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La verità delle rose tardive: Claudia De Luca

Dal 14 ottobre Claudia De Luca sarà presente a Venezia presso artespaziotempo con la mostra “La verità delle rose tardive”.

Terza tappa di un ciclo di esposizioni tra Milano e Venezia, il presente progetto risulta un punto di approdo di una ricerca personale indirizzata verso una rinascita raccontata e vissuta attraverso la sua pratica artistica.

Per questo progetto parti da una riflessione, ispirata da un brano tratto dal “Deserto” di Camus, sulle verità che possono emergere da uno sguardo puro e libero sul mondo che ci circonda, privo di giudizio, contemplativo e radicato nel presente. Per Camus l’intuizione arriva dalle rose tardive del Chiostro di Santa Maria Novella a Firenze, per Proust dalle madelaine a colazione. Qual’è stata la tua personale esperienza connessa a questa spinta a guardare tutto con occhi nuovi?

Si viene sempre attraversati da qualcosa che, inevitabilmente, lascia una sfumatura indelebile nella propria vita. E sicuramente questa sfumatura determina un cambio di prospettiva, uno sguardo nuovo e un allontanamento naturale da ciò che non è più. La narrazione autobiografica è parte di questa nuova spinta, ma non è tutto. Non sono solo gli avvenimenti personali a determinare un cambio di sguardo, ma è anche la natura, il carattere, l’istinto a creare uno spostamento di visione. Nel mio caso, ho una propensione sotterranea a ricercare sempre nuovi inizi, una curiosità quasi famelica che si trasforma in stupore ogni volta che permetto ai miei occhi di non abituarsi all’ovvio.

Vorrei sapere di più circa il racconto esistenziale che emerge dalle tue opere e in particolare quello relativo ai lavori che presenti in questa mostra a Venezia.

I miei lavori sono supportati da un racconto esistenziale denso. E questa densità non ha solo caratteri di fragilità e caduta, ma anche elementi di vigore e resistenza. Sono partita con l’intento di evitare l’autocommiserazione del dolore o la teatralizzazione dell’insicurezza. Sono andata direttamente alla pelle (in questo caso il tessuto) senza nascondimento o finzioni. Il tessuto l’ho brutalizzato, bruciato e strappato per poi ricucirlo, curarlo e riportarlo ad una dimensione di quiete. Nel caso della mostra a Venezia, ho preparato lavori che valorizzano ciò che rinasce da un abbrutimento. E ciò che rinasce è sempre un “sì” alla vita ma anche un’accettazione del buio che ogni tanto ti viene a bussare.

In che modo le tue opere corrispondono o fanno da specchio alle tue intuizioni? Perchè hai voluto porre in evidenza l’immagine delle rose tardive?

Le mie opere mi rappresentano, mio malgrado. Le osservo e rivedo tutte le stratificazioni di ciò che è stato e ciò che sarà il mio percorso di vita. Riflettono un mio pensiero e un mio modo di stare al mondo, ma spesso mi precedono. O meglio, precedono il concetto e la parola. Anticipano l’intuizione, le fanno spazio e l’accolgono prima ancora che io ne sia davvero cosciente. Nel caso delle rose tardive, la mia esigenza era definire un giardino onirico, un luogo che non esiste ma fa bene a tutti immaginarlo. Un topos inteso come un’esplosione di macchie di colori, una labirintica illuminazione nella quale le rose hanno resistito al tempo e alle intemperie esistenziali che il tempo porta con sé.

Che materiali e tecniche hai usato per realizzare queste più recenti opere in cui l’oro e il blu sembrano essere i colori protagonisti?

Ho usato prevalentemente pigmenti puri che ho mischiato con cera e olio di lino secco. L’esigenza di evidenziare i colori che emergono dal testo di Camus, mi ha portato a “gettare” sulla tela più luce possibile per dare risalto alla bellezza della descrizione. Non mancano pennellate di nero, rosa e arancio che, ovviamente, fanno da sfondo necessario alla “rinascita” delle rose.

Quali sono le fonti e i tuoi punti di riferimento nello sviluppo dei tuoi lavori? E qual’è il tuo metodo di lavoro?

