Eleonora Marangoni firma un saggio sulla ricorrenza delle figure di schiena nelle arti figurative. Le oltre cento immagini a colori che accompagnano il testo, insieme alle frequenti incursioni nella letteratura, nella filosofia e nel cinema, mostrano come il potere di tali figure nasca da ciò che non dicono e dall’inesauribile esercizio dell’immaginazione che sono capaci di innescare.
Che cosa ci dicono una schiena, una nuca, un corpo di spalle? In che modo rappresentare il mondo da questa prospettiva svela una parte segreta delle cose e ne preserva al tempo stesso il mistero? In questo saggio corredato da oltre cento immagini a colori che attraversano i secoli, Eleonora Marangoni esplora le valenze simboliche e la cifra poetica di soggetti raffigurati di spalle, per mostrarci come ciò che rimane nascosto o poco visibile nei ritratti frontali si manifesti con forza non appena guardiamo le cose da un punto di vista diverso.
Che siano solitarie o in compagnia, ignare o consapevoli di essere guardate, ribelli o ironiche, candide o sensuali, le figure di schiena seducono lo spettatore per il carico di suggestioni di cui sono portatrici. La loro fortuna nelle arti figurative è una costante che tiene insieme latitudini e culture molto lontane fra di loro.
Quintessenza del pensiero romantico, la Rückenfigur più celebre della pittura occidentale è il Viandante sul mare di nebbia di Caspar David Friedrich, modello d’ispirazione per intere generazioni di artisti, che lo reinterpreteranno facendone di volta in volta l’emblema del senso di infinito, del sentimento di comunione con la natura, del concetto di libertà. Ma le figure di schiena non sono un’invenzione romantica. La prima a voltarci le spalle è stata, già in epoca romana, la cosiddetta Flora di Stabia, oggi conservata al Museo Archeologico di Napoli: l’affresco funge da ponte simbolico fra il mondo di profilo degli antichi egizi e la pittura italiana del Trecento, in cui fanno la loro comparsa i primi soggetti di schiena, ricorrenti poi per tutto il Rinascimento, soprattutto come parte di scene collettive, nelle vesti di peccatori non abbastanza degni per essere ritratti di fronte o come elementi secondari al servizio della scala compositiva. È solo nel Seicento, grazie alla pittura fiamminga, che le figure di spalle conquistano il centro della scena, calate “in interni” e circondate da oggetti che in qualche modo le definiscono. Una celebrazione della vita domestica di cui Gerard ter Borch fu eccelso esponente, dedicandosi a questo genere di ritratti fin da giovanissimo (anche se le malelingue lasciavano intendere che la scelta fosse dettata da una scarsa capacità di rappresentare con naturalezza i volti umani). Una tendenza a cui non si sottrae nemmeno Jan Vermeer, che nello Studio dell’artista la sfrutta per dipingere l’allegoria di un nuovo sguardo sull’arte, sui suoi codici e sulle sue convenzioni.
Se in Giappone le geishe, da tempo immemore, nascondono il volto lasciando scoperto il collo, chiave d’accesso all’intimità carnale, bisogna aspettare l’Ottocento perché in Occidente l’inquadratura sulla nuca cominci a stringersi, fino a diventare Leitmotiv pittorico e letterario. Evocata per puntellare i diversi momenti di una storia d’amore nelle opere di Flaubert, Maupassant, Balzac, Zola o del marchese de Sade, diventa per gli artisti un modo obliquo e raffinato di raccontare la sensualità preservandone i fragili equilibri. Dipingere una nuca non è come dipingere un nudo: mostra meno, ma in qualche modo dice di più. Una forma di rappresentazione destinata a trasformarsi in un cliché, ma che a quel tempo fu una vera e propria rivelazione. Ecco allora spuntare sulla tela le nuche toniche e conturbanti delle femmes à la toilette di Degas, quelle borghesi e vagamente leziose di Berthe Morisot, quelle delicate, domestiche di Toulouse-Lautrec, quelle rarefatte di Constable. Del resto, nella Parigi della Belle Époque, suivez-moi jeune homme è il nome tutt’altro che sibillino del nastro che le giovani donne usavano annodare intorno al cappello, un trucco per attirare lo sguardo dei passanti attraverso il movimento fluttuante del tessuto, che carezzava appena il collo e le spalle di chi lo indossava.
Destinata a evolversi ancora e senza requie, nel Novecento la rappresentazione di figure di schiena ci dona visioni eccentriche e dirompenti, affrontando temi come l’alienazione, il rapporto con la fama, il sentimento di una folla o lo spettacolo dell’arte. Con l’esplosione del consumismo culturale, “l’arte di guardare l’arte” diventa un vero e proprio genere fotografico, frutto di appostamenti pazienti e abbinamenti estetizzanti, che studia pose e posture del turismo di massa, si interroga sulla sua formazione artistica, indaga lo spazio del museo come paradigma estetico, antropologico e sociale. Da Luigi Ghirri a Thomas Struth, da Ugo Mulas a Thomas Hoepker, fino al viennese Stefan Draschan con il suo approccio pop e “instagrammabile”, la fotografia approfondisce il legame tra opera e spettatore e la trasformazione di quest’ultimo in opera stessa, incarnazione mondana dell’arte e suo irresistibile contrappunto.
Cariche di ipotesi ma libere da preconcetti, le figure di schiena richiedono uno sforzo di fantasia; ci costringono a indugiare su di esse e a investigare la nostra stessa percezione del mondo, aprendo uno spiraglio allo stupore. «Stupore che ogni uomo – da artista ma anche da semplice osservatore – tende a smarrire con il passare del tempo. Non di proposito, ma semplicemente vivendo: man mano che impara, agisce e dialoga con quello che ha intorno, che forma le sue opinioni, i suoi gusti e le sue credenze».
BIO
Eleonora Marangoni è nata a Roma nel 1983 e lavora come copywriter nel campo del design e della comunicazione. Specialista di Marcel Proust ha esordito in Francia con un saggio sull’influenza della pittura nella Recherche (Proust et la peinture italienne, 2011) e pubblicato in Italia Proust. I colori del tempo (2014), dedicato al rapporto tra colore e letteratura. Il suo romanzo Lux (2018) ha vinto il Premio Neri Pozza 2017, il Premio Opera Prima 2019 ed è stato candidato al Premio Strega 2019.
INFO
Viceversa
Il mondo visto di spalle
di Eleonora Marangoni
Johan & Levi