estremamente repressiva.
Marlene Dumas (b.1953 Città del Capo, Sudafrica)
Una volta mi si chiedeva dell’inconscio. Non sentivo questa parola da molto tempo. Quando ho detto per la prima volta di essere una bionda artificiale è stato perché mi avevano chiesto di scrivere sul perché dipingo, come donna. L’idea era che, oltre al fatto che la pittura è morta, lo sono anche i maschi. Ho pensato, perché stare sempre sulla difensiva, perché non rigirare le cose? Così ho deciso che invece di dire che nonostante il fatto che sono una donna, mi piace anche dipingere, avrei detto dipingo perché sono una donna, dipingo perché sono una bionda.
Isa Genzken (b.1948 Bad Oldesloe, Germania)
In realtà pensi di non essere sotto pressione quando fai dell’arte solo perché non c’è nessuno che ti dice cosa devi fare. Ma devi trovare tutto dentro di te e prendere ogni decisione per conto tuo. E anche se nessuno ti obbliga a fare niente, può comunque trasformarsi in un disastro. Nel processo creativo si è molto soli. Non si può semplicemente chiamare qualcuno e dire: “Dagli un’occhiata”.
Jessie Homer French (b.1940, New York, Stati Uniti)
Quando comincio un quadro, comincio con una grande speranza e dipingo quello che mi circonda. Sono una pittrice autodidatta.
Roni Horn (b.1955, New York, Stati Uniti)
Quando ne ho parlato con Isabelle Huppert è apparso complicato. Non sono una registra e lei è abituata ad essere diretta. Ha chiesto: “Cosa vuoi che faccia? Che aspetto avrà tutto questo? Dove stiamo andando?”. Non ero in grado di rispondere in un modo che fosse soddisfacente per lei e potevo sentirlo. Voleva essere “messa al suo posto”. Ho detto: “Beh, non so che aspetto avrà, ma lo saprò quando ci arriveremo”, che è un modo per dire che tutto è possibile. Può essere sembrato che non sapessi quello che volevo, ma c’è un modo di sapere cosa vuoi che impedisce al tuo lavoro di svilupparsi man mano. Fotografarla è stato molto difficile. Comunque, Isabelle non voleva che le si dicesse cosa recitare, così abbiamo messo tutti i nomi dei personaggi in un cappello e lei ne tirava fuori uno ad ogni sessione da recitare quel giorno. Uno dei miei ruoli preferiti che ha impersonato è stato Beatrice di La Dentellière (1977). Eravamo solo io, due macchine fotografiche, un assistente fotografico e Isabelle. Era come guardare Dr. Jekyll trasformarsi in Mr. Hyde senza andare fuori campo per la trasformazione – guardarla passare da Isabelle a Emma in Madame Bovary. La fotocamera non era abbastanza buona per rendere le sfumature che vedevo in quel processo, quindi a un certo punto mi sono sentita molto frustrata. Ma è stata un’esperienza straordinaria.
Jutta Koether (b.1958, Colonia, Germania)
Uno dei miei primi progetti trae il titolo Smell of Female dal disco e la canzone dei Cramps. Mi piace anche includere fatti sociali vivi da un punto di vista modellato dall’esperienza femminile. Amo fare con la pittura cose che gli uomini non possono. Eppure, fare esperienza dell’altro non significa limitarsi o auto-marginarsi. Mi piacciono le tattiche. Non per stabilizzare le aspettative ma per confonderle. Anche quelle degli amici. Anche le tue.
Andrew LaMar Hopkins (b. 1977, Mobile, Alabama, Stati Uniti)
Sai, io dipingo tutti quelli di quel periodo. Ma il mio obiettivo principale è la gente di colore libera, perché la loro voce è stata dimenticata. Era solo un piccolo gruppo di neri prima della Guerra Civile ad essere libero. Avevano una certa prosperità, lavoravano. Quindi sto dando voce a queste persone.
Maria Lassnig (1919-2014 Vienna Austria)
Mi accosto al mio lavoro senza intenzioni. L’unica intenzione è percepire il modo in cui mi trovo davanti alla tela in quel particolare momento. E poi entro nei dettagli. E, naturalmente, gli devo dare forma – perché un sentimento non ha forma; è una diffusione. Ho dovuto scoprire da sola i colori ‘puri’, perché ho frequentato l’accademia di Vienna durante il periodo nazista, da studente diligente. Quando ho dipinto il mio primo autoritratto, il professore ha detto: “Dipingi come Rembrandt”. È stato lusinghiero, naturalmente. Ma i colori erano sfumature di marrone, meno colori puri possibile.
