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COVERstory – PATRIZIO DI MASSIMO: oltre la superficie, alla ricerca dell’esperienza emotiva

Patrizio di Massimo è un indagatore degli stati d’animo, un demiurgo poetico della figurazione contemporanea che interroga l’essenza stessa della rappresentazione.

Il suo sguardo analitico non si accontenta della mera registrazione del visibile, ma si addentra nelle pieghe più recondite dell’emozione, disvelando quella zona di indeterminazione in cui l’immagine si fa tensione, desiderio, assenza.

Nella sua pratica pittorica, Di Massimo non si limita a raffigurare, ma piuttosto evoca, stratifica, interroga. Ogni tela diventa un campo di forze in cui la dimensione psichica e quella simbolica si compenetrano, generando una narrazione che è al tempo stesso personale e archetipica.

In questo spazio liminale, il letto – leitmotiv della sua più recente produzione – assurge a soglia metafisica, a luogo di transizione tra la veglia e il sogno, il corpo e il pensiero, l’intimità e la scena sociale. È un palcoscenico dell’affetto e del conflitto, dove si consumano desideri inconfessati, si sedimentano memorie e si ridefiniscono i rapporti di potere e vicinanza.

Nella sua ultima mostra, Amici, Nemici, Letti e Mariti, ospitata dalla galleria Gió Marconi di Milano, Di Massimo esplora le dinamiche relazionali attraverso una pittura carica di pathos e ambiguità. I suoi ritratti, lontani dall’idea di mera rappresentazione fisionomica, si fanno studi psicologici, cronache sentimentali e dispositivi di analisi.

Qui la figurazione si carica di energia teatrale: ogni posa è un frammento di racconto, ogni sguardo un enigma, ogni scena una soglia interpretativa aperta. Tra litigi e riconciliazioni, solitudini e incontri, il pittore costruisce un universo affettivo che è al tempo stesso spietato e lirico, esorcizzando la distanza tra soggetto e spettatore e riconfigurando il ritratto come luogo di rivelazione emotiva.

Con lui abbiamo parlato di pittura come necessità, della rappresentazione della mascolinità e di come un letto possa diventare un simbolo universale.

LA COVER

L’INTERVISTA

Parliamo della tua ultima mostra “Amici, Nemici, Letti e Mariti” alla galleria Gió Marconi di Milano. Chi sono i protagonisti delle opere esposte?

Ci sono amici vecchi e nuovi. Il percorso espositivo è strutturato in quattro stanze. Nella prima sono ritratti alcuni degli artisti con i quali ho frequentato l’Accademia di Brera, persone con cui ero molto vicino 15-20 anni fa. Li ho ritratti mentre litigano in luoghi simbolici di Milano, come la Triennale, Villa Necchi Campiglio o l’Accademia stessa. Nella seconda stanza invece ci sono i miei amici di oggi, come i designer Formafantasma, l’artista Gray Wielebinsky , il ballerino Roberto Bolle. Questi ritratti sono in netto contrasto con quelli della prima stanza: qui le figure si abbracciano, invece di litigare. Nella terza stanza, ci sono ritratti della mia famiglia: mia moglie Nicoletta, mia figlia Diana e io. Infine, nella quarta stanza presento un gruppo recente di dipinti dove le figure sono del tutto assenti, ma il loro passaggio è visibile nelle pieghe scomposte dei letti.

Come nasce questa ricerca artistica che attraversa passato, presente e vita familiare?

Ogni ricerca artistica è un percorso che si evolve nel tempo. Ho ricominciato a dipingere dieci/quindici anni fa, partendo da autoritratti e ritratti di mia moglie. Poi ho iniziato a includere amici e conoscenti. Sin dall’inizio, ho cercato di differenziare la mia pittura figurativa da un approccio tipicamente classico, sperimentando con scene e soggetti che esplorano emozioni estreme, come nei litigi.
Questa serie è nata nel 2018, durante il Festival Vulcano Extravaganza a Stromboli, come risposta alle dinamiche che si erano create tra i partecipanti. Durante la pandemia, ho iniziato una nuova serie sui dormienti, che rappresentano un opposto dei litigi: momenti di intimità e quiete. In questa mostra ho voluto riunire queste diverse tipologie di lavoro, creando un percorso narrativo che possa coinvolgere lo spettatore in un intreccio di stati emotivi.

