Ultimo giorno a Lucca per il festival Giungla. Siamo giunti a fine rassegna.
Giungla Bucolica consuma le sue ultime ore nel sole della progettualità, con documentari, seminari e letture.
L’inizio è bambino con Ribellione Bucolica, il laboratorio di Josse Renda e Cinzia Turla. Un mandala di pigne, rami e ghiande si spalanca sul pavimento del sotterraneo; vestiti di verde, educatori e partecipanti marciano per le strade dell’Orto Botanico, immergono le mani nella creta al suono di un delicato carillon. “Something very cute is going on”, mormora un turista straniero al compagno, scrutando nell’oscurità del baluardo.
Le ore 15 spettano a Darsi alla Macchia, presso l’auditorium lucchese di San Micheletto. Annalisa Metta, docente a Roma in Architettura del Paesaggio, ha un modo intenso di parlare, un’inflessione della voce che quasi parrebbe minacciare il pianto. Si ha questa percezione sentendole raccontare dell’esperimento di Teresa Gali-Izrd.
’architetta paesaggista, “tanto coraggiosa da attendere”, aveva scavato una profonda buca in una valle incolta. In seguito, aveva documentato nel tempo il lento riassestarsi del terreno, il livellarsi del riporto e il colmarsi della cavità. Infine, un florilegio di papaveri aveva marcato proprio quelle aree. Ovviamente, puntualizza Metta, lei era al corrente della natura pioniera del papavero, che attecchisce volentieri su terreni smossi. Ma è stato l’atteggiamento progettuale, “non fatalista” della Gali-Izard a colpire la donna che parla adesso con tanta sicurezza. Autrice del libro “Il paesaggio è un mostro”, Annalisa Metta sostiene fermamente l’autonomia di una natura perfettamente in grado di disegnarsi da sola, che il professionista del paesaggio dovrebbe limitarsi ad accompagnare, una sorta di educazione negativa à la Rousseau.
Uno dei più grandi errori, continua l’autrice, è stato quello di guardare alla natura “come a un’erogatrice di servizi”, “non coesistente, ma inserviente”, oltre che classificarla in un’ottica perfettamente antropocentrica: prima natura, stato brado; seconda natura, coltivazione e aratura; terza natura, ammaestrata ai piaceri del giardino; e infine, quarta natura, all’estinguersi di una comunità umana. Natura che vive in funzione di prima, durante e dopo umani. Ma la natura, continua la studiosa, non è un tempo, non è un luogo, non è una sintesi di componenti biologiche: “la natura è un atteggiamento”.
E parla del Parc André Citroën di Parigi, progettato da Gilles Clément, con una sezione intenzionalmente brada, senza sentieri, senza preistruzioni; del fiume Aire rinaturalizzato a Ginevra, adoperando uno scavo a losanghe e adottando il medesimo principio dell’attesa di Gali-Izard. Il progetto ha stimolato il corso d’acqua a ridisegnarsi spontaneamente; infine c’è la discussa High Line, parco lineare nel cuore di New York, sorto su una ferrovia in disuso e passaggio chiave per la riqualifica di una zona che, nonostante gli edifici realizzati da archi-star, pativa un ribasso economico e abitativo.
C’è poi la definizione, un tema che ricorre: “sublime”, “marronage” – “darsi alla macchia”, appunto. E “mostro”, etimologicamente collegato a qualcosa di mai veduto sinora, ma anche a un ammonimento – e vien da pensare alle nascite mostruose che nel pensiero antico anticipano le catastrofi. I mostri, dice l’autrice, sono gli eroi della Marvel e DC Comics, i Supereroi. Bisogna essere mostri per manifestarsi come stupor mundi. Un mostro è quel che lei chiama “paesaggio avanzato”, quei fragili e tenui fiori che si fanno strada su terreni contaminati, trasmutandoli in parco, poi in patrimonio tutelato.
Ma cos’è mai questa progettazione condivisa? C’è speranza, c’è verità nel Terzo Paesaggio?
È la celebrazione di una nuova nascita? O l’esorcismo della morte?»
Che avrebbe risposto Libereso Guglielmi?
Ore 17, Orto Botanico. Le spalle alla cancellata, la lettrice di Millimetrica declama “Un pomeriggio Adamo”, racconto di Calvino del ’49. A Sanremo, Villa Meridiana, Libereso è quindicenne, lavora i giardini dell’agronomo Mario Calvino, padre dell’autore. Italo, unico letterato in una famiglia di scienziati, è lieto di non doversi più occupare delle piante. Può dunque sprofondare nella giungla del carattere umano che, lo ammette, non avrebbe mai imparato a penetrare appieno. Il modo in cui Libereso, ragazzino vegetariano, ateo e anarchico, corteggia la timorata cameriera di quattordici anni, è subito materia osservata e trascritta. Il giardiniere, che ha la traduzione in Esperanto di “libertà” per nome, maneggia gli esseri del giardino con la fascinazione di un piccolo dio campestre: rospi, bisce, ramarri, tutto passa tra le sue mani, sgomentando Maria Annunziata, a cui lui vorrebbe donarli.
Oggi, compleanno di Calvino, lo si ricorda nella dimensione più affine alla rassegna, presentando stralci poetici nella casermetta dell’Orto – c’è anche un accenno al carteggio tra Camillo Sbarbaro e la botanica Eva Mameli, madre di Italo, accomunati da una profonda passione per i licheni. Nella stessa casermetta si raduna la compagnia per l’evento conclusivo: la proiezione di “All’Arrerbaggio”, documentario di Gabriella Ciancimino. L’artista palermitana, già sostenitrice delle teorie sul Terzo Paesaggio di Gilles Clément e autrice di splendidi disegni a muro che incrociano l’estetica dell’erbario con quella del tatuaggio marinaresco, aveva intervistato Libereso nel 2014 – il giardiniere dei doni improbabili sarebbe morto due anni dopo. Il concetto di pianta pirata, organismo anarchico come il suo coltivatore, vive nelle ultime parole di Libereso e nel brano hip-hop-reggae composto appositamente per il documentario da Lorrè e Marcolizzo (Shakalab): un breve viaggio evocativo tra reti internazionali di giardinieri, scambi di semi clandestini e musica.
Con gli auguri all’autore del “Barone Rampante”, Giungla Bucolica si conclude.
Si torna alla città, dunque. È tempo di uscire dalla natura.
O no?
INFO
Giungla
da giovedì 12 a domenica 15 ottobre
Lucca
Foto di Melanie Angeloni