Tutto ciò che esce dalla “comfort zone”, dai confini sicuri del già detto, del già visto e del già masticato sono i miei principali punti di riferimento. Ciò può essere anche rischioso, perché ci si inoltra in pericolose regioni della coscienza da cui si fa fatica ad uscire. Credo sia necessario stare più attenti, nonostante la mia ostinata fascinazione verso ciò che non ha mai un terreno stabile. Fortunatamente sono anche una docente e dunque ho un’irrimediabile deformazione professionale alla lettura, alla conoscenza e un doveroso attaccamento al principio di realtà. Le travi su cui ho costruito l’impalcatura concettuale del mio lavoro affondano nella filosofia, nella storia, nella saggistica, nell’arte e in tutto ciò che spinge ad una riflessione che disprezzi la retorica della parola e del gesto e che non scenda a patti col facile e con il carino. Mi circondo di libri, innumerevoli fonti di visioni, e sono solita recarmi sempre nella stessa libreria perché è un rituale che dona senso alla mia quotidianità. Per quanto riguarda il metodo di lavoro, preferisco lavorare la sera perché amo la penombra e il silenzio, requisiti fondamentali per concentrarmi e dare un significato al lavoro da svolgere. Inizialmente focalizzo tutta l’attenzione sul supporto sul quale darò vita all’opera. Una volta che il supporto è “al sicuro”, avvolto dalla tarlantana, inizia il mio movimento pittorico.

Le due mostre precedenti, la prima sempre nello spazio veneziano artespaziotempo, la seconda alla Basilica di San Celso a Milano, in che modo sono state fondamentali per arrivare a questa terza mostra. La trilogia era stata pensata dall’inizio o si è sviluppata in corso d’opera?

La trilogia si è sviluppata in corso d’opera di pari passo con una coscienza che necessitava, nel suo procedere, di fortificarsi. La prima mostra ha camminato sul segno della precarietà; la seconda ha portato vento di scirocco; la terza permetterà di inoltrarsi in un giardino luminoso. L’esigenza di concludere questa triade nello spazio dove aveva avuto origine una ferita pittorica mi è sembrato coerente. Ma è stato soprattutto nella mostra della Basilica di San Celso che ho compreso di dover far pace con l’opera e vederla come un paradigma che avrebbe inaugurato un nuovo corso.

I titoli delle tue opere sono sempre evocativi e lasciano immaginare significati. Cosa rappresenti nella “Danza obliqua” e che cos’è “la linea degli apsidi”?

L’opera la Danza obliqua è un omaggio alla dimensione ancestrale che è presente in ognuno di noi. E’ una danza che si muove in un liquido amniotico universale, rappresentato da un velluto nero in cui i protagonisti, caratterizzati da forme semiumane si muovono in modo scomposto e obliquo. Tutto ciò che c’è di ancestrale in noi non ha mai una forma definita, non presenta una regolarità. Ho immaginato la danza come fosse una pre-nascita dove caos ed armonia sono legati da un equilibrio molto precario. La linea degli apsidi, invece, si richiama all’ apside che è il punto di maggiore o minore distanza di un corpo celeste dal fuoco della sua orbita ellittica. Gli apsidi dell’orbita terrestre sono l’afelio e perielio e la retta che congiunge i due apsidi è chiamata linea degli apsidi. L’opera si presenta come una lunga scia di tarlantana nera dal cui fondo emerge un mio personale corpo celeste che illumina, simbolicamente, l’universo che ci circonda.

Nella maggior parte dei tuoi ultimi lavori utilizzi la tarlantana un tessuto simile alla garza con cui vai a ricoprire i tuoi dipinti o creare le tue sculture. Come mai questo materiale è x te così importante?

E’ una forma di tutela. Dell’opera e di me stessa. La tarlantana, quando lavorata, consegna un effetto di bendaggio non rigido, ma mutevole. La uso come elemento di cura, intendendo con questo termine la delicatezza verso l’oggetto ma anche verso il soggetto che lo determina. Avvolgere il supporto con la tarlantana è un rituale che mi rende più sicura e soprattutto determina quella visione “scomposta” necessaria al mio lavoro. Le pieghe, i disallineamenti, gli elementi difformi che il tessuto crea sulla materia sono i punti da cui parto per iniziare il lavoro.

INFO

“La verità delle rose tardive”
Claudia De Luca
artespaziotempo
Campo del Ghetto Nuovo Cannaregio 2877
Venezia

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