C’è un’evoluzione nel modo in cui rappresenti le figure. Come sei arrivato a ritratti più classici, come quelli degli amici che si abbracciano?

È stato un processo di maturazione. Per anni ho cercato di evitare la rappresentazione accademica, preferendo pose e situazioni non convenzionali.
Ma con il tempo ho acquisito la sicurezza di poter fare anche ritratti più tradizionali, come quelli che vedi nella seconda stanza della mostra.
Sono ritratti che potrebbero sembrare fuori dal tempo, ma che in realtà dialogano con la nostra epoca, in cui l’immagine di sé è spesso mediata dai social media. La pittura, in questo senso, offre una rappresentazione analogica, lenta e riflessiva, in contrasto con l’immediatezza del digitale.

Come scegli i soggetti dei tuoi ritratti?

Non faccio ritratti su commissioni. Sono sempre io a proporre l’idea. Chiedo alle persone di farsi ritrarre in situazioni peculiari, che non sono quelle che sceglierebbero per rappresentarsi in un ritratto fotografico o sui social. Questo crea una tensione tra l’immagine che vogliamo dare di noi stessi e quella che invece emerge attraverso la pittura.
I miei ritratti, pur essendo figurativi, cercano di andare oltre la superficie, esplorando le emozioni e le relazioni umane. In questo senso, la pittura diventa uno strumento per interrogare il modo in cui ci rappresentiamo e ci relazioniamo con noi stessi e con gli altri.

Il mio lavoro è un’indagine sulla mia esperienza di vita, sulle persone che mi circondano e sulle esperienze emotive che queste relazioni generano. Per questo il ritratto è centrale nella mia pratica, è il modo in cui esploro me stesso attraverso gli altri. Alcuni soggetti sono amici, persone care, altri rappresentano qualcosa di più simbolico.
Ogni soggetto scelto è una dichiarazione, un’affermazione della mia personale visione del mondo.

In questo senso, il ritratto si lega molto all’identità?

Assolutamente. Ma l’identità è fluida, mutevole. Un ritratto non cattura solo l’aspetto fisico, ma anche una condizione umana in un momento preciso. E al tempo stesso permette a chi guarda di proiettarsi dentro quell’immagine, anche se non si riconosce letteralmente nei tratti fisici rappresentati.

In questo senso il tema del letto vuoto diventa molto forte, perché crea uno spazio in cui tutti possono ritrovarsi?

Il letto è un luogo universale, comune a tutti gli esseri umani. Nella mia ricerca pittorica, i letti sono nati come un esperimento, un modo per esplorare la mia pittura senza figura. Rappresentano un oggetto e allo stesso tempo spostano la composizione verso l’astrazione. Le pieghe dei tessuti diventano forme e colore, e i colori stessi sono inventati, pensati per la monocromia e la struttura della composizione.

E l’uso dei colori nei letti, legandolo anche alla spiritualità. Ce ne parli?

Sì, per la mostra alla galleria Marconi ho pensato ai letti come una sorta di autoritratto spirituale. Ho usato i colori legati ai sette chakra del corpo, partendo dal rosso fino al viola. Manca solo il settimo chakra, quello della corona, che ho sostituito con un piccolo autoritratto con una coccinella magenta sulla fronte. La coccinella è così diventato un simbolo nel mio lavoro, una sorta di amuleto personale.

Se dovessi riassumere la tua mostra in parole chiave, quali sceglieresti?

“Amici, Nemici, Letti, Mariti”. Il titolo descrive formalmente la mostra: gli amici e i nemici sono i protagonisti di una realtà fatta di opposti, i letti rappresentano lo spazio vuoto prima e dopo l’intrecciarsi delle storie, mentre i mariti esprimono la mia riflessione sulla mascolinità contemporanea.

A proposito di mascolinità, il tema è molto presente nei tuoi ritratti. Come lo affronti?

Indago il concetto di mascolinità chiedendomi cosa significhi essere maschio nella società contemporanea, e come questo concetto possa essere indagato e messo in questione.
Nella mostra, per esempio, ho dipinto uomini con storie diverse: c’è chi ha affrontato una transizione di genere, chi usa la moda per esprimersi, chi ha fatto della danza classica un esempio di bellezza maschile contemporanea universalmente riconosciuta, chi vive la propria mascolinità in relazione alla genitorialità come nel ritratto con mio padre o del mio amico diplomatico Federico Bianchi con le sue tre figlie.
Ogni quadro racconta un frammento di questo universo.

La tua arte ha una componente politica?

Sì, anche se non in maniera esplicita o militante. Ogni scelta è politica. Decidere di ritrarre una coppia con la storia di Grey e Asa, nella stanza degli uomini è una scelta politica. Portare certi temi in una mostra nell’Italia di oggi ha un significato preciso.

Come ti definiresti in terza persona?

Concentrato.

Se venissi a visitare il tuo studio che cosa ci troverei?

Dipende dai periodi. Adesso è quasi vuoto. Ho appena inaugurato la mostra da Gió Marconi, quindi questo è il momento in cui torno in studio dopo un grande progetto, che mi ha occupato per un anno. Sto ricominciando a lavorare sui prossimi progetti.
Troveresti tutti i miei strumenti: tavoli da lavoro, colori, pennelli. Lavoro su un grande tavolo con un vetro dove preparo le gradazioni dei colori. È un luogo che, in questo momento, è in attesa di essere riempito di nuovo.

Come vivi il tuo studio? È semplicemente un luogo di lavoro o qualcosa di più?

È un po’ un rifugio. È il luogo dove mi ritiro ogni giorno per la mia pratica quotidiana. Qui esploro, sperimento e prendo rischi. È il posto dove succedono molte cose, quasi sempre in solitudine. A volte ricevo visite di amici o colleghi, ma generalmente è un luogo molto intimo, dove vivo la mia pratica artistica in isolamento.

C’è un letto nel tuo studio?

No, ma ci sono molti cuscini. Ho conservato un’installazione che ho realizzato nel 2013, quando ancora mi dedicavo alla scultura e all’installazione.
Si chiama Inside Me ed è composta da circa 130 cuscini.

Se dovessi suggerire un artista per la copertina di Hestetika, chi sceglieresti?

Resterei legato agli artisti della mia generazione che ho ritratto nella prima sala della mostra. Direi Monia Ben Hamouda, che ha appena vinto il premio Maxxi, e Gaia Fugazza, che ha una mostra a Capodimonte.
Oppure Michele Gabriele e Beatrice Marchi. Sono tutti artisti con percorsi molto interessanti e meritevoli di attenzione.

L’ARTISTA

photo credits Eleonora Agostini

Patrizio di Massimo è nato nel 1983 a Jesi, Italia.
Vive e lavora a Londra, Regno Unito.
Dopo aver studiato all’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano ha proseguito gli studi a Londra, diplomandosi presso la Slade School of Art. Egli ha iniziato a porsi all’attenzione del mondo dell’arte utilizzando sia media fotografici che video, considerati dall’artista “esperimenti giovanili”. È, però, con la pittura che il suo lavoro negli anni si è sviluppato e affermato nelle mostre in prestigiosi spazi pubblici e privati.

LA MOSTRA

PATRIZIO DI MASSIMO
Amici, Nemici, Letti e Mariti (Friends, Foes, Beds and Beaus)
Fino all’8 marzo 2025
Gió Marconi, Via Tadino 15, Milano

LA GALLERY

WEB & SOCIAL 

patriziodimassimo.com
instagram.com/patdimass

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