Carol-Rama-Lisola-degli-occhi-1967-Occhi-di-plastica-resina-sintetica-e-smalto-su-tela-120-x-160-cm-collezione-privata.

SEGNI DI ME. il corpo, un palcoscenico a Casa Testori

Casa Testori continua il percorso dedicato a quella che Lea Vergine aveva ribattezzato “l’altra metà dell’arte” e aggiunge un tassello alla storia scritta da molte artiste femministe sul finire degli anni ‘60 affrontando con più radicalità temi legati al corpo e all’entità.

“SEGNI DI ME. Il corpo, un palcoscenico” presenta sei giovani personalità artistiche nate tra il 1985 e il 1995, chiamate a relazionarsi con una grande figura del recente passato, Carol Rama. Al centro dei loro lavori c’è la relazione con il corpo che diventa terreno proprio dell’espressione artistica. Nelle stanze di Casa Testori entrano opere potenti e talvolta provocatorie che insistono su esperienze soggettive, criticando la dolorosa eredità del sessismo, della violenza e di altre strutture di potere della cultura contemporanea. Sono lavori che forniscono nuove e preziose intuizioni sia sull’arte storica che su quella contemporanea. La mostra è concepita come fosse una pièce teatrale, grazie all’aiuto di una vasta gamma di mezzi tra cui dipinti, sculture, performance, disegni e fotografie. Un ottavo protagonista entra poi in scena, il padrone di casa Giovanni Testori, con una serie di grandi disegni della metà degli anni ‘70 che hanno per soggetto il corpo femminile.

LA MOSTRA

A cura di Rischa Paterlini con Giuseppe Frangi, la mostra porta nelle stanze della dimora di Novate Milanese oltre a Carol Rama e Giovanni Testori, le opere di Margaux Bricler, Binta Diaw, Zehra Doğan, Iva Lulashi, Giorgia Ohanesian Nardin, Iman Salem.

Intrecciando l’erotismo della pittura di Iva Lulashi, la sensualità delle fotografie di Binta Diaw, le deformate figure di Zehra Doğan, le sculture o sfingi di Margaux Bricler, figure animalesche, femminili e demoniache, la lunga performance dal vivo di Giorgi Ohanesian Nardin a e le fotografie di Iman Salem, con le opere storiche di Carol Rama e di Giovanni Testori, la mostra mette in scena racconti in cui si mescolano carnalità e passione. Il corpo nell’essere rappresentato si oggettualizza: in tale meccanismo è insita la critica diretta non solo ai cliché visivi a cui siamo abituati, ma anche alle modalità di fruizione da essa generate. Le giovani personalità artistiche invitate, evidenziando l’impegno in chiave di rivendicazione del corpo e andando oltre l’eredità storica del femminismo, hanno sviluppato opere di grande intensità, generando un incontro-scontro che trova ulteriore riflessione laddove ogni elemento presente è frammento di corpo su un palcoscenico vuoto. Questi frammenti di opere-corpo permettono di ottenere equilibri di notevole intensità formale ed estetica molto coinvolgenti per i visitatori.

La mostra è nata dalla suggestione delle parole impresse sull’invito che, nel 1995, l’artista afro-americana Kara Walker realizzò per la sua prima personale a New York alla galleria Wooster Gardens/Brent Sikkema, “The High and Soft Laughter of the “Negress” Wenches at Night”, che recitavano così: «Non perdetevi l’incredibile “storia di carta” di una negra in schiavitù che narra la sua straordinaria fuga verso la libertà». Parole, queste, messe in relazione a quelle di un articolo che Giovanni Testori scrisse nel 1979 per la prima pagina del Corriere della Sera, “La vergogna dello stupro”: «Non vorremmo che, come va succedendo per altre vergogne e per altri delitti, a furia di parlarne, scriverne e discuterne, senza mai assumere la responsabilità di un gesto, si finisse, insomma, per abituare l’uomo a ciò che non è umano. L’abitudine a tutto è uno dei rischi più grandi che l’uomo sta correndo; ad esso sta inducendolo la spinta negativa che vuol ridurlo a “cosa”. Ora il punto d’arrivo di questo rischio non potrà essere una nuova coscienza, ma il buio e la notte che s’aprono sulla coscienza eliminata o distrutta».

IL PROGETTO

Le stanze al piano terra di Casa Testori sono dedicate a opere site-specific di Margaux Bricler, Binta Diaw, Zehra Doğan e Iva Lulashi. Per l’inaugurazione Giorgia Ohanesian Nardin con Iman Salem daranno vita a una performance che sarà documentata in mostra dagli scatti fotografici live realizzati da Iman Salem. Alle pareti del grande salone, un omaggio all’artista Carol Rama il cui lavoro si è dimostrato prezioso riferimento per molte artiste contemporanee, in particolare per la sua visione moderna della femminilità e per il suo modo di rappresentare, fin dagli anni Trenta, il proprio corpo, insofferente rispetto alle costrizioni e alle ipocrisie borghesi. Lavori intensi degli anni Sessanta che celebrano un’identità raffinata e animalesca insieme, e che hanno anticipato un nuovo sentire: materiali come gomme, occhi di vetro, pelli, peli e unghie sono elementi che ricorrono in queste sue opere, vere messe in scena della propria identità.