Babette Mangolte b.1941 Montmorot, Francia.)
Sono rimasta sbalordita quando l’ho visto. Non solo è stato assolutamente emozionante, ma ho sentito che era un enorme distacco dal movimento nel pezzo precedente [di Brown], Locus … È stata quella forte prima impressione che il nuovo assolo fosse l’inizio di una nuova fase nel lavoro di Trisha che ha fatto scattare in me il desiderio di registrarlo su una pellicola. A causa della pura spavalderia e della velocità della danza, sentivo anche che le capacità fisiche della ballerina dovevano essere così affinate che forse Trisha non sarebbe stata in grado di danzarlo per molti anni a venire e quindi la registrazione del film era urgente e non doveva essere rimandata.
Lucy McKenzie (b.1977, Glasgow, Regno Unito)
‘immagine è una copia di un’opera fotografica di Thomas Struth, ma in questo caso trasformata in una pubblicità per un reparto di abbigliamento. La didascalia in olandese “Dames en Herenkleding, Eerste Verdieping” significa “Abbigliamento donna e uomo, primo piano”. Riappropriarsi dell’immagine delle belle arti come la pittura che replica la segnaletica commerciale rende questo lavoro un commento complesso sullo status della pittura, e sull’inversione dei ruoli, nelle gerarchie della tecnica e nelle aspettative associate alle cose fatte a mano. L’appropriazione di un genere esistente e il suo reimpiego in una direzione diversa rende questo pezzo un’opera perfetta che coglie i vari aspetti del mio lavoro in un unico dipinto.
Alexandra Mir (b.1967, Lubin, Polonia)
Volevo solo fare dei disegni, nel modo più naturale per il mio tempo e luogo. Con il pennarello Sharpie già lì sulla mia scrivania, potevo stabilire un semplice collegamento tra un’idea e la mia mano. Quindi il disegno per me è un’estensione diretta della scrittura e di movimenti fisici più ampi, come camminare e persino danzare.
Susan Philipsz (b.1965 , Maryhill, Glasgow, Regno Unito)
La ballata The Wind and the Rain esiste da centinaia di anni e viene cantata ancora oggi. Ha le sue origini in Scozia e Irlanda ed è stata pubblicata come The Twa Sisters nelle Popular Ballads di Jamieson nel 1656. La canzone ha molte versioni ma la sua essenza rimane la stessa. La storia è quella di un sororicidio, dove una sorella affoga l’altra in un impeto di gelosia. Il fiume trasporta il suo corpo annegato finché un violinista non si imbatte nei suoi resti. Le sue ossa e i suoi capelli vengono trasformati in un violino, ma il violino può suonare solo The Wind and the Rain.
Ho registrato due versioni del brano e le ho fatte eseguire simultaneamente da due casse separate. Mentre una versione è cantata in terza persona, la seconda è cantata in prima persona, come se assumesse la figura della sorella annegata. La seconda e la quarta riga di ogni strofa sono identiche, quindi mentre le diverse versioni si fondono e si sovrappongono, si ricongiungono al ritornello. Quando le canzoni sono finite c’è una pausa di silenzio e il lavoro ricomincia.
Paola Pivi (b.1971, Milano)
Mi sembra che siano opere d’arte con un atteggiamento positivo, divertente verso la vita, molto accessibile pure. Una dimensione umana in questi tempi di difficoltà umane.
Maja Ruznic (b.1983, Bosnia)
L’ispirazione viene dal processo stesso. Le idee sono generate da ciò che appare in superficie. Detto questo, amo leggere e le mie letture spesso influenzano il modo in cui penso al mio lavoro. Al momento sto leggendo Descent to the Goddess di Sylvia Brinton Perera che esamina il mito sumero di Inanna e la sua discesa agli Inferi dove incontra la sua sorella oscura Ereshkigal. Il conflitto che Inanna affronta nel suo viaggio agli Inferi mi ricorda quello che stiamo attraversando collettivamente con il COVID-19. A livello globale stiamo scendendo una grande china – qualcosa che la maggior parte di noi non ha mai sperimentato (a meno che non ci foste durante l’influenza spagnola). Credo che come Inanna, che si ritrova rigenerata facendo il percorso di risalita, anche noi troveremo nuovi veli sollevati quando usciremo dalla Quarantena. Anche se tutte le transizioni sono dolorose, credo che la morte, se guardata da una prospettiva mitologica, sia una fonte generativa, parte del grande ciclo della natura. Come un serpente che si spoglia della sua pelle per crescere e rinnovarsi, anche noi dovremo liberarci di molte delle nostre cattive abitudini per crescere come umanità.
Jenny Saville (b.1970 Cambridge, Regno Unito)
Penso che siamo in tutto quello che facciamo, ad essere sinceri. Ma mi piace includere tutto, anche mostrare la tristezza e la violenza. Voglio includere il mondo intero quando faccio arte, non voglio escludere nulla. Il miglior lavoro che ho fatto è stato attraverso il mio istinto. Quando cerco di essere troppo razionale o troppo analitica, non funziona. Non mi faccio troppe domande durante la realizzazione dell’opera perché seguo il mio istinto. Contiene una verità che è più grande della verità a cui conduce un’iper-analisi. Ho imparato questa lezione abbastanza presto – che c’è qualcosa dentro quella verità; che ci sono verità più grandi della conoscenza. E se c’è una conoscenza, a volte ci si deve lasciar andare e seguire il proprio istinto per arrivare a quella verità più grande. Se analizzi troppo o critichi troppo qualcosa, è quasi inutile farla. Non c’è rischio. Mi piace il rischio, il cambiamento e la trasformazione che deriva dal fare, e per me, questo ti porta a un’arte più grande. È al di là della ragione. Questo è ciò che stai cercando di ottenere, la verità al di là della ragione. Perché se potessi scriverlo o parlarne, non avresti bisogno di farlo.
Fiona Tan (b.1966, Pekanbaru, Indonesia)
L’arte del tiro con l’arco e l’arte dell’arte. L’obiettivo è così lontano che sembra irrilevante. I miei strumenti sono la macchina fotografica e il tavolo di montaggio… Un vero tiro nel kyudo non è solo quello che colpisce il centro del bersaglio, ma quello in cui si può dire che la freccia esiste nel bersaglio già prima di essere lanciata.
Genesis Tramaine (b. 1983, Brooklyn, NY,Stati Uniti)
Penso che sia importante che si dipinga una narrazione reale, una riflessione onesta. Non credo che [i miei santi] assomiglino ai santi come ci sono stati dati… [quelli] erano dei racconti falsi. Erano pagati da conglomerati molto ricchi, in modo simile a come stanno le cose adesso. È solo che questa faccia Nera ha un po’ più controllo su quello che succede nello studio. Posso essere completamente onesta in quello che produco. Quindi i santi sono ricchi di vangeli, necessari per questa generazione e per quelle che verranno. È linguaggio dipinto, sorella. Supera il nostro linguaggio letterale. A volte è facile da capire e a volte va oltre la mia testa. È interessante avere la responsabilità di dipingere per il futuro.
Andra Ursuta (b.1979, Romania)
Ho come la sensazione che con i pezzi in cui ho usato il mio corpo, o parti del mio corpo, vi sia una commedia fisica implicita in ciò che il pezzo rappresenta. Come una tragicommedia.
Marianne Vitale (b.1973, East Rockaway, New York, Stati Uniti)
La scultura Burned Bridge trasforma una metafora morta e una catasta di legna in uno spettro imponente.
Il fuoco permette una rapida trasformazione. Disintegra la vecchia narrazione e ricostruisce la soggettività slegata da verità precedenti. Creazione, obliterazione, purificazione. Un’evocazione di una cultura in disordine e regressione, ma con un disperato bisogno di rinnovamento.
Lynette Yiadom Boake (b.1977, Londra, Regno Unito)
Io non sono da tollerare. I problemi sono da tollerare. E io non sono un problema. Queste questioni non sono un problema mio/nostro personale. Sono soprattutto un problema personale del razzista, e io non sono qualificata per risolverlo perché non ho la competenza per essere razzista. Dobbiamo incanalare tutta questa energia nel cercare di convincere la gente che siamo esseri umani? O andiamo avanti e facciamo quello che siamo venuti a fare? È come quello che ha detto Toni Morrison sulla funzione del razzismo che è una distrazione, che ti impedisce di fare il tuo lavoro, ti costringe continuamente a dare spiegazioni. Letteralmente non ho tempo.
INFO
HI WOMAN! La notizia del futuro Promossa da Museo di Palazzo Pretorio Comune di Prato A cura di Francesco Bonami Sede Museo di Palazzo Pretorio Piazza del Comune – Prato Data 11 dicembre 2021 – 27 febbraio 2022 Orario dalle 10.30 alle 18.30 tutti i giorni eccetto il martedì non festivo Info e prenotazioni tel. +39 0574 1837859 tutti i giorni 9:30-18:30 www.palazzopretorio.prato.it |