I miei lavori – disse l’artista nel 1997 rispondendo a una domanda di Corrado Levi – piaceranno moltissimo a quelli che hanno sofferto, e che dalla sofferenza non hanno saputo cavarsela… perché avendo avuto una madre in clinica psichiatrica ed essendomi anch’io sentita bene in quell’ambiente lì… perché ho iniziato in quel modo lì ad esser con dei gesti e dei modi senza preparazione né culturale, né di etichetta… credo che tutti quanti ameranno di più quei gesti, perché sono gesti che, per delle ragioni che non oso dire, appartengono a tutti… perché la follia è vicina a tutti… e c’è assolutamente chi la nega… e chi la nega è soltanto un folle, malinconico, triste, inavvicinabile… perché è come la cultura; la cultura è un privilegio, che avrei potuto farlo anch’io… però mi sono sentita sempre più duttile al disegno, a un quadro, una storia, a una composizione.

Un ambiente al piano terra permetterà di guardare le opere solo dall’esterno, attraverso un foro. All’interno vengono presentati alcuni lavori che Giovanni Testori realizzò nel 1975 e che espose alla Galleria del Naviglio di Milano: grandi carte a grafite, con close up su soggetti anatomici femminili.

LE ARTISTE IN MOSTRA

Margaux Bricler (Parigi), 1985

Il suo lavoro prende corpo in sculture, installazioni, video, film e fotografie. Diplomata in italianistica e poi presso l’Ecole Nationale Supérieure des Beaux-Arts de Paris, la sua è una pratica artistica attraversata dalla tematica spinosa della Storia, dalla riattualizzazione dei miti alla luce del presente e della sua crudeltà. La sua ricerca s’impernia su uno oggetto di indagine simultaneamente concreto e immateriale come la Memoria, nella prospettiva di creare un’estetica critica di quella europea.

Binta Diaw, 1995

Spesso declinata sotto forma di installazioni di varie dimensioni, la ricerca plastica di Binta Diaw (nata in Italia da genitori senegalesi) fa parte di una riflessione filosofica sui fenomeni sociali che definiscono il nostro mondo contemporaneo come la migrazione, la nozione di appartenenza o la questione di genere, attraverso corpo e spazialità. Alimentando la sua ricerca attraverso contributi sull’intersezionalità e sul femminismo, Binta Diaw ci porta nell’esplorazione di molteplici livelli di identità; la sua come donna nera, in un mondo europeizzato; la nostra e quella di un continuo crocevia di storie e geografie.

Zehra Doğan (Diyarbakir-Turchia), 1989

Zehra Doğan è nata nel 1989 a Diyarbakır, in Turchia, ma preferisce definirsi curda. Combattente, attiva e contemplativa, attraverso le sue azioni e i suoi disegni, Zehra ha infatti raccontato principalmente uno stato che non esiste sulla carta geografica, il Kurdistan, la regione abitata dal popolo curdo e smembrata tra Turchia, Siria, Iran e Iraq, con la caduta dell’Impero Ottomano. Da paladina del suo territorio e per aver fatto conoscere la storia del popolo curdo, nel 2016 Doğan è stata accusata di fare propaganda per l’organizzazione terroristica PKK, di conseguenza è stata arrestata e condannata a 2 anni, 9 mesi e 22 giorni di prigionia. Senza mai arrendersi, Zehra ha continuato a produrre opere all’interno del carcere e far parlare del proprio caso. Il mondo della cultura – e non solo -, si è ribellato alla sua incarcerazione e l’ha supportata, come donna e come artista: dalle associazioni per la tutela dei diritti umani, English Pen e Amnesty International, ai noti artisti Ai Weiwei e Banksy (autore di un murale dedicato a lei a NewYork); dalla Tate Modern di Londra, al Drawing Center di New York e, in Italia, al Museo di Santa Giulia a Brescia, al PAC di Milano.

Iva Lulashi (Tirana- Albania), 1988

La ricerca artistica di Iva Lulashi parte da tracce trovate, frame che riflettono il linguaggio visivo di una storia del passato comunista albanese, che non è mai stata direttamente vissuta. Inizia successivamente, reagendo così alla censura, a incorporare filmati erotici, confondendo il confine tra gli alambicchi dei filmati di propaganda, scene di sesso, e sane attività all’aria aperta.I corpi rappresentati da Iva Lulashi, principalmente da giovani figure femminili, esprimono la loro ricerca di genuina libertà del desiderio in un’esistenza sociale delle volte anonima.

Giorgia Ohanesian Nardin, 1988

Giorgia Ohanesian Nardin è artista di discendenza Armena attiv_ negli ambiti della danza e della performance. La sua opera si compone di eventi pedagogici e performativi che focalizzano l’esperienza del piacere come forma di resistenza all’oppressione sistemica, mettendo in relazione un approccio transfemminista queer con lo studio di pratiche somatiche. Educat_ nell’ambito della danza, il suo lavoro si manifesta in movimenti/video/testo/coreografia/suono/raduni e ha a che vedere con narrazioni attorno all’ostilità, strategie di sopravvivenza, riposo, attriti, sensualità e cura.

Iman Salem, 1993 (Milano)

Nata in Italia da madre marocchina e padre egiziano, Iman è una fotografa e attivista. Attualmente Il suo lavoro è focalizzato nel creare un archivio visivo che racconta le generazioni di origine migratoria attraverso la fotografia ritrattistica, utilizzando uno sguardo diasporico per affrontare le tematiche della rappresentanza. “Imprimere l’intimità come espressione d’amore per i corpi che abitano uno spazio”.

INFO

SEGNI DI ME. Il corpo, un palcoscenico
A CURA DI: Rischa Paterlini con Giuseppe Frangi
Casa Testori
Largo Angelo Testori, 13, 20026
Novate Milanese MI
3 aprile – 25 giugno 2022
www.casatestori.